Da Avvenire del 29/11/2018. Foto da italianialondra.com
E come le donne senza figli siano aumentate da poco più di una su dieci nelle generazioni nate negli anni ’50 e ’60, al 22% (quasi una su quattro!) tra le donne nate alla fine degli anni ’70. Non serve grande lungimiranza per capire che, da un tale stato di cose ben difficilmente si potrà ricavare quell’apporto di capitale umano che serve al Paese per garantirgli sviluppo e soprattutto per dare sostegno alle crescenti esigenze che vanno prospettandosi sul fronte del welfare. Occorre dunque cambiare le condizioni di contesto entro cui maturano le scelte riproduttive. E occorre farlo in fretta, senza illudersiche esistano magiche soluzioni.Se vogliamo affrontare seriamente il problema dobbiamo farlo combinando gli strumenti della politica e della cultura. Ad esempio, dobbiamo prendere atto che sino ad ora è stata la logica del contrasto alla povertà a dominare le scelte di politica familiare, non il sostegno alla natalità. Abbiamo spesso introdotto – anche per oggettive difficoltà di bilancio – soglie di reddito destinate ad escludere gran parte delle famiglie da qualunque forma di supporto alla genitorialità. Ciò mentre l’esperienza di altri Paesi ha chiaramente mostrato che l’unica efficace strategia di contrasto alla denatalità è quella derivante dalla combinazione tra servizi di cura (accessibili), misure di conciliazione tra maternità e lavoro e interventi fiscali e di supporto economico concepiti a favore (anche) della classe media. I 200 mila nati in più (con circa la nostra stessa popolazione) in un Paese come la Francia o la crescita di 100 mila registrata in Germania nell’ultimo quinquennio – quando da noi accadeva il contrario – sono la dimostrazione che non è con sussidi riservati ai redditi più bassi, di importo modesto e limitati nel tempo che si raddrizzano le tendenze. Occorrono risorse nuove ma servono anche capacità (e fantasia) per immaginare soluzioni nuove, o semplicemente per recuperare e valorizzare quelle indicazioni – tipo alcuni spunti del Piano Nazionale sulla Famiglia fermo al palo dal 2012 – che possono avviare la cura di questa nostra demografia malata.
Gian Carlo Blangiardo