Sempre nell’ambito delle catechesi sulla vecchiaia, il Papa esplora i contenuti del dogma dell’Assunzione di Maria dal punto di vista cristologico ed ecclesiologico
di Michele Brambilla
Papa Francesco introduce l’udienza del 24 agosto ricordando che «abbiamo da poco celebrato l’Assunzione in cielo della Madre di Gesù. Questo mistero illumina il compimento della grazia che ha plasmato il destino di Maria, e illumina anche la nostra destinazione. La destinazione è il cielo», ripete ancora una volta, e «con questa immagine della Vergine assunta in cielo vorrei concludere il ciclo delle catechesi sulla vecchiaia. In occidente la contempliamo elevata verso l’alto avvolta di luce gloriosa; in oriente è raffigurata distesa, dormiente, circondata dagli Apostoli in preghiera, mentre il Signore Risorto la porta tra le mani come una bambina», dato che non si può entrare nel Regno dei Cieli senza una sanissima infanzia spirituale (Mt 18,3).
Riflettendo sul grande privilegio mariano, il Papa osserva che «la teologia ha sempre riflettuto sul rapporto di questa singolare “assunzione” con la morte, che il dogma non definisce. Penso che sarebbe ancora più importante esplicitare il rapporto di questo mistero con la risurrezione del Figlio, che apre la via della generazione alla vita per tutti noi», unendo sia l’aspetto cristologico che quello ecclesiologico. «Nell’atto divino del ricongiungimento di Maria con Cristo Risorto», infatti, «non è semplicemente trascesa la normale corruzione corporale della morte umana, non solo questo, è anticipata l’assunzione corporale della vita di Dio. Viene infatti anticipato il destino della risurrezione che ci riguarda: perché, secondo la fede cristiana, il Risorto è primogenito di molti fratelli e sorelle. Il Signore risorto è Colui che è andato prima, che è risorto prima di tutti, poi andremo noi».
Pensando alla risurrezione, «potremmo dire – seguendo la parola di Gesù a Nicodemo – che è un po’ come una seconda nascita (cfr Gv 3,3-8). Se la prima è stata una nascita sulla terra, questa seconda è la nascita al cielo. Non a caso l’Apostolo Paolo, nel testo che è stato letto all’inizio, parla delle doglie del parto (cfr Rm 8,22). Come, appena usciti dal seno di nostra madre, siamo sempre noi, lo stesso essere umano che era nel grembo, così, dopo la morte, nasciamo al cielo, allo spazio di Dio, e siamo ancora noi che abbiamo camminato su questa terra». In entrambi i casi, c’è un passaggio travagliato da attraversare, che riguarda anche l’intera creazione. La creazione “geme”, come dice san Paolo, perché la storia umana, purtroppo, non è un pranzo di gala e anela dall’inizio dei secoli al suo compimento in Cristo, tenendo conto del fatto che questo accade «analogamente a quanto è accaduto a Gesù: il Risorto è sempre Gesù: non perde la sua umanità, il suo vissuto, e neppure la sua corporeità, no, perché senza di essa non sarebbe più Lui, non sarebbe Gesù: cioè, con la sua umanità, con il suo vissuto», come poterono constatare i discepoli dopo la Pasqua.
La nostra identità, quindi, non è messa a repentaglio da questo processo, ma tutelata e sviluppata ad ogni passaggio con un notevole incremento: «il Signore mostra le ferite che hanno sigillato il suo sacrificio; ma non sono più le brutture dell’avvilimento dolorosamente patito, ormai sono la prova indelebile del suo amore fedele sino alla fine. Gesù risorto con il suo corpo vive nell’intimità trinitaria di Dio! E in essa non perde la memoria, non abbandona la propria storia, non scioglie le relazioni in cui è vissuto sulla terra».
Nulla di quello che abbiamo amato o realizzato in vita andrà quindi perduto. «Nella nostra vecchiaia, care e cari coetanei, e parlo», rimarca il Pontefice, «ai “vecchi” e alle “vecchiette”, nella nostra vecchiaia l’importanza di tanti “dettagli” di cui è fatta la vita – una carezza, un sorriso, un gesto, un lavoro apprezzato, una sorpresa inaspettata, un’allegria ospitale, un legame fedele – si rende più acuta. L’essenziale della vita, che in prossimità del nostro congedo teniamo più caro, ci appare definitivamente chiaro. Ecco: questa sapienza della vecchiaia è il luogo della nostra gestazione, che illumina la vita dei bambini, dei giovani, degli adulti, e dell’intera comunità. Noi “vecchi” dovremmo essere questo per gli altri: luce per gli altri», insiste, perché «l’intera nostra vita appare come un seme che dovrà essere sotterrato perché nasca il suo fiore e il suo frutto. Nascerà, insieme con tutto il resto del mondo» nuovo. «Non senza doglie, non senza dolore, ma nascerà (cfr Gv 16,21-23)», e la vita da risorti sarà imparagonabile a quella terrena.
«Il Signore Risorto, non a caso, mentre aspetta gli Apostoli in riva al lago, arrostisce del pesce (cfr Gv 21,9) e poi lo offre loro. Questo gesto di amore premuroso ci fa intuire che cosa ci aspetta mentre passiamo all’altra riva», ovvero la piena riconoscenza del Signore verso i suoi servi. Il travaglio, si sa, fa paura, ma «la Madre del Signore e Madre nostra, che ci ha preceduti in Paradiso, ci restituisca la trepidazione dell’attesa perché non è un’attesa anestetizzata, non è un’attesa annoiata, no, è un’attesa con trepidazione: “Quando verrà il mio Signore? Quando potrò andare là?” Un po’ di paura perché questo passaggio non so cosa significa e passare quella porta dà un po’ di paura ma c’è sempre la mano del Signore che ti porta avanti e attraversata la porta c’è la festa. Siamo attenti, voi cari “vecchi” e care “vecchiette”, coetanei, siamo attenti, Lui ci sta aspettando, soltanto un passaggio e poi la festa», da far intuire specialmente ai giovani, disperati perché immersi, volenti o nolenti, nel materialismo, che non vede nulla oltre i piaceri di questa terra.
Solo chi ha uno sguardo trascendente comprende qual è la vera dignità dell’uomo. In quest’ottica bisogna leggere la lunga postilla che il Santo Padre aggiunge all’udienza per avvertire che siamo già al sesto mese di guerra in Ucraina: «porto nel cuore i prigionieri, soprattutto quelli che si trovano in condizioni fragili, e chiedo alle autorità responsabili di adoperarsi per la loro liberazione. Penso ai bambini, tanti morti, poi tanti rifugiati – qui in Italia ce ne sono tanti – tanti feriti, tanti bambini ucraini e bambini russi che sono diventati orfani e l’orfanità non ha nazionalità, hanno perso il papà o la mamma, siano russi siano ucraini. Penso a tanta crudeltà, a tanti innocenti che stanno pagando la pazzia, la pazzia di tutte le parti, perché la guerra è una pazzia e nessuno in guerra può dire: “No, io non sono pazzo”». Ad ulteriore dimostrazione di questa equanimità nella valutazione dei contendenti, Francesco pronuncia una dura condanna dell’attentato a Darya Dugina, figlia del discusso politologo russo Alexander Dugin: «penso a quella povera ragazza volata in aria per una bomba che era sotto il sedile della macchina a Mosca. Gli innocenti pagano la guerra, gli innocenti! Pensiamo a questa realtà e diciamoci l’un l’altro: la guerra è una pazzia. E coloro che guadagnano con la guerra e con il commercio delle armi sono dei delinquenti che ammazzano l’umanità». Ricorda altre aree di crisi, «ma oggi in modo speciale, a sei mesi dall’inizio della guerra, pensiamo all’Ucraina e alla Russia, ambedue i Paesi ho consacrato all’Immacolato Cuore di Maria, che Lei, come Madre, volga lo sguardo su questi due Paesi amati: veda l’Ucraina, veda la Russia e ci porti la pace».
Giovedì, 25 agosto 2022