Da Avvenire del 22/04/2018. Foto da articolo
La sconvolgente vicenda di Alfie Evans da Liverpool, due anni il 9 maggio, non solo ci sta ponendo di fronte all’approdo immediato di una cultura che mette la vita umana tra i beni rinunciabili in nome di altro (la sua asserita «qualità») ma ci permette di conoscere personaggi che spiccano subito in mezzo a una scena abitata purtroppo anche da giudici pedanti, medici rinunciatari, mediache rimuovono il caso.Quanto ci sia necessario incontrare persone come Thomas Evans, per tutti Tom, lo si capisce quando lo si incontra nel mezzo di eventi drammatici come la condanna del figlio a una morte prematura perché sarebbe suo «miglior interesse» concludere quanto prima una vita giudicata, per sentenza, «inutile». Se applichiamo i parametri correnti, Tom ha tutto per essere considerato un uomo irrilevante: ha 21 anni, fa l’imbianchino, tira la fine del mese, arriva dal popoloso sobborgo industriale di una città come Liverpool più nota per la sua squadra di calcio e i Beatles che per lo sviluppo, aggiungiamo pure che tifa per la squadra meno ricca della città, l’Everton. Mette al mondo un figlio a 19 anni con Kate, diciottenne che studia da estetista, anglicana (lui è cattolico). E pochi mesi dopo si trova dentro una storia molto più grande di loro: quel bambino bellissimo (ci sono video in rete che lo mostrano pieno di vita e di risate mentre la mamma lo fa giocare) accusa problemi di crescita, i medici dell’Alder Hey Hospital non hanno mai visto nulla di simile, e due anni dopo ancora non sono stati in grado di dare un nome a una malattia che si sta portando via la gioia di quei due ragazzi di periferia, giorno dopo giorno. Loro chiedono solo di potergli tenere la mano fino all’ultimo minuto che la misteriosa patologia neurodegenerativa gli concederà, i dottori della medicina e della legge dicono che così lo si fa solo soffrire e dunque è meglio spegnere il respiratore «nel suo migliore interesse», che sarebbe morire.
È in queste circostanze che si capisce la grandezza di un uomo: e Tom è indubbiamente un grande, fa scudo ad Alfie e Kate con una dignità che suona come una lezione al mondo, anche se il mondo non vuole ascoltare. Dialogare con lui, sebbene per poche battute, è un dono: il donodella conoscenza di un’umanità moltiplicata e non piegata dalla prova. La stessa che ha toccato il cuore del Papa nell’udienza privata di mercoledì a Casa Santa Marta tanto da fargli chiedere a Mariella Enoc, presidente del «suo» Ospedale pediatrico Bambino Gesù, di fare «il possibile e l’impossibile» per portare Alfie a Roma. Tom è un uomo semplice e limpido, di parole asciutte ma chiare, nelle 36 ore trascorse a Roma si è sentito a casa, accolto da un affetto e una comprensione che a Liverpool aveva solo sognato. «Noi non ci arrendiamo», è la sua promessa mentre attende il responso della Corte Europea di Strasburgo, difficilmente positivo. Ecco cosa dice ai lettori diAvvenire.
Lei e Kate cosa chiedete per vostro figlio?
Il nostro desiderio è onorare la vita di Alfie con quanto più amore e felicità possibile, fino alla fine dei suoi giorni.
Cos’ha provato durante il colloquio con Francesco?
Ero molto emozionato e inquieto, ma mi sono sentito incoraggiato e benedetto per il fatto di poter parlare con lui.
Com’è stato il colloquio al Bambino Gesùcon Mariella Enoc?
È stata davvero molto gentile e premurosa, vuole aiutare il maggior numero possibile di bambini come Alfie.
Cosa si attende dai medici?
Desideriamo che si dedichino alla cura di Alfie con il cuore e l’anima e lo portino dove ha bisogno di stare. Siamo convinti che serva una tracheotomia e un sondino per la nutrizione, con esami per cercare di arrivare a una diagnosi e a una possibile terapia.
Com’è il rapporto con i medici dell’Alder Hey di Liverpool?
All’inizio sono stati molto affettuosi ma poi hanno insistito troppo per spegnere le macchine di Alfie, e quando abbiamo detto di no hanno cominciato a comportarsi in modo diverso con noi.
Perché vogliono far morire Alfie prima del tempo?
Perché in Inghilterra i bambini disabili vengono discriminati a causa delle loro necessità e dei costi per le cure.
Che impressione ha avuto nel suo viaggioa Roma?
Vi amiamo tutti, Alfie appartiene all’Italia. Siamo fortunati di avere il vostro appoggio. Forza squadra coraggio! (lo esclama in italiano,ndr).
Francesco Ognibene