Nota del 26 febbraio 2020.
Oggi, Mercoledì delle Ceneri, è iniziata la Quaresima. In questi tempi, in cui le penitenze “alimentari” sono ridotte al minimo, il modo migliore per vivere la Quaresima è, verosimilmente, intensificare il nostro impegno al contributo, minimo, forse, ma mai insignificante, che ciascun fedele in Cristo può dare alla Nuova Evangelizzazione. A questo proposito riproponiamo l’articolo che il Fondatore di Alleanza Cattolica scrisse nel 1996, sul Magistero di San Giovanni Paolo II in materia di Nuova Evangelizzazione.
Giovanni Cantoni, Cristianità n. 256-257 (1996)
“Nuova evangelizzazione” fra nostalgismo, nostalgia e speranza
Secondo Papa Giovanni Paolo II, “[…] nei Paesi di antica cristianità […] interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo. In questo caso c’è bisogno di una “nuova evangelizzazione”, o “ri-evangelizzazione”” (1). Questa “nuova evangelizzazione”, “[…] non consiste in un “nuovo vangelo”, che nascerebbe sempre da noi stessi, dalla nostra cultura o dalla nostra analisi sulle necessità dell’uomo. Perciò, non sarebbe “vangelo”, ma pura invenzione umana, e in esso non si troverebbe la salvezza” (2); la novità non tocca il contenuto del messaggio evangelico, ma l’atteggiamento, lo stile, lo sforzo e la programmazione dell’attività apostolica, ovvero l’ardore, i metodi e l’espressione di essa: “Un’evangelizzazione nuova nel suo ardore suppone una fede solida, una carità pastorale intensa e una fedeltà robusta” (3), nonché una consapevole opposizione alla secolarizzazione, effetto del secolarismo: “la nuova evangelizzazione deve quindi dare una risposta integrale, pronta, intelligente, che rafforzi la fede cattolica, le sue verità fondamentali, nelle loro dimensioni individuali, familiari e sociali” (4).
Nella realizzazione di questo rinnovamento apostolico, nello svolgimento rinnovato di questa missione, il cui orizzonte è la restaurazione di una cultura cristiana, quindi di una civiltà cristiana, mi chiedo quale sia la parte del ricordo del passato, in rapporto a cui si può parlare della cosiddetta nostalgia come stato d’animo caratterizzato dal desiderio acuto o dal rimpianto malinconico di quanto è trascorso, quindi è lontano nel tempo.
Allo scopo di illuminare in qualche modo il punto, svolgo una piccola ricognizione in tema di nostalgia storica nel Magistero di Papa Giovanni Paolo II. Anzitutto riporto ampiamente passi di un discorso da lui tenuto ai vescovi ungheresi nel 1991, particolarmente significativo anche perché destinato a chi ha compiuto la traversata della modernità nella sua forma più materialmente aggressiva: “L’”Ekklesía” è anche una “Paroikía”. Noi siamo guide di comunità convocate per camminare.
“Siamo in pellegrinaggio attraverso il tempo verso la vita eterna: “La nostra patria è nei cieli” [Phil. 3, 20]. In un’epoca in cui anche fra i credenti si sta affievolendo l’aspettativa della vita eterna, dobbiamo risvegliare in noi e nelle persone che ci sono affidate l’orientamento escatologico, nella persuasione che la nostra esistenza non è comprensibile entro l’orizzonte della sola vita terrena.
“La Chiesa, però — prosegue il Santo Padre —, avanza anche nella storia verso forme sempre nuove di vita cristiana che, in continuità con la missione ricevuta da Cristo, corrispondano alle “condizioni dell’umana società che ai nostri giorni è incamminata verso un nuovo ordine di cose” [Christus Dominus, 3]. Di tutta la Chiesa si può dire quanto San Paolo affermava parlando di se stesso: “Dimentico del passato, e proteso verso il futuro, corro verso la mèta” [Phil. 3, 13-14].
“Quale “mèta”? Intorno a noi dilaga una visione pessimistica dell’evoluzione che il sentimento religioso sta vivendo. Qui in Ungheria, poi, alle ferite lasciate da decenni di regime comunista s’aggiungono, oggi, i rischi provenienti dall’irrompere dei fermenti occidentali, non sempre positivi. Di conseguenza, anche tra i credenti c’è chi suppone che l’umanità sarà sempre meno aperta al trascendente, e considera perciò gli sforzi volti a suscitare una nuova vitalità religiosa come una lotta di retroguardia, che potrà forse rallentare tale processo inesorabile, ma non invertirne la marcia.
“Questa concezione fatalistica proviene, in realtà, da una estensione indebita dei mutamenti culturali avvenuti negli ultimi due secoli. L’intensità dell’esperienza religiosa in una determinata società dipende da molti fattori, e nella storia ha avuto spesso sviluppi imprevedibili. Ciò vale anche per il vostro Paese. Leggete le lettere che il grande arcivescovo di Esztergom Ladomero scriveva sul finire del sec. XIII al Papa Nicolò IV, durante gli ultimi anni della dinastia degli Arpad. Nessuno di voi giudicherebbe oggi in modo tanto severo la fede e la situazione morale del Paese. Di fatto, appena cinquant’anni dopo, sotto Lodovico il Grande, già s’annunciavano i sintomi di una nuova vitalità spirituale e di una intensa espansione missionaria. Così pure, prima dell’inizio dell’opera del Cardinale Pazmany o del Vescovo Prohaszka, nessuno avrebbe potuto prevedere la rinascita religiosa dei decenni successivi.
“Nessun pessimismo fatalistico può essere accettato dal credente, al quale la fede insegna che è Dio colui che opera nei cuori, ed opera come vuole, secondo il beneplacito misterioso della sua volontà [cfr. Eph. 1, 6-9]. O deve forse dirsi che oggi “il braccio del Signore è raccorciato” [cfr. Nu. 11, 23]?
“Non sappiamo quali saranno le caratteristiche della civiltà cristiana nel terzo millennio. Ma questo non deve sorprenderci. Neppure i Santi Padri degli inizi avrebbero potuto prevedere la sintesi culturale realizzata nel Medio Evo. E i medievali, a loro volta, non avrebbero immaginato neppure lontanamente l’espansione missionaria dei secoli successivi. Nessuna meraviglia, dunque, che il futuro ci resti oscuro. Ciò che possiamo, tuttavia, dare per certo è che l’avvenire offrirà anche a noi l’epifania di un nuovo aspetto della pienezza di Cristo.
“Questo ci basti per sentir vibrare in noi la gioia di poter collaborare in qualche modo alle nuove e meravigliose forme di vita, che, anche qui in Ungheria, Dio comincia già a far germogliare nella sua Chiesa. È questa la mèta verso cui corriamo” (5).
Dunque, nella doverosa aspirazione a una civiltà cristiana e nell’opera della sua preparazione e del suo perseguimento — nel caso, chiaramente, quella del terzo millennio dell’era cristiana — bisogna non solo aver presente il rapporto di analogia di essa con le precedenti manifestazioni di civiltà cristiana, un rapporto garantito dalla comune natura umana e dal Vangelo che non muta, ma immaginarla aperta a esprimere dell’una e dell’altro le inesaurite, inesauribili e insondabili ricchezze.
Continuo la trascrizione del documento di Papa Giovanni Paolo II, che riprende il tratto già citato di san Paolo: “Corriamo “dimentichi del passato”. L’attesa del rinnovamento della vita di fede non deve tradursi in nostalgia dei tempi trascorsi. L’opera di Dio non si ripete mai. Dio inventa forme sempre nuove per il suo popolo in cammino.
“Probabilmente le caratteristiche esteriori della religiosità futura saranno meno appariscenti di quelle d’un tempo. La stessa immagine del Vescovo ungherese alla soglia del terzo millennio è assai più dimessa di quella dei solenni Presuli rappresentati nei quadri decorativi. La pietà del popolo rispecchia sempre meno la religiosità semplice e priva di problemi con cui le popolazioni dei villaggi, la domenica, si recavano alla Messa. Nel dir questo, non intendo ovviamente sottovalutare le forme passate di religiosità. Voglio soltanto sottolineare il dinamismo che contraddistingue la vita di fede, la quale, proprio perché “vita”, rifiuta ogni irrigidimento in forme legate ad orientamenti culturali passati. Lo Spirito Santo suggerisce vie sempre nuove, e lo fa per mezzo di persone che vivono intensamente l’esperienza della fede. Il nostro compito è quello di accogliere i segni dei tempi, giudicandoli alla luce del Vangelo, secondo il consiglio di San Paolo: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” [1 Thess. 5, 21]“ (6).
Dunque, sguardo al futuro, ma niente nostalgia? I termini sono più sostanziali. Infatti, “[…] anche se la nostalgia di un passato più facile e più florido è molto comprensibile, è nostro compito, Pastori — così Papa Giovanni Paolo II a vescovi francesi nel 1982 —, di comunicare ai cristiani e agli uomini di buona volontà, giovani e meno giovani, il gusto di vivere oggi. Non, sicuramente, limitando ingenuamente la nostra visione a qualche isola privilegiata, ancor meno considerando come normale e cristiano ciò che non lo è; ma mostrandosi convinti che questi uomini e queste donne possono progredire, aprirsi ai valori morali e spirituali e mostrarsi generosi. Si tratta di mantenere l’ardore apostolico, quello che animava san Paolo, durante tutte le sue corse missionarie e finalmente qui, a Roma, quando abbracciò tutto questo mondo pagano considerandolo capace di accedere alla vita secondo il Vangelo, mediante la fede e la conversione. Questo ardore, fondato sulla fede in Dio e la confidenza nell’uomo, non è una facile esaltazione; esso sa essere paziente, della pazienza di Dio; e disinteressato, perché molto spesso una persona semina e un’altra raccoglie [cfr. Io. 4, 37; cfr. 1 Cor. 3, 6-9]. Voi siete, oggi, con i vostri preti, i vostri diaconi e i vostri laici, coloro che preparano laboriosamente la Chiesa del domani. E sapete, come me, a quale punto la via di Gesù Cristo comporti la povertà personale e la povertà dei mezzi, l’umiltà, perfino lo scacco apparente, sempre la croce […], che sono nello stesso tempo vie di risurrezione” (7).
Dunque — di nuovo —, niente nostalgia? Non esiste soltanto “la nostalgia di un passato più facile e florido”, quella che si potrebbe indicare come nostalgismo, “[…] la nostalgia di un passato il cui ricordo inesorabilmente, nel fluire del tempo, si scolora” (8); esiste anche “[…] l’attesa di un futuro che ci è stato promesso, e che per noi è il compito e il lavoro del presente.
“[…] La Chiesa è chiamata a realizzarsi nel tempo, in obbedienza allo Spirito del suo Signore, che la illumina e la sostiene: la Chiesa è sottoposta, anch’essa, alla drammatica tensione della crescita, alla dura legge dello sviluppo” (9); esiste pure una “costruttiva nostalgia” (10), in quanto ricordo non solo della verità del passato, ma anche — e soprattutto — della verità nel passato, “la nostalgia della Verità cristiana, che dà senso alla vita ed alla storia” (11); cioè non esiste soltanto la nostalgia come ripiegamento sul passato, come nostalgismo, ma esiste anche la nostalgia che anima la speranza di una futura reinculturazione della verità.
In questa prospettiva, la nostalgia si rivela importante alimento dell’“ardore apostolico”: se sono esistite una civiltà cristiana e una cultura cristiana, possono ancora esistere, “o deve forse dirsi che oggi “il braccio del Signore è raccorciato” [cfr. Nu. 11, 23]“? E la nostalgia, il “desiderio del passato”, si rivela umanissima modalità di accostamento alla verità non considerata in astratto, ma secondo una sua inculturazione, secondo una sua testimonianza storica. Senza irrealizzabili vagheggiamenti di ritorni identici, ma nell’apprezzamento dell’analogia quanto all’esito, e dell’esemplarità quanto allo spirito apostolico che ha animato e, quindi, deve animare il perseguimento dell’esito, della mèta.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris missio circa la validità del mandato missionario, del 7-12-1990, n. 33.
(2) Idem, Discorso all’apertura dei lavori della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano a Santo Domingo, del 12-10-1992, n. 6, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XV, 2, pp. 312-340 (p. 318).
(3) Ibid., n. 10, p. 321.
(4) Ibid., n. 11, p. 322.
(5) Idem, Discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale Ungherese nella Sede Arcivescovile di Budapest, del 20-8-1991, nn. 7-8, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIV, 2, pp. 392-402 (pp. 398-399).
(6) Ibid., n. 9, pp. 399-400.
(7) Idem, Discorso a un gruppo di Vescovi di Francia, della Regione Ecclesiastica dell’Ovest in visita ad limina Apostolorum, del 18-3-1982, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V, 1, pp. 894-900 (pp. 896-897).
(8) Idem, Discorso nel solenne incontro ecumenico nella basilica di San Nicola a Bari, del 26-2-1984, n. 1, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 1, pp. 531-536 (p. 531).
(9) Ibid., pp. 531-532.
(10) Idem, Lettera apostolica Patres Ecclesiae per il XVI centenario di San Basilio, del 2-1-1980, II, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, pp. 51-87 (p. 74).
(11) Idem, Saluto alla Comunità dei Padri Concezionisti, del 21-12-1985, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 2, (pp. 1577-1578 (p. 1578).