Conferenza Episcopale Portoghese, Quaderni di Cristianità, anno I, n. 3, inverno 1985
In seguito all’ammissione del Portogallo nella Comunità Economica Europea, il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Portoghese ha emesso una nota pastorale. Il testo del documento è comparso in Lumen, anno 46, n. 5, maggio 1985, pp. 3-5, con il titolo Nota Pastoral do Conselho Permanente sobre a integração de Portugal na Comunidade Económica Europeia. La traduzione dal portoghese è di Giovanni Cantoni.
Nota pastorale del Consiglio Permanente sulla integrazione del Portogallo nella Comunità Economica Europea
1. Lo scorso 28 marzo è stata diffusa la notizia che, dopo lunghe trattative, è stato finalmente deciso di ammettere Portogallo e Spagna come membri a pieno titolo della Comunità Economica Europea. L’avvenimento è stato occasione a che, nella sfera ecclesiale, vi fosse scambio di messaggi tra le Chiese sorelle dell’area della CEE.
Come è noto, in seno al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) — del quale fa parte, dall’inizio, anche la Conferenza Episcopale Portoghese — è sorto già da anni un gruppo più ristretto che ingloba gli episcopati dei paesi della Comunità Economica Europea (COMECE). La Conferenza Episcopale Portoghese è stata immediatamente invitata a fare parte di questo gruppo. Per non metterci avanti rispetto alla situazione che avrebbe potuto crearsi, abbiamo preferito che il vescovo delegato della nostra Conferenza avesse, in questo gruppo, la qualifica non di membro a pieno titolo ma di semplice osservatore. Questo ci ha permesso di seguire i problemi, in modo particolare quelli di ordine pastorale derivanti dalla nostra integrazione nella Comunità Europea e di stringere con i rispettivi episcopati relazioni di «comunione ecclesiale».
Appena è stata diffusa la notizia dell’ammissione dei due paesi iberici nella Comunità Economica Europea, i responsabili della COMECE hanno diretto ai presidenti delle conferenze episcopali del Portogallo e della Spagna una lettera nella quale esprimevano le loro congratulazioni per questo avvenimento e sottolineavano alcuni fra i pericoli e le sfide che questa integrazione porta con sé.
2. È necessario distinguere il principio della integrazione e gli aspetti tecnici che essa comporta. La giustezza del principio sembra non presentare dubbi, data la posizione geografica dei due paesi iberici e la matrice culturale comune dei paesi che costituiscono la Comunità Economica Europea. Per quanto ci riguarda, essendovi attualmente nella CEE più di un milione di emigrati portoghesi (e di loro figli ivi nati), è possibile risolvere in modo adeguato i problemi derivanti da questa situazione soltanto con una stretta intesa con i paesi comunitari.
Senza pronunciarci su aspetti puramente tecnici, che non sono di nostra competenza, siamo lieti di vedere il Portogallo nella Comunità Economica Europea, a rafforzare in questo modo la integrazione nel suo habitat geografico e spirituale che è l’Europa.
Di questa Europa, due anni fa a Santiago di Compostella, in occasione della sua visita pastorale in Spagna, Giovanni Paolo II ha parlato nei termini seguenti davanti a organismi europei: «La storia della formazione delle nazioni europee va di pari passo con la loro evangelizzazione, fino al punto che le loro frontiere coincidono con quelle della penetrazione del Vangelo. Dopo venti secoli di storia, nonostante i conflitti sanguinosi che i popoli dell’Europa hanno affrontato e nonostante le crisi spirituali che hanno segnato la vita del continente — fino a porre alla coscienza del nostro tempo gravi interrogativi sulla loro sorte futura — si deve affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il cristianesimo e che precisamente in esso si trovano quelle radici comuni a partire dalle quali è maturata la civiltà del continente, la sua cultura, il suo dinamismo, la sua attività, la sua capacità di espansione costruttiva anche negli altri continenti: in una parola, tutto quanto costituisce la sua gloria».
3. Pensiamo che la integrazione del Portogallo nella Comunità deve essere considerata non come un favore, ma come l’applicazione del principio di solidarietà che unisce tutti i paesi tra loro, in modo particolare quelli che hanno lo stesso fondamento culturale e interessi comuni, oltre alla vicinanza geografica. Anche perché, se gli altri membri della comunità hanno qualcosa da darci e noi verremo, di conseguenza, a guadagnare dalla integrazione, anche noi abbiamo qualcosa da offrire loro.
Dunque, la Comunità Economica Europea non poteva, senza negare i suoi stessi interessi, ignorare i due paesi della penisola, non soltanto per una ragione di solidarietà, ma anche perché Portogallo e Spagna presentano culture, specifici modi di essere nel mondo e posseggono una esperienza storica di lunga convivenza con altri paesi, segnatamente dell’Africa e dell’America Latina, con i quali, oltre a molti altri fattori di unità, hanno quello di due lingue affini, fra le più parlate del mondo.
4. La nostra integrazione si verrà realizzando non senza rischi. Alcuni di questi rischi sono prevedibili; altri farà scoprire soltanto lo svolgersi degli avvenimenti. Per definire la situazione che ci apprestiamo ad affrontare è stata usata la parola «sfida».
Prima di tutto si tratterà di una sfida alla capacità del paese di mettersi al passo nel campo delle tecnologie, con gli altri membri della Comunità. Si tratterà anche di una sfida al senso di solidarietà dei paesi della Comunità perché non cedano alla tentazione di installare fra noi industrie che non vogliono avere da loro, e di creare nuove forme di colonialismo.
Ma la sfida si darà anche in altri campi. I vescovi firmatari della lettera già citata attirano fondatamente l’attenzione sul pericolo costituito dall’entrata nel Mercato Comune per la nostra identità nazionale. Ci troveremo nella necessità di fare uno sforzo rinnovato per ravvivare la coscienza del valore insostituibile della nostra personalità collettiva e del nostro patrimonio culturale: la storia, la lingua, la morigeratezza e l’umanità dei costumi, il folklore, il carattere ospitale, l’esistenza di una vasta rete di evidente volontariato nella vita pastorale e nelle istituzioni come le Misericordie e altre associazioni umanitarie; in una parola, la nostra cultura e segnatamente la nostra religione cattolica.
5. Questa è una sfida che riguarda in modo particolare la Chiesa di Portogallo, ma riguarda anche la Chiesa che è nei paesi della CEE.
Ringraziamo gli episcopati della Comunità del proposito, già affermato, di intima collaborazione nel nostro campo specifico, il campo dell’azione pastorale.
Questa azione pastorale deve cercare di evitare, da una parte, che affoghino in mezzo a preoccupazioni puramente economiche i valori spirituali, dal momento che continua a essere vero che «non di solo pane vive l’uomo» (Mt. 4, 4). A questo proposito non si tratta soltanto di ciascuno di noi, individualmente considerato, ma anche, in un senso più vasto, del popolo che siamo.
Perciò, con determinazione, coscienti del valore del servizio che prestiamo, dobbiamo denunciare tutto quanto costituisca minaccia o negazione dei diritti fondamentali della persona umana — il diritto alla vita dal primo momento del concepimento, il diritto al lavoro e all’abitazione degna, il diritto a professare una religione, ad avere una famiglia, e anche il diritto a morire degnamente, con pieno senso di responsabilità — e fare tutto il possibile per arrestare l’ondata di paganesimo che tende a ferire a morte l’anima umana e cristiana dell’Occidente.
6. D’altra parte, l’azione pastorale deve sfruttare la mobilità delle persone e gli interscambi di ogni genere, che aumenteranno, per aiutare le popolazioni a sapere discernere, con spirito critico e autentica «sapienza» cristiana, i suoi più profondi e autentici interessi.
Si tratta di un motivo in più perché continuiamo nello sforzo che stiamo facendo, nella linea consacrata nella lettera pastorale sul rinnovamento della Chiesa in Portogallo secondo gli orientamenti del Concilio e le esigenze del nostro tempo, del 7 ottobre 1984, per aiutare il popolo portoghese ad acquistare una fede cristiana sempre più cosciente e operante.
Il carattere ospitale del nostro popolo è certamente una virtù da preservare; ma la preservazione di questa qualità non si faccia a detrimento delle sue convinzioni morali e religiose, piuttosto risvegli in esso — come, d’altronde, sta già accadendo in molti luoghi dove i portoghesi sono emigrati — il senso missionario, che costituisce quanto vi è stato di più puro nella epopea delle scoperte.
Da parte nostra siamo disposti, nella modestia dei nostri mezzi, ma coscienti del valore del patrimonio di cui siamo eredi, a contribuire perché il Portogallo condivida con gli altri popoli i doni che Dio ci ha concesso. Attraverso lo scambio di questi valori — e non soltanto di quelli economici — l’Europa unita potrà diventare veramente ricca e capace, come nel passato, di portare al mondo nuove ricchezze.
Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Portoghese
Fatima, 21 maggio 1985