Come sempre manca una discussione che prenda le mosse dai torti patiti dal Mezzogiorno ma non ne faccia occasione per recriminazioni sterili
E così, per “ricambiare” la contestata visita del segretario della Lega Salvini a Napoli dell’11 marzo, sabato prossimo i centri sociali napoletani, in compagnia di “sudisti” di vario tipo, si sono dati appuntamento a Pontida, per un “corteo antirazzista”, e forse pure per un concerto. Lo spettacolo nell’insieme è triste: è triste che – come è accaduto a Napoli – si tenti, ricorrendo pure alla violenza, di impedire la manifestazione politica del leader di un partito, col sindaco di quella che era la capitale del Regno in testa alle proteste.
È triste che per reazione si vadano a sfruculiare i leghisti nel loro luogo simbolo. È triste che a Pontida la manifestazione del 22 sia accompagnata da una sorta di coprifuoco, con la chiusura degli esercizi commerciali e del centro storico. Ciò che rende ancora più triste l’insieme è che resti fuori la vera materia del contendere, ciò su cui sarebbe essenziale la discussione, se necessario accesa. Sabato e domenica i titoli dei tg saranno dedicati alle polemiche fra De Magistris e il sindaco di Pontida, ai numeri dei partecipanti, agli eventuali danni causati. Continuerà a stare ai margini un tema assente da anni dall’agenda politica nazionale: il Sud.
Una parte di coloro che a Napoli hanno contestato Salvini hanno rievocato i torti subiti dal Mezzogiorno al momento dell’Unità, e hanno voluto manifestare contro quella che hanno inquadrato come una nuova invasione. A Napoli l’11 marzo e probabilmente a Pontida sabato prossimo fra i protestatari vi è stato e vi sarà Eugenio Bennato, che è il contrario della violenza, e che alla “conquista del Sud” e alle ragioni dei meridionali ha dedicato bellissime canzoni. Al netto dei De Magistris – il cui punto di riferimento storico sembra più Masaniello che Liborio Romano – e delle varie denominazioni di antagonisti che cercano solo un pretesto per occupare le piazze, il dato che sfugge è che da anni nessuno si occupa più del Sud. La mancanza di riflessione, e di coerente ricaduta politica, riguarda in primis chi vive e opera nel Mezzogiorno.
Non si comprende,
a fronte di una Lombardia e di un Veneto che viaggiano a livelli superiori alla media europea, quale è il modello di sviluppo cui orientare le regioni sotto il Garigliano; a fronte di fondi europei di notevole consistenza indirizzati al Sud, perché se ne continua a utilizzare una minima parte e non ci si attrezza, in competenze e capacità, per evitare la loro dispersione o restituzione, salvo poi lamentare la carenza di risorse;
a fronte di una rete di trasporti fra il Centro e il Nord efficiente e rapida, perché non ci si industria a superare il gap delle infrastrutture che persiste, con le regioni meridionali che al massimo hanno sostenuto – in spregio alla concorrenza – qualche compagnia aerea low cost non italiana;
a fronte di una morsa di criminalità di tipo mafioso che aveva conosciuto tra la fine dello scorso decennio e l’inizio di questo un contrasto organici e risultati importanti, perché questa indispensabile opera di bonifica è stata abbandonata;
a fronte di un’offerta degli atenei del Sud che privilegia ancora corsi di laurea in materie letterarie desueti e inutili, perché non ci si dedica a formare le professionalità necessarie per lo sviluppo dei territori, con insegnamenti specialisti mirati;
a fronte di un rapporto fra l’Unione Europea e gli Stati nazionali, quindi pure l’Italia, la cui dinamica ricorda – se pur con tratti meno cruenti – quello fra i Savoia e il Sud d’Italia negli anni dell’unificazione forzata, perché non ci si rende conto che beccarsi fra parti diverse della nostra Patria è il favore più grande che si può fare a certe burocrazie di Bruxelles.
Insomma, quello che a Napoli, o a Pontida, o dove volete, manca è un approfondimento, esso sì finalmente unitario, che prenda le mosse dai torti patiti dal Sud un secolo e mezzo fa ma non ne faccia occasione per riproporre nostalgie lamentose e recriminazioni sterili. Che parta da una memoria storica finalmente rispettata e risponda nel concreto, oggi, alla domanda fondamentale sul come impedire che l’Italia viva sempre più divisa a metà.
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” del 22 aprile 2017. Foto da articolo