Di Lucia Capuzzi da Avvenire del 09/09/2022
«Maria è una donna che ha dato la vita per la missione». Suor Eleonora Riboldi non riesce a terminare la frase. Il pianto soffoca le parole. «Sì, ha dato tutta la sua vita», riprende, dopo una pausa. «Ha amato davvero la gente del Mozambico. Non si è mai tirata indietro. Aveva coraggio e la straordinaria capacità di dialogare con tutti. In ogni situazione, anche la più dura, trovava un lato positivo». La religiosa comboniana, nata a Travagliato, nel bresciano, 61 anni fa, è arrivata nella struttura della propria comunità a Nampula, capoluogo dell’omonima provincia dove si trova Chipene, la missione assaltata e data alle fiamme nella notte tra martedì e mercoledì da un gruppo di jihadisti. Nell’attacco è stata uccisa suor Maria De Coppi, 83 anni. Sono riuscite a salvarsi, invece, le altre quattro consorelle, tra cui, appunto, suor Eleonora. «Come sto? Non lo so nemmeno io. Cerchiamo tutte di reagire…»
Che cosa ricorda di quella terribile notte?
Ero nel dormitorio delle ragazze. Di solito, ne abbiamo una quarantina. Sono studentesse delle secondarie che abitano nei villaggi distanti da Chipene e, dunque, trascorrono da noi anche la notte. La gran parte le avevamo riportate a casa durante il giorno. Erano arrivate notizie frammentarie di un attacco a una ventina di chilometri. Avevamo cercato di informaci ma niente. Ero perfino andata a Memba, alla sede del distretto, ma non avevo trovato nessuno. Circolavano molte voci: nel dubbio, abbiamo cercato di rimandare le ragazze ai loro villaggi. Una dozzina, però, quella con le famiglie più lontane, era rimasta. Avevamo intenzione di accompagnarle l’indomani. Ma tutto è precipitato…
Dove era suor Maria in quel momento?
Nella nostra casa, in camera. Come suor Ángeles. Quest’ultima ha sentito gli spari e, appena uscita dalla stanza, ha visto Maria stesa a terra, in una pozza di sangue. Quando ha capito che era morta, ha cercato di uscire dal retro, ma alcuni miliziani l’hanno presa e trascinata fino alla chiesa. L’hanno fatta sedere mentre loro la incendiavano. Dal dormitorio, situato a una trentina di metri, ho sentito il frastuono e mi sono affacciata. Ho sentito che delle voci concitate, mentre le fiamme crepitavano qualcuno ha intonato l’inno jihadista. Ad un certo punto ho visto Ángeles correre verso di me. Era trafelata. Ripeteva: “Hanno ucciso Maria”. Mi ha detto che, invece, lei l’avevano lasciata andare. Prima, però, le avevano ordinato: “Non tornare più. Qui deve esserci solo l’islam”. Questa frase e l’inno ci fa ritenere che fossero jihadisti.
Che cosa ha fatto a quel punto?
Siamo tornate in casa per cercare di recuperare il corpo di Maria. Ma non c’era più: l’avevano già portato fuori, prima di incendiare tutto. Ho pensato che per lei non potevamo fare più niente ma dovevamo salvare le ragazze. Siamo, dunque, andate nel dormitorio e tutte insieme ci siamo rifugiate nella boscaglia. Abbiamo camminato per ore. Suor Ángeles, che è anziana, non si reggeva in piedi e si è fermata insieme a una delle giovani. Noi altre abbiamo proseguito. Siamo state nascoste fra gli alberi fino all’alba successiva.
Se mai li incontrasse, che cosa direbbe agli assalitori?
Domanderei loro: “Che senso ha?” Con la comunità musulmana abbiamo ottimi rapporti: domenica eravamo insieme per una celebrazione interreligiosa del Tempo del Creato. Dio, comunque lo si chiami o lo si veneri, vuole vita non morte.