Michele Vietti, Cristianità n. 124-125 (1985)
A distanza di sette anni dalla introduzione della disciplina delle locazioni secondo la legge 27 luglio 1978 n. 392, proroghe e blocchi di canoni e di fitti anziché scomparire si sono accentuati e moltiplicati: dal blocco dei fitti si è passati al blocco degli sfratti; da contratti a tempo determinato a contratti a tempo sostanzialmente indeterminato.
Sulla via aperta dall’«equo canone»
«Nicolazzi “ter”»
1. Quanti, pochi, si erano illusi che la nuova disciplina delle locazioni introdotta con la legge 27 luglio 1978 n. 392 – nota come «equo canone» – pur tra tanti difetti avesse almeno il pregio di interrompere l’interminabile catena di proroghe, restituendo al proprietario se non la possibilità di fissare la durata del contratto – predeterminata per legge – almeno la sicurezza di poter fare affidamento su una durata certa e una scadenza altrettanto certa, sono stati irrimediabilmente delusi dai recenti interventi legislativi in materia locatizia.
2. Con decreto legge 18 settembre 1984 n. 582 sono stati sospesi fino al 30 gennaio 1985 gli sfratti nei 28 maggiori comuni d’Italia, considerati ad alta tensione abitativa secondo la deliberazione del CIPE in data 22 febbraio 1980.
Con decreto legge 1º dicembre 1984 n. 795 l’esecuzione dei provvedimenti di sfratto è stata ulteriormente sospesa fino al 30 giugno 1985 e la sospensione è stata estesa a tutti i comuni con oltre trecentomila abitanti e a tutti i comuni loro confinanti o contermini, nonché ai 185 comuni di particolare tensione abitativa di cui alla deliberazione del CIPE in data 29 luglio 1982.
Con decreto legge 7 febbraio 1985 n. 12 la sospensione degli sfratti fino al 30 giugno 1985 è stata ribadita relativamente a 405 comuni – in cui vive circa un terzo della popolazione italiana -, che sono poi diventati molti di più dopo che il CIPE si è avvalso della facoltà, conferitagli dalla legge, di integrare l’elenco di tali comuni.
Né il primo né il secondo decreto sono stati convertiti in legge: lo è stato il terzo, battezzato «Nicolazzi ter», anche se con profonde modifiche frutto di un vero e proprio colpo di mano.
Solo il Partito Liberale Italiano e Democrazia Proletaria hanno votato contro tale conversione in legge, mentre il Partito Comunista Italiano e il Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale si sono astenuti, e gli altri partiti hanno espresso voto favorevole.
3. Per quanto attiene alle locazioni di immobili destinati ad abitazione la legge di conversione 5 aprile 1985 n. 118 ricalca il decreto, prevedendo la sospensione degli sfratti e la loro graduazione a decorrere dal 1º luglio 1985 per i provvedimenti esecutivi anteriori al 30 giugno 1983, dal 30 settembre 1985 per quelli esecutivi tra il 1º luglio 1983 e il 31 dicembre 1983, dal 30 novembre 1985 per quelli esecutivi tra il 1º gennaio 1984 e la data di entrata in vigore del decreto – 8 febbraio 1985 – dal 31 gennaio 1986 per quelli divenuti esecutivi dopo l’8 febbraio 1985.
Quando lo sfratto è fondato sulla morosità del conduttore o su una delle ipotesi di cui all’art. 59 legge 27 luglio 1978 n. 392 nn. 1 – limitatamente all’uso abitativo -, 2, 3, 6, 7, 8 (1), la disciplina della sospensione e graduazione è inapplicabile e il provvedimento di rilascio diviene immediatamente operativo.
Si prevede che in tale modo troveranno applicazione circa il 20% degli sfratti pendenti (2): al riguardo va però ricordato che le cause di recesso di cui all’art. 59 legge 392/78 si riferiscono alla disciplina transitoria dei contratti soggetti a proroga, i quali sono tutti scaduti per legge quantomeno fino dal 31 dicembre 1983.
La legge di conversione ha sospeso pure fino al 30 giugno 1985 l’esecuzione degli sfratti per immobili e fondi rustici nelle zone terremotate di Campania e di Basilicata: il Senato aveva soppresso questa ulteriore eccezione nel tentativo di riallineare dopo quattro anni il regime locatizio di quelle zone al resto del paese, ma la Camera ha reintrodotto la proroga.
Ulteriore ipotesi di sospensione dell’esecuzione riguarda i conduttori che si sono resi assegnatari di alloggi economico-popolari o promissari acquirenti di un alloggio di edilizia agevolata: fino alla consegna dell’alloggio e comunque non oltre il 30 giugno 1986 lo sfratto nei loro confronti non può eseguirsi.
4. Con i provvedimenti adottati il legislatore mostra chiaramente – quantomeno per i locali ad uso abitativo – di non intervenire più sul rapporto locatizio prorogandone d’imperio la durata, ma di operare sul momento esecutivo – quando cioè il rapporto si è risolto -, prorogando continuamente la data in cui il locatore può riottenere, di fatto, la disponibilità dell’alloggio.
Si è passati, insomma, dal blocco dei fitti a quello degli sfratti: anche se giuridicamente si tratta di operazioni diverse in quanto la seconda e non la prima rispetta la durata – peraltro non convenzionale, ma legale – del contratto, tuttavia sul piano degli effetti pratici entrambe privano sine die il proprietario della possibilità di riottenere alla scadenza il proprio bene.
Ciò riproduce quella alterazione dell’equilibrio tra interessi dei conduttori e interessi dei proprietari che ha fondato le censure di incostituzionalità contro il regime vincolistico formulate dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 3 e 4 del 15 luglio 1976.
Né la continuità e la sistematicità degli interventi di proroga consentono di ravvisare i caratteri di straordinarietà e di temporaneità che potrebbero giustificare singoli interventi eccezionali.
Scompare dunque, nuovamente, il contratto a tempo determinato, timidamente affacciatosi sulla scena giuridica dopo la entrata in vigore dell’equo canone che assicurava una durata massima quadriennale delle locazioni abitative, e tutti i contratti tornano a essere, de facto, a tempo indeterminato.
5. Quanto agli immobili a uso non abitativo, il decreto ter si limitava a prorogare le locazioni di uffici e negozi di cui alla lettera a) dell’art. 67 legge 392/78 – cioè quelle stipulate prima del 31 dicembre 1964 – fino al 30 giugno 1985: si trattava dei contratti che avrebbero dovuto scadere nel 1982, e che furono prorogati con legge 25 marzo 1982 n. 94 di un biennio e ancora prorogati fino al 31 dicembre 1984 con legge 25 luglio 1984 n. 377.
Numerose voci di dissenso si erano levate e da parte delle associazioni di proprietari e da parte degli operatori del diritto:
la ennesima proroga trascurava i chiari avvertimenti che la Corte Costituzionale aveva voluto ancora inviare al legislatore con la sentenza n. 89 del 1984, vanificava ulteriormente l’autonomia contrattuale dei privati, la sua brevità aggiungeva incertezze e confusione in una materia in cui era sempre più difficile orientarsi e infine portava la scadenza dei contratti più vecchi a sopravanzare quella del secondo scaglione di contratti previsto dal citato articolo 67 – quelli stipulati tra il 1963 e il 1973 – che la legge dell’equo canone aveva voluto fare cessare successivamente.
In sede di conversione anziché colmare le lamentate lacune si è scelto di aprire il baratro.
Sia il disegno di legge di conversione sia la relazione delle commissioni riunite nel testo all’esame del Senato non contenevano novità.
Improvvisamente, nella seduta del 12 marzo 1985, il relatore Padula, democristiano, proponeva un vero e proprio pacchetto di innovazioni relative alle locazioni non abitative.
La Camera ha parzialmente attenuato gli effetti più clamorosi di tali innovazioni – quantomeno sotto il profilo remunerativo -, ma il regime dei contratti relativi a immobili destinati a uso diverso dall’abitazione ne è uscito rivoluzionato.
Queste le principali novità:
a. Tutte le locazioni stipulate fino all’agosto 1978 si intendono automaticamente rinnovate per sei anni – nove se si -tratti di alberghi o pensioni – (3): per i contratti anteriori al 1964 le proroghe ammontano perciò, a partire dal 1978, a quattro anni più due anni più cinque mesi più sei anni; per i contratti stipulati tra il 1965 e il 1973: cinque anni più due anni più sei anni; per i contratti successivi al 1973: sei anni più due anni più sei anni.
b. Il locatore può escludere la rinnovazione solo invocando la propria necessità di riottenere la disponibilità dell’immobile per uno dei motivi di cui all’art. 29 legge 392/78 (4).
c. Il proprietario deve rendere nota al conduttore la volontà di non rinnovare il contratto per i motivi suindicati entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge.
d. Tutte le disdette dei contratti e i provvedimenti di rilascio non fondati sui motivi suindicati perdono efficacia.
e. La nuova disciplina si applica anche ai giudizi in corso.
6. La prima considerazione da fare è che una legge presentata come relativa a «misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa» ha in realtà rappresentato il pretesto per modificare surrettiziamente la legge sull’equo canone in relazione alle locazioni non abitative.
Il sistema dell’equo canone, della cui riforma globale sempre si parla senza mai fare nulla, risentirà inevitabilmente di questa spallata, che risponde alla solita logica di introdurre rappezzi sotto spinte elettorali senza valutarne gli effetti: e questa volta vi erano i commercianti da ammansire dopo la «stangata Visentini».
La legge del 1978, pur tra i tanti difetti (5), aveva cercato di rispettare una sua coerenza interna rispetto alla scelta di fondo di affidare il canone delle abitazioni all’eteroregolamentazione – cioè alla determinazione del legislatore – e il canone delle locazioni di negozi e uffici all’autoregolamentazione – cioè alla libera scelta delle parti.
L’art. 69 dell’equo canone aveva introdotto, per le locazioni in corso, dopo una proroga che doveva essere l’ultima, il diritto di prelazione a parità di condizioni di offerta, a favore del vecchio inquilino: grazie a questo meccanismo il canone doveva trapassare al massimo entro il 1984 in regime di libera contrattazione.
La nuova versione dello stesso articolo così come modificata dalla legge n. 118/85 non contempla più la prelazione ma impone tout court una proroga pari al massimo della durata delle locazioni non abitative: il canone, poi, non ritorna nella libera determinazione delle parti, ma è rimesso alla revisione legale in base agli indici ISTAT.
Si è sostituito il diritto di prelazione a parità di offerta con un diritto potestativo al rinnovo con canone imposto; si sono trasformati contratti fòrmalmente a tempo determinato in contratti sostanzialmente a tempo indeterminato – perché tali sono quelli in vita da prima del 1964 al 1990 -, senza neppure più consentire il recesso del proprietario in corso di rapporto per nessun motivo.
È, infine, gravissima l’interferenza della nuova normativa sui processi in corso e la sanzione di inefficacia di disdette e di provvedimenti di rilascio già intimati.
Altrettanto grave è, poi, l’onere imposto ai proprietari di comunicare a pena di decadenza ai conduttori la propria necessità, che impedisce la rinnovazione automatica per sei anni, entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, termine che certo sarà passato inosservato ai più.
7. Come si concilia ciò che ho esposto con il monito della Corte Costituzionale secondo cui una disciplina vincolistica delle locazioni è tollerabile solo se avente i caratteri della straordinarietà e della temporaneità, perché diversamente non sarebbe tutelato in maniera adeguata il diritto di proprietà e si violerebbe l’art. 42 della Costituzione?
Come si concilia una proroga di sei anni quando la stessa Corte ha giudicato la precedente proroga biennale come una «non lieve anomalia» nel quadro normativo conseguente alla legge del 1978, tollerabile solo perché qualificata come misura del tutto eccezionale di mera natura temporanea e inerente a una situazione irripetibile?
Ma il legislatore mostra di sapere sacrificare gli scrupoli di legittimità costituzionale sull’altare delle clientele, contando di farla franca almeno per un po’ grazie ai tempi lunghi richiesti dalle pronunce della Corte Costituzionale.
Ed è, si badi, lo stesso legislatore che nella relazione alla legge n. 392/1978 aveva previsto «come uno degli effetti più importanti, che il regime vincolistico oggi vigente si ridurrà in un primo tempo alle poche norme del genere contenute nel titolo secondo della legge, per essere poi completamente abrogato una volta che sia cessata la fase transitoria e siano quindi venuti meno i principi della proroga e del blocco dei canoni. In quel momento avrà completa espansione per tutto il settore delle locazioni la disciplina prevista per questo contratto dal codice civile …» (6).
A distanza di sette anni proroghe e blocchi di canoni e di fitti anziché scomparire si sono accentuati e moltiplicati.
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio»: lo Stato socialista quando promette di ridurre l’occupazione della società dice una bugia, quando opera per accentuarla fa sul serio.
Michele Vietti
Note:
(1) L’art. 59 contempla varie ipotesi di recesso del locatore: 1. quando abbia la necessità di destinare l’immobile a uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge e dei parenti in linea retta entro il secondo grado; 2. quando, volendo disporre dell’immobile per abitazione propria, del coniuge o dei parenti in linea retta fino al secondo grado, offra al conduttore altro immobile idoneo in cambio; 3. quando l’immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato; 4. quando l’immobile debba essere demolito o trasformato; 5. quando l’immobile sia di interesse artistico e la sovraintendenza riconosca la necessità di restauri; 6. quando il conduttore disponga di altra abitazione nello stesso comune o in comune confinante; 7. quando il conduttore, avendo sublocato parzialmente l’immobile, non lo occupi con continuità; 8. quando il conduttore non occupi continuamente l’immobile senza giustificato motivo.
(2) cfr. Corriere giuridico, anno 2, n. 3, marzo 1985, p. 271.
(3) In realtà, facendo la norma riferimento agli articoli 27 «e seguenti», si può sostenere che in base agli articoli 28 e 29 la proroga è in realtà di dodici anni per i negozi e di 18 anni per gli alberghi.
(4) L’art. 29 prevede il diniego della rinnovazione del contratto quando il locatore abbia necessità di adibire l’immobile ad abitazione, oppure a esercizio proprio o del coniuge o di parenti entro il secondo grado in linea retta, nonché di demolire l’immobile, ricostruirlo o ristrutturarlo.
(5) Cfr. il mio La nuova disciplina delle locazioni, in Cristianità, anno VII, n. 46, febbraio 1979.
(6) Atti Senato, n. 465, VII legislatura.