Di Fabio Carminati da Avvenire del 12/03/2022
Un altro pugno al dialogo e all’opposizione. Il regime di Daniele Ortega e moglie ha tagliato corto passando direttamente alle maniere forti, espellendo il nunzio vaticano – uomo chiave nella ricerca di una soluzione negoziata tra governo e opposizione – e assestando un altro colpo al dissenso interno. L’ennesimo atto di chi rifiuta ogni forma di confronto e che spegne ogni tentativo di dialogo o il dissenso con l’utilizzo di sistemi che il “rivoluzionario” Ortega ha raffinato negli anni di potere perpetuato.
Di azione nei confronti «di chiunque esprima critiche ai sistemi di controllo e repressione», come sottolineano molte associazioni per i diritti umani. Immediata è stata la reazione vaticana. La Santa Sede ha ricevuto «con grande sorpresa e rammarico la comunicazione che il governo del Nicaragua ha deciso di ritirare il gradimento a monsignor Waldemar Stanislaw Sommertag, Nunzio Apostolico a Managua dal 2018, imponendogli di lasciare immediatamente il Paese dopo la notifica del provvedimento».
Tale misura «appare incomprensibile – si legge in una nota – perché nel corso della sua missione monsignor Sommertag ha lavorato con profonda dedizione per il bene della Chiesa e del popolo nicaraguense, specialmente delle persone più vulnerabili, cercando sempre di favorire i buoni rapporti tra la sede apostolica e le autorità del Nicaragua». La Santa Sede ricorda in particolare «la sua partecipazione come testimone e accompagnatore del Tavolo di dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione politica, in vista della riconciliazione del Paese e della liberazione dei detenuti politici». Mentre è convinta – continua – «che tale grave e ingiustificata misura unilaterale non rispecchia i sentimenti del popolo del Nicaragua, profondamente cristiano, la Santa Sede desidera riaffermare la sua piena fiducia nel rappresentante pontificio».
Intanto, la principale oppositrice del regime in Nicaragua, Cristiana Chamorro, è stata condannata per i reati finanziari dei quali era stata accusata dal governo di Daniel Ortega e che le avevano impedito di partecipare alle elezioni presidenziali dello scorso novembre, che la vedevano favorita. Chamorro è stata riconosciuta colpevole di riciclaggio di denaro e falso ideologico. «Vogliono diffamare il mio nome, ma non ci riusciranno, ma non riusciranno mai a diffamare il nome di mio padre o di mia madre, perché sono innocente», ha dichiarato Chamorro al termine del processo, svoltosi a porte chiuse. Secondo l’accusa, i presunti illeciti sarebbero stati commessi attraverso la Fondazione Violeta Barrios de Chamorro, un centro di formazione e difesa della libertà di stampa che Cristiana Chamorro ha diretto per vent’anni.
La fondazione è stata utilizzata per ricevere denaro dall’estero destinato a destabilizzare il governo di Daniel Ortega e della vicepresidente e moglie Rosario Murillo, secondo l’accusa. Sono stati giudicati colpevoli, nell’ambito dello stesso processo, anche il fratello di Chamorro, Pedro Joaquin Chamorro, e tre ex dipendenti della Fondazione, giudicati colpevoli di riciclaggio di denaro e malversazione. Il verdetto sarà emesso il 21 marzo. L’accusa ha chiesto per gli imputati condanne fino a 13 anni.