
Da Avvenire del 28/05/2021
Per anni è stata la memoria storica della tragedia di Piazza Tienanmen, quella stessa memoria confiscata, negata, proibita in Cina. Per il secondo anno consecutivo Hong Kong deve però arrendersi: niente celebrazioni, niente rievocazione. La polizia ha negato l’autorizzazione alla veglia per Tienanmen per il 4 giugno. Il silenzio deve continuare a circondare il massacro del 1989. È un ulteriore passo verso l’annientamento di quella particolarità – una vera e propria spina nel fianco del regime cinese – che è, e rischia di non essere, più Hong Kong. Pechino sta smontando pezzo dopo pezzo l’autonomia della regione. L’ultimo tassello: la riforma del sistema elettorale voluta che permetterà solo ai cosiddetti “patrioti” di avere posti di rilievo nell’amministrazione della città. Ieri è arrivato il sì del Consiglio legislativo, il mini- parlamento della città dopo il pronunciamento, a marzo, dell’organo legislativo del Parlamento cinese, il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo. La riforma prevede una drastica riduzione dei parlamentari eletti dai cittadini, con l’effetto di marginalizzare le voci democratiche della città. Non solo: la nuova legge autorizza il Dipartimento di sicurezza nazionale a verificare i precedenti dei candidati e istituisce un nuovo comitato per garantire che i candidati siano “patriottici”. In pratica potranno concorrere solo i candidati graditi a Pechino. Il numero dei seggi sarà ampliato a 90, 40 dei quali eletti da un comitato elettorale in gran parte pro-Pechino. Il numero di legislatori eletti direttamente dagli elettori di Hong Kong verrà ridotto a 20, dai 35 precedenti.
La Hong Kong democratica, quella che continua a vivere i fatti di Tienanmen come una ferita non risanabile e, allo stesso tempo, come una minaccia sempre incombente sulla fragile autonomia della regione, non potrà ritrovarsi al Victoria Park. Il “no” alla veglia – come accadeva l’anno scorso – è stato motivato come una necessità imposta dalla lotta al coronavirus. Una conferma che la pandemia si è trasformata, nelle mani di Pechino, in un ulteriore strumento di controllo sociale e politico. L’Hong Kong Alliance, che per 30 anni ha organizzato l’evento, ha inviato una breve dichiarazione confermando il rigetto della richiesta. Il ministro della Sicurezza John Lee, citato dai media locali, ha avvertito che «chiunque vi parteciperà violerà la legge», avvertendo che la nuova legge sulla sicurezza nazionale che Pechino ha imposto sull’ex colonia potrebbe trovare applicazione contro coloro che sfidano il divieto.
Nel 2019, in occasione dei trent’anni dal massacro, il Victoria Park fu inondato da qualcosa come 180mila persone. Una marea umana, raccolta, silenziosa, tenace. Un mare di candele si accese per ricordare le vittime della lotta per lo democrazia. Quest’anno quelle luci non torneranno a illuminarsi. E il futuro di Honk Kong sarà sempre più buio.