Da La bianca Torre di Ecthelion del 18/02/2018. Foto da articolo
Si pensa ogni giorno di avere toccato il fondo del barile, ma ogni giorno ci si accorge che invece il barile non ha fondo. Negli Stati Uniti un uomo allatta i “figli”. Il suo nome è segreto, ma ha trent’anni, vive con una donna e crede lui stesso di essere una donna. È insomma un trans che fa coppia fissa con una lesbica, la quale non è un altro trans poiché è rimasta incinta. Di un terzo soggetto. Il suo “compagno” trans ha dunque “adottato” la prole. Siccome l’unica vera donna della coppia, quella che ha partorito, non “era interessata” ad allattare la creatura pur avendo tutto l’apparato naturale per farlo, ha voluto pensarci lui, il maschio. (Per inciso, tutta la stampa adopera, per l’uomo trans, i pronomi e gli aggettivi femminili; noi ci rifiutiamo di farlo.) Lui si è allora rivolto agli specialisti, si è sottoposto a una cura ormonale molto particolare e alla fine ha ottenuto il risultato. Lo documentano scientificamente e ufficialmente l’infermiera tirocinante Tamar Reisman e il direttore di programma Zil Goldstein, che hanno realizzato la cosa in un posto di New York che si chiama Mount Sinai Centre for Transgender Medicine and Surgery (fa cadere la mascella non certo il “Mount Sinai”, ma la dizione “Transgender Medicine and Surgery”), scrivendo sulle pagine di un periodico blasonato e peer-reviewed che si chiama Transgender Health. I due precisano che il maschio «[…] non è stato sottoposto ad alcun intervento chirurgico di affermazione di gender [traduco letteralmente, poiché non saprei fare altrimenti, la ridicola, cacofonica e assurda espressione della neo-lingua “gender-affirming”] come la mastoplastica additiva, l’orchiectomia o la vaginoplastica». L’uomo che gioca a fare la donna ha cioè ancora tutti i propri attributi. Ma allatta. È il primo caso al mondo.
C’è dunque un uomo, tale a tutti gli effetti biologici, antropologici e psicologici, che è tanto disturbato nella propria personalità da ritenere di essere ciò che non è e non può essere, impersonandone caratteristiche, attitudini e atteggiamenti, e a questo alienato una struttura medica di eccellenza (il Mount Sinai Hospital è uno dei più antichi e celebri nosocomi degli Stati Uniti) dà più che corda.
Certo, c’è di mezzo la barriera insormontabile della natura. La natura che fa l’uomo e la donna diversi sul piano biologico e psicologico, e questo dovrebbe valere monito e motivo sufficiente per accantonare ogni velleità di trasformismo. Insomma, tra il dire e il fare, cioè fra i propri desideri e la realtà della cose, c’è sempre di mezzo il mare. L’uomo che si crede donna, per esempio, non può generare figli. L’omosessualità è per definizione sterile: le coppie dello stesso sesso possono avere figli solo con un rapporto eterosessuale. Per procura, in affitto, in vitro, ma comunque eterosessuale. La barriera della natura lì è insormontabile. I figli si possono fare soltanto unendo gameti maschili e gameti femminili. Non esiste il gamete promiscuo, fifty-fifty, omosessuale. Il vascello fragile e posticcio dell’utopia dell’interscambiabilità dei sessi (cioè del sesso separato dal gender) naufraga miseramente infrangendosi sugli scogli taglienti della realtà.
Ma un po’ la natura la si riesce a forzare. È quello che è appunto accaduto al Mount Sinai: un monstrum di Frankenstein fatto di pezzi disarticolati a immagine e somiglianza dei propri disturbi. Gli esseri composti con pezzi di altri esseri si chiamano chimere. L’uomo non può creare dal nulla né con il pensiero né nella realtà. Ha però il potere, enorme, di disporre di quel che esiste, anche manipolandolo. L’uomo con il seno e il pene è una chimera di antica data; l’uomo con il pene e il seno che allatta è l’asticella alzata al massimo nella sfida alla natura. Un monstrum che cerca in tutti i modi di sfuggire a se stesso.
I vecchietti che osservano il cantiere pensano ancora che il tema del giorno sia l’omosessualità. L’omosessualità è invece solo l’introduzione. Ora che siamo a regime il tema è la transessualità. Non semplicemente l’inversione del maschio in femmina, e viceversa, ma l’ibrido permanente, il rimpasto continuo, la precarietà strutturale, il non-essere né maschio né femmina. Il travestitismo e persino la transessualità, intesa come cambiamento fisico per via chirurgica, sono roba da principianti. Ora è il trionfo del transgenderismo anzitutto come posizione (anti)filosofica. Al Mount Sinai c’è un uomo che ancora può generare il quale si finge femmina per accompagnarsi safficamente con una lesbica la quale, potendo generare con lui che ancora è uomo, genera invece con altri ma che, donna vera, non allatta affinché lo faccia lui, donna finta. Tralasciamo considerazioni sull’unica donna vera ella coppia, che vorrebbe essere lesbica e che invece si trova comunque al fianco un uomo. Pensiamo invece a quel povero figlio. Questa roba fatta con gli ormoni è persino peggio, sul piano culturale, dell’asportazione chirurgica: sembra più disinvolta. Invece la violenza che questa pretesa esercita sulla natura umana è incalcolabile, ultimativa, toglie perfino il respiro.
Marco Respinti