Di Giulio Meotti da Il Foglio del 08/07/2020
Roma. “Nella mente di questo specialista del ricatto diplomatico, la riconversione di Santa Sofia in moschea è una dichiarazione di guerra e si aspetta una Monaco della civiltà”. Così sul Figaro scriveva ieri lo storico delle religioni Jean-François Colosimo. Nel 324, l’imperatore Costantino, dopo essersi convertito al cristianesimo e aver decretato la libertà di culto, spostò la capitale dei Cesari a Bisanzio, sulle rive del Bosforo. Sei anni dopo, sul modello del Pantheon, vi costruì una basilica e la chiamò Hagia Sophia, il “tempio della divina Sapienza”. Un secolo dopo Giustiniano vi intraprese l’erezione del più grande luogo di culto “che sia mai esistito”.
Il 29 maggio 1453 gli ottomani conquistarono Costantinopoli. E la prima visita di Mehmed II fu all’altare della basilica, di fronte al quale rese grazie ad Allah e la convertì in moschea. Tale resterà fino ad Atatürk, il “padre” della Repubblica laica turca fondata sulle rovine dell’impero dei sultani, che nel 1935 fece di Santa Sofia un museo. “Dopo la pulizia etnica, le chiese museizzate, per quanto già infinitamente circondate da moschee nuove, devono essere ‘restituite’ al culto coranico”, scrive Colosimo.
Gli appelli a preservare lo status quo di Santa Sofia sono arrivati dal patriarcato di Costantinopoli, dal segretario di stato americano Mike Pompeo, dall’Unione europea e dal Patriarca di Mosca Kirill, che definisce la riapertura di Santa Sofia al culto islamico “una minaccia per l’insieme della civilizzazione cristiana”. Il braccio di ferro sul futuro di Santa Sofia è destinato a durare fino alla pronuncia del Consiglio di stato, attesa per il 15 luglio.
“Erdogan è un islamista e vuole che il medio oriente sia più islamizzato”, dice al Foglio lo storico israeliano Benny Morris. “Santa Sofia è un grande simbolo della cristianità ed Erdogan lo sa bene”. Spicca la timidezza occidentale su questa conversione. “Il cristianesimo significa molto poco per gli europei e molto più per i musulmani, che prendono la storia più seriamente dei cristiani”, continua Morris. “Alla gran parte dei cristiani occidentali non importa di Santa Sofia”.
Sette anni fa, Erdogan aveva invitato gli oltranzisti a “lasciare stare Santa Sofia”. Ma il clima politico da allora è molto cambiato. Le altre ultime due basiliche di Santa Sofia ancora adibite a museo in Turchia, a Trebisonda e a Nicea, sono state già riconvertite in moschee, a cominciare da quella sul Mar Nero, che era un museo dal 1960. Un mese fa, nell’anniversario della conquista ottomana di Costantinopoli, Erdogan ha aperto simbolicamente le porte di Santa Sofia, per far recitare la preghiera islamica del venerdì per la prima volta in quasi un secolo.
“Il presidente Erdogan sa di essere parte di un vasto fenomeno di decristianizzazione della Turchia condotta dai suoi antenati, gli ottomani”, ci dice Benny Morris. “E’ come se ora con Santa Sofia volesse cancellare anche le ultime tracce della cristianità in Turchia”. Quella Turchia dove si sono svolti i sette consigli ecumenici che hanno riunito i vescovi della cristianità. ̀La turca Malatya, dove nel 2007 furono sgozzati alcuni missionari che stampavano Bibbie, era la famosa metropoli cristiana di Melitene.
Benny Morris ha dedicato il suo ultimo libro alla distruzione del cristianesimo turco, The thirty years genocide (Harvard University Press e Rizzoli in Italia). “Il medio oriente è stato scristianizzato quasi completamente negli ultimi due secoli”, dice lo storico israeliano. “Il caso turco è però unico, perché i turchi hanno ucciso due milioni di cristiani, è stato quindi un processo di sterminio. E’ come quello che gli americani hanno fatto con gli indiani”. Quando, tre anni fa, il governo israeliano fece installare dei metal detector sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, che è anche il luogo più santo per l’ebraismo, si parlò di violazione dello status quo, mentre Erdogan invitò i musulmani a “proteggere” Gerusalemme. “Erdogan serve all’occidente per fermare gli immigrati, ha un grande esercito nella Nato, mentre dall’altro lato Israele e gli ebrei sono più deboli” conclude Morris. “Solo così posso spiegarmi la condanna dei metal detector a Gerusalemme e il silenzio sulla riconversione a moschea di Santa Sofia”. Ma anche in Turchia c’è chi non vede bene questa reislamizzazione. Su Hurriyet, l’analista Ertugrul Özkök scrive: “Un paese che ha già 80 mila moschee deve andare alla riconquista di uno dei grandi simboli del mondo cristiano? Vi avrebbe fatto piacere se una moschea in Europa oggi fosse trasformata in chiesa?”. Senza contare, da Berlino ad Amsterdam passando per l’Alsazia, il grande attivismo turco nella costruzione di mega moschee in Europa.
Foto da articolo