Giancarlo Cerrelli, Cristianità n. 365 (2012)
1. La fecondazione assistita è il processo con il quale si attua l’unione dei gameti in modo artificiale. La fecondazione può essere attuata in vivo, direttamente nel corpo della donna, o in vitro, cioè extracorporea, in breve FIVET. Esistono due tipologie di fecondazione assistita, o meglio artificiale: quella omologa — in cui si usano gameti appartenenti alla coppia — e quella eterologa, in cui i gameti utilizzati non appartengono alla coppia. Va precisato, a scanso di equivoci, che nessuno dei due tipi è conforme alla legge morale naturale e, dunque, al Magistero della Chiesa (1).
Tuttavia, la CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, nel giugno del 2005, in occasione dei referendum promossi dai Radicali italiani, dall’Associazione Luca Coscioni, dai Democratici di Sinistra, dai Socialisti Democratici Italiani e da Rifondazione Comunista (2), miranti ad abrogare alcune parti della legge n. 40 del 2004, che regola appunto la procreazione medicalmente assistita, ha propiziato la difesa della medesima normativa, ritenendo, a ragione, che essa mettesse fine al vuoto legislativo esistente fino a quel momento.
La strategia proposta dall’allora presidente della CEI, card. Camillo Ruini, aveva come obiettivo il fallimento dei quattro referendum e a tal fine, per evitare che essi raggiungessero il quorum previsto, è stato adoperato da gran parte del mondo cattolico il mezzo dell’astensione; tale mossa si è rivelata vincente, tanto che solo il 25,9 per cento degli aventi diritto al voto si è recato alle urne e la legge è stata salvata dall’attacco dei referendari. La strategia usata dalla Chiesa italiana s’inserisce nel proposito, previsto dal Magistero, di “[…] offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica” (3).
È utile evidenziare i principali motivi per cui la Chiesa italiana ha ritenuto e ritiene opportuno difendere la legge n. 40, nonostante la stessa non sia pienamente conforme alla dottrina cattolica, dal momento che le tecniche di procreazione artificiale sono contrarie al principio della intrinseca inseparabilità della dimensione unitiva e procreativa nella generazione umana (4).
La legge n. 40 non solo pone un argine agli abusi e rappresenta, dunque, una prima risposta alle molteplici problematiche inerenti alla fecondazione artificiale; ma contiene anche alcuni elementi fattuali e di principio meritevoli di grande interesse e dunque degni di tutela. Il più importante è il novum rappresentato nel nostro ordinamento giuridico dall’articolo 1, che inserisce il concepito fra i soggetti meritevoli di tutela. Questa è l’unica disposizione normativa nell’ordinamento italiano che considera il concepito come soggetto di diritti; riconoscendo la soggettività dell’essere umano fin dal concepimento, garantisce la tutela dei suoi diritti fondamentali, il diritto alla vita e il diritto a nascere e a crescere in una famiglia con un padre e una madre certi (5).
Un’altra disposizione significativa è quella dell’articolo 4, che fa divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. L’articolo 5, inoltre, pur riconoscendo anche ai conviventi l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, pone alcuni limiti rilevanti, riservando l’accesso a tali tecniche alle “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi”.
Altrettanto meritevole di attenzione è l’articolo 9, in cui viene evidenziato che “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice”.
Degno di nota è anche l’articolo 13, che vieta qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione, nonché:
“a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;
c) interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;
d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere”.
Invece, l’articolo 14, che prevedeva una limitazione delle tecniche sugli embrioni, è stato dichiarato illegittimo in due sue parti dalla Corte Costituzionale nel 2009 (6), ma continua a ribadire il principio che le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario alla fecondazione.
Infine, l’articolo 16 concede, al personale sanitario e a quello esercente le attività sanitarie ausiliarie, il diritto di fare obiezione di coscienza all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita previste dalla legge.
2. Dopo la cocente e inaspettata sconfitta i promotori dei referendumhanno iniziato a percorrere la strada giudiziaria per disintegrare la legge n. 40, propiziando la presentazione di ricorsi contro parti di essa presso tribunali civili e amministrativi. Il primo attacco è stato portato il 16 luglio 2005 dal Tribunale di Cagliari, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, nel caso di una portatrice sana di beta-talassemia, alla quale era negato il ricorso alla diagnosi pre-impianto (7). La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile l’eccezione d’incostituzionalità (8).
Il Tribunale di Cagliari ci riprova e nel 2007 emette una sentenza interpretativa dell’articolo 14 della legge, che ammette la diagnosi pre-impianto sugli embrioni destinati a essere impiantati nel grembo materno (9).
Nel gennaio del 2008 il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio annulla le linee-guida per l’applicazione della legge per eccesso di potere e solleva questione di costituzionalità sull’articolo 14 (10).
Il Tribunale di Firenze, nell’agosto del 2008, è promotore di una nuova questione di costituzionalità, riproponendo il problema del limite della creazione di soli tre embrioni, che risulterebbe gravemente lesivo della salute delle donne, e formula la richiesta di ampliare la possibilità di crioconservazione degli embrioni soprannumerari (11).
La Consulta con la citata sentenza n. 151 del 2009 deroga al divieto di crioconservazione e, dichiarando incostituzionale una parte del comma 2 dell’articolo 14, abroga il limite della produzione di tre embrioni da trasferire con un unico impianto, salvando, però, il divieto di distruzione degli embrioni soprannumerari. La stessa Corte il 12 marzo 2010 ha ritenuto manifestamente inammissibili le questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Milano (12) sul ricorso di due coppie che chiedevano di poter effettuare la diagnosi pre-impianto perché portatrici di malattie genetiche (13).
Con una sentenza del gennaio 2010 il Tribunale di Salerno autorizza la diagnosi pre-impianto per una coppia fertile portatrice di una malattia ereditaria — atrofia muscolare spinale di tipo 1 —, in deroga alla legge, che consente le pratiche di fecondazione solo per i casi di sterilità e d’infertilità (14).
Infine, si arriva alla decisione della Corte Costituzionale del 7 giugno 2012 — sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Firenze, Catania e Milano (15) relativamente al divieto di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo sancito dalla legge n. 40 —, che decide di restituire gli atti ai giudici remittenti (16). Questa pronuncia è da salutare con favore perché permette di salvare, per il momento, la legge nella parte in cui prevede il divieto di far ricorso alla fecondazione eterologa. La decisione, infatti, ha deluso in parte le forze laiciste, che speravano in un accoglimento dell’eccezione d’incostituzionalità dell’articolo 4, comma 3, della legge, promossa dai tre tribunali anzidetti.
La Corte ha deciso di restituire gli atti ai tribunali rimettenti perché valutino la questione alla luce della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 3 novembre 2011, secondo la quale gli Stati membri della Convenzione europea dei diritti dell’uomo hanno il diritto di scegliere le regole interne idonee a disciplinare l’accesso alla procreazione assistita di carattere eterologo e che non è contraria al diritto alla vita privata e familiare la normativa interna che, tenendo conto di motivazioni etiche e giuridiche, vieta il ricorso a forme di fecondazione eterologa. Gli Stati, dunque, hanno libertà di scelta nella predisposizione del quadro normativo, anche se devono tener conto dei mutamenti introdotti dalla scienza medica (17).
Dopo tale pronuncia i tribunali rimettenti, se vorranno riproporre eccezioni di costituzionalità, dovranno tener conto della sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che è intervenuta successivamente alla proposizione dei loro quesiti di costituzionalità e che ha stabilito che il divieto posto in Italia dalla legge n. 40 non viola alcun diritto umano fondamentale.
Vi è da osservare, comunque, che la Consulta avrebbe potuto ribadire il divieto della fecondazione eterologa, prescindendo dal riferimento alla CEDU, che fra l’altro ha evidenziato come gli Stati abbiano un ampio margine di apprezzamento su una materia eticamente sensibile e controversa.
3. L’ultimo attacco, in ordine di tempo alla legge, tuttavia, non è stato portato da un organo giurisdizionale italiano, ma dalla seconda sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, con sentenza del 28 agosto 2012, ha definito “il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni incoerente” (18), individuando un contrasto fra la legge n. 40 e la legge n. 194 del 1978, perché quest’ultima permetterebbe di accedere all’aborto terapeutico se il feto è malato di fibrosi cistica.
È facile riscontare in questa sentenza grande superficialità e confusione. La legge n. 194, invero, non prevede, come invece afferma la seconda sezione della CEDU, l’aborto eugenetico, espressamente escluso sia nei primi tre mesi di gravidanza (articolo 4) sia nel periodo successivo (articolo 9). La previsione o l’accertamento di anomalie gravi del nascituro vi sono presi in considerazione non in quanto tali, ma in quanto produttivi di uno stato di malattia della madre. È una linea sottile, che è bene evidenziare per segnalare che la legge italiana nega l’uccisione del figlio “malato” come soluzione possibile. Rimane pur vero che “la tutela della salute della donna” molte volte è presa come pretesto per permettere aborti dopo diagnosi prenatali infauste.
Il governo italiano ha, comunque, tre mesi di tempo dal deposito della sentenza per proporre appello presso la Grande Camera della CEDU, che recentemente, come detto sopra, in occasione della richiesta di una coppia austriaca, tendente a legittimare il ricorso alla fecondazione eterologa, ha ribaltato la sentenza pronunciata precedentemente da una sezione della stessa Corte, che aveva, invece, considerato il divieto della fecondazione eterologa non compatibile con alcuni principi della Carta europea dei Diritti dell’Uomo.
È importante, a questo punto, chiedersi perché alcune forze politiche e culturali hanno cercato e cercano tuttora di abbattere la legge n. 40.
In primo luogo è da chiarire che queste forze fanno parte di quella galassia “libertaria” nella quale i nemici della legge n. 40 si trovano insieme a coloro che mirano, in modo militante, a depotenziare la famiglia naturale fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, chiedendo l’equiparazione a essa delle unioni di persone conviventi e di quelle di persone dello stesso sesso.
Questo fronte trova come compagni di strada taluni giudici che attuano un’interpretazione evolutiva e creativa del diritto e pongono sé stessi come motore del cambiamento sociale, pretendendo di trovare nella legge ciò che non vi è, ma che essi vorrebbero che vi fosse. Il giudice, però, come afferma il filosofo del diritto Francesco D’Agostino, non deve modellare la società futura, ma tutelare quella esistente (19).
Queste forze culturali e politiche, che diffondono un relativismo etico aggressivo, hanno come fine la prospettiva gnostica di riscrivere le regole della natura umana su basi diverse da quelle volute dal Creatore attraverso l’esaltazione dell’autodeterminazione e del desiderio, unita a una libertà senza limiti.
Nel caso della legge n. 40 l’obiettivo principale è il superamento del divieto delle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo posto dal legislatore. Occorre, a tal proposito, fornire una risposta a un frequente equivoco in cui cadono, in buona fede, molte persone. Vi è chi insinua che la fecondazione eterologa sia compatibile con il nostro ordinamento, tentando di assimilarla, in modo del tutto infondato e subdolo, all’adozione dei minori e sostenendo che anche in questa fattispecie il minore non gode dei suoi genitori biologici. Ma esiste un’enorme differenza fra la fecondazione eterologa e l’adozione. Questa, infatti, non ha l’obiettivo principale di soddisfare un desiderio di genitorialità — come avviene con la fecondazione artificiale —, quanto piuttosto di rispondere alla necessità dei bambini, che si trovano in uno stato di abbandono materiale o morale, di vivere in una famiglia ove siano presenti sia la figura paterna sia quella materna. Di qui la formula secondo cui l’adozione di minori non è lo strumento per dare un figlio a chi non ne ha, ma, al contrario, per dare genitori a chi non ne ha. Il principio fondativo dell’adozione è dunque opposto a quello su cui si basa la fecondazione eterologa.
Il fronte favorevole ad abbattere il divieto della fecondazione eterologa appena dopo la pronuncia della Consulta si è rimesso all’opera per cercare nuove strade al fine di far espungere tale divieto dall’ordinamento. Varie sono le strade percorse a tal fine. Una è quella seguita dall’Associazione Luca Coscioni che, dopo la sentenza della Consulta n. 150 del 2012, ha pubblicato sul proprio sito una nota nella quale il proprio tesoriere, Marco Cappato, dichiarava di voler aiutare “[…] le coppie a fare ricorso, e a concludere all’estero il disegno criminoso di avere un bambino” (20), mettendo a disposizione le proprie strutture per l’assistenza giudiziaria. Tale metodo ha l’evidente scopo di propiziare pronunce di giudici che possano scardinare l’impianto della legge n. 40.
Su un altro livello si pone il giurista Stefano Rodotà, eminenza grigia del fronte “libertario”, che propone, per superare il divieto della fecondazione eterologa, un’interpretazione estensiva del diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione, cercando d’inserire in questo diritto anche il presunto diritto fondamentale al benessere psico-fisico della coppia (21). Tale interpretazione appare inaccettabile in quanto non tiene conto del fatto che la Costituzione non prevede un diritto alla salute della coppia. Fra l’altro, l’articolo 32 tutela anche la salute del figlio e non si vede in che misura la salute della coppia possa essere prevalente su quella del figlio. Inoltre, elemento non trascurabile, per la Costituzione italiana il bambino ha due genitori soltanto.
Sullo stesso livello di Rodotà si pone il magistrato Vladimiro Zagrebelsky, che invita la Corte Costituzionale a non separarsi, nelle prossime pronunce sul tema, dall’orientamento che assolutamente prevale in Europa e arriva a considerare una “sterile questione di principio” (22) il riferimento alla “non naturalità” (23) della fecondazione eterologa. Anche in questo caso, non si tiene conto del fatto che la maggioranza degl’italiani ha respinto la fecondazione eterologa, facendo fallire il relativo referendum abrogativo. In ogni caso, il desiderio e la felicità di alcune coppie non possono prevalere sulla salute e sul rispetto del principio di certezza delle relazioni familiari. Non è obbligatorio per l’Italia emulare Paesi che hanno deciso di dare più di due genitori ai loro figli.
Pertanto, in attesa di nuovi e mirati attacchi alla legge n. 40 e in specie al suo articolo 4, che prevede il divieto della fecondazione eterologa, la pronuncia n. 150 della Consulta si pone — nei confronti di quelle forze culturali e politiche artefici del tentativo di promuovere giuridicamente nuovi presunti diritti senza corrispondenti doveri — come argine alla deriva morale e giuridica che incombe sulla società e di cui sono responsabili anche le Corti di giustizia, quando tendono a sostituirsi ai parlamenti.
Note:
(1) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, dell’11-10-1992, nn. 2376-2378.
(2) I Radicali Italiani, subito dopo l’introduzione della nuova legge, hanno avviato una raccolta di firme per chiedere cinque referendum abrogativi di alcune parti e/o di tutta la legge. Il governo italiano, presieduto dall’on. Silvio Berlusconi, tuttavia, il 5 gennaio 2005 ha deciso di ricorrere alla Corte Costituzionale, che ha ammesso quattro referendumsu cinque, bocciando il quesito che richiedeva l’abrogazione dell’intera normativa (cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 46 del 28-1-2005, in Giurisprudenza costituzionale, anno L, fasc. 1, Milano gennaio-febbraio 2005, pp. 360-368). La consultazione referendaria si è svolta il 12 e 13 giugno 2005.
(3) Cfr. Giovanni Paolo II (1978-2005), Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana “Evangelium vitae”, del 25-3-1995, n. 73; cfr. anche Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24-11-2002, n. 4.
(4) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione “Donum vitae” sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione. Risposte ad alcune questioni di attualità, del 22-2-1987.
(5) Per un esame più approfondito, cfr. Chiara Mantovani, La Procreazione Medicalmente Assistita: alcune considerazioni dopo l’approvazione della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, in Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 5-12 e 30.
(6) Cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 151 dell’8-5-2009, in Giurisprudenza costituzionale, anno LIV, fasc. 3, Milano maggio-giugno 2009, pp. 1656-1687.
(7) Cfr. Tribunale di Cagliari, Ordinanza del 16-7-2005, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 1ª serie speciale, anno 146°, n. 49, Roma 7-12-2005.
(8) Cfr. Corte Costituzionale, Ordinanza n. 369 del 9-11-2006, in Giurisprudenza costituzionale, anno LI, fasc. 6, Milano novembre-dicembre 2006, pp. 3831-3837, la quale afferma che il divieto è desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo alla luce dei suoi criteri ispiratori.
(9) Cfr. Tribunale di Cagliari, Sentenza del 22-9-2007, in Il Diritto di Famiglia e delle Persone. Rivista trimestrale, anno XXXVII, n. 1, Milano gennaio-marzo 2008, pp. 260-280, secondo cui la diagnosi pre-impianto è lecita quando sia strumentale all’accertamento di eventuali malattie dell’embrione e sia finalizzata a garantire un’adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare. Sulla vicenda, cfr. anche Claudia Navarini, La via giudiziaria all’eugenetica, in Zenit, 2-10-2007, disponibile all’indirizzo Internet <http://www.zenit.org/article-12072?l=italian> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-9-2012).
(10) Cfr. TAR Roma-Lazio, sez. III, Sentenza n. 398, del 21-1-2008, in Il Foro amministrativo T.A.R. Rivista mensile di dottrina e giurisprudenza, vol. VII, fasc. 1, Milano gennaio 2008, pp. 151-160, ove si afferma che le linee-guida sono illegittime nella misura in cui — in materia di misure a tutela dell’embrione — dispongono che l’indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro sia di tipo meramente “osservazionale” (p. 160).
(11) Cfr. Tribunale di Firenze, Ordinanza del 26-8-2008, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 1ª serie speciale, anno 148°, n. 50, Roma 3-12-2008, il quale ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 6 e 14, nella parte in cui prevedono la possibilità di un unico e contemporaneo impianto di un numero di embrioni comunque non superiore a tre, il divieto di crioconservazione degli embrioni non impiantati se non in ipotesi eccezionali e l’irrevocabilità del consenso da parte della donna all’impianto in utero degli embrioni creati.
(12) Cfr. Tribunale di Milano, Ordinanza del 6-3-2009 e Ordinanza del 10-3-2009, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 1ª serie speciale, anno 150°, n. 239, Roma 30-9-2009.
(13) Cfr. Corte Costituzionale, Ordinanza n. 97 del 12-3-2010, in Giurisprudenza costituzionale, anno LV, fasc. 2, Milano marzo-aprile 2010, pp. 1101-1105.
(14) Cfr. Tribunale di Salerno, Ordinanza del 9 gennaio 2010, n. 191, in Il Diritto di Famiglia e delle Persone. Rivista trimestrale, vol. XXXIX, n. 2, Milano aprile-giugno 2010, pp. 745-752, che accoglie il ricorso per i provvedimenti d’urgenza ex articolo 700 c.p.c. proposto dai coniugi e ordina al direttore sanitario del Centro di medicina della riproduzione l’adempimento contrattuale delle prestazioni professionali consistenti nelle tecniche, imposte dalle migliori pratiche scientifiche, di diagnosi pre-impianto e di trasferimento in utero di embrioni che non evidenziano la mutazione del gene causativo dell’atrofia muscolare di tipo 1, di cui i ricorrenti sono portatori.
(15) Le questioni di legittimità costituzionale erano state poste dal Tribunale di Firenze il 13-9-2010, dal Tribunale di Catania il 21-10-2010 e dal Tribunale di Milano il 2-2-2011 (cfr. rispettivamente Ordinanza del 6-9-2010, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 1ª serie speciale, anno 152°, n. 6, 2-2-2011; Ordinanza del 21-10-2010, ibid., n. 10, 2-3-2011; e Ordinanza del 2-2-2011, ibid., n. 30, 13-7-2011) nei confronti dell’articolo 4, comma 3, della legge, che vieta il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, e degli articoli 9 e 12, nelle parti sulle conseguenze civili e sulla sanzione amministrativa per la violazione del divieto in questione. Inoltre, è stata posta dai giudici rimettenti questione di legittimità costituzionale per contrasto con il combinato disposto degli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 4-11-1950, così come interpretato dalla sentenza della CEDU, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, n. 57813 del 2010, e quindi con l’articolo 117, comma 1, della Costituzione.
(16) Cfr. Corte Costituzionale, Ordinanza n. 150 del 7-6-2012, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 1ª serie speciale, anno 153°, n. 24, Roma 13-6-2012.
(17) Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, S.H. e altri v. Austria, 3-11-2011, trad. it. integrale disponibile all’indirizzo Internet <http://tinyurl.com/7xfabkb> e trad. it. parziale in Il Foro italiano. Raccolta generale di giurisprudenza civile, commerciale, penale, amministrativa, anno 137, n. 5, Roma maggio 2012, parte IV, pp. 209-218. La sentenza della CEDU spiega che il divieto di fecondazione assistita eterologa vigente nell’ordinamento austriaco — riguardante la fecondazione in vitro con donazione sia di ovuli che di spermatozoi, ma non quella in vivo con donazione di spermatozoi, o inseminazione artificiale —, pur costituendo un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare degli aspiranti genitori, riguarda una materia controversa ed eticamente sensibile per la cui disciplina normativa spetta agli Stati un ampio margine di apprezzamento, ed è il frutto di un bilanciamento accettabile fra i diritti degli aspiranti genitori e quelli dei terzi e della collettività.
(18) Cfr. Eadem, Affaire Costa et Pavan c. Italie, consultabile in lingua italiana all’indirizzo Internet: <http://tinyurl.com/cp53aa4>. La sentenza riguarda due coniugi che hanno scoperto di essere portatori sani di fibrosi cistica. Nel 2010 la donna si è sottoposta alla diagnosi prenatale e, essendo il feto risultato positivo alla malattia, ha abortito. La coppia, desiderando un altro bambino, purché sano, ha richiesto direttamente alla CEDU, senza adire prima alcun organo giurisdizionale italiano, di poter procedere alla diagnosi pre-impianto che la legge n. 40 vieta. È utile evidenziare che tale diagnosi è una tecnica molto invasiva con il rilevante rischio di produrre la morte dell’embrione, magari sano. Infatti, per effettuare l’esame ed esser certi di poter individuare i 2 o 3 embrioni sani da trasferire in utero è necessario avere a disposizione da 9 a 12 embrioni. Fra l’altro non è da sottovalutare che tale tecnica ha un ampio coefficiente di errore.
(19) Cfr. Francesco D’Agostino, Ma le leggi non possono evolvere in tribunale, in Avvenire. Quotidiano d’ispirazione cattolica, Milano 12-2-2012.
(20) Eterologa: Cappato “Aiutiamo le coppie a fare ricorso, e a concludere all’estero il disegno criminoso di avere un bambino”, disponibile all’indirizzo Internet <http://tinyurl.com/caawool>.
(21) Cfr. Stefano Rodotà, Lo spiraglio della Corte. No alla fecondazione eterologa, la Consulta salva la legge, in la Repubblica, Roma 23-5-2012.
(22) Cfr. Vladimiro Zagrebelsky, Fecondazione, cosa divide l’Italia dall’Europa, in La Stampa, Torino 28-5-2012.
(23) Ibidem.