
Di Lorenzo Cremonesi da Il Corriere del 29/01/2021
Con la liberazione di quattro estremisti islamici, già condannati per il sequestro e quindi la decapitazione ripresa in video diciannove anni fa del giornalista Daniel Pearl, le massime istituzioni pachistane tornano a confermare la loro ambigua convivenza di lunga data con il peggio della meteora jihadista.
«Una beffa, il totale travestimento di ogni giustizia. La scarcerazione di questi assassini mette in pericolo la vita di qualsiasi giornalista ovunque nel mondo, oltre a quelle dei pachistani. Chiediamo ai governi pachistano ed americano di intervenire per correggere quest’infamia», così la famiglia dell’inviato del Wall Street Journal, barbaramente ucciso tra il gennaio e febbraio 2002 da una cellula qaedista di Karachi con finalità e modalità che precedettero le esecuzioni di occidentali pochi anni dopo e sino alle decapitazioni in serie condotte da Isis, ha commentato ieri a caldo le notizie appena giunte da Islamabad.
Il passo è grave, ma era atteso da tempo. La Corte Suprema di Islamabad, il massimo organismo giuridico del Paese legato a filo doppio agli apparati di sicurezza, ha deciso di liberare Ahmed Omar Saeed al Sheikh assieme ad altri tre noti esponenti delle cellule qaediste di Karachi tutti già destinati all’ergastolo per la morte di Pearl e per la preparazione e diffusione del video. «Queste persone non avrebbero dovuto trascorrere neppure un giorno in cella», sostengono i loro avvocati. Al Sheikh, nato in Gran Bretagna da una famiglia di immigrati pachistani, era stato addirittura condannato a morte. Ma poi fonti stampa locali e soprattutto internazionali avevano ripetutamente segnalato gli sforzi a suo favore da parte dei servizi segreti militari pachistani, notoriamente legati ai talebani afghani e in generale alla causa dell’estremismo militante sunnita coinvolto nella sfida senza esclusione di colpi contro il governo indiano.
La vicenda di Daniel Pearl, d’altronde, ha segnato una fase cruciale nella storia del jihadismo mondiale nel periodo degli attentati dell’11 settembre 2001. Nominato corrispondente in India, questo reporter americano d’origini ebraiche (fatto che allora contribuì ad alimentare l’accanimento dei rapitori) si era recato ad un appuntamento con Mubarak al Gilani, noto ideologo della galassia jihadista pachistana.
Tra le condizioni per la sua liberazione, i rapitori pretendevano in cambio il rilascio dei militanti pachistani di Al Qaeda appena arrestati nel corso dell’invasione americana dell’Afghanistan. Il video della sua decapitazione in diretta sconvolse l’opinione pubblica mondiale. Poco dopo furono gli stessi servizi segreti pachistani a consegnare Al Sheikh alla polizia di Karachi. Emerse che era stato sotto loro protezione. Era una figura nota. Il suo nome era comparso in occasione del rapimento di turisti occidentali in India nel 1994 e ancora per la sua liberazione nel dicembre 1999 nel corso dello scambio di ostaggi per porre fine al sequestro di un aereo di linea indiano da parte dei gruppi kashmiri.
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