Quel sussulto democratico e cristiano che la Chiesa non ha saputo far fruttare
Il 18 aprile 1948 segna un nuovo inizio per la storia d’Italia, con la grande vittoria elettorale della Democrazia cristiana e la sconfitta del fronte socialcomunista. L’Italia esce definitivamente dal periodo fascista ma anche dall’epoca risorgimentale, dominata dal liberalismo nazionalista della Destra storica fino al 1876 e poi dalla Sinistra al governo.
In realtà non si trattò della vittoria di un partito, ma dello scontro fra due concezioni del mondo, fra due antropologie che facevano riferimento al cristianesimo e all’amore per le libertà da una parte, e al marxismo nelle sue diverse declinazioni, socialista e comunista, dall’altra. La Dc era allora un partito di notabili che non avrebbe avuto quasi il 50 per cento dei voti senza l’apporto dei Comitati civici fondati tre mesi prima da Luigi Gedda (1902-2000), il medico a quel tempo vicepresidente dell’Azione cattolica, che portarono al partito di Alcide De Gasperi (1881-1954) quasi cinque milioni di voti in più rispetto alle elezioni per l’Assemblea costituente del 1946.
Consumismo e divisioni
La vittoria elettorale venne presto dimenticata e sostanzialmente mai celebrata, neppure dai vincitori democristiani. Eppure essa segnò l’identikit dell’Italia, la sua appartenenza all’Occidente, il suo legame profondo con la Chiesa cattolica. Quest’ultima divenne il punto di riferimento per la maggioranza degli italiani, con i suoi parroci, con i militanti laici dell’Azione cattolica, con la sua capacità di superare il conflitto ideologico che aveva segnato la guerra civile, soprattutto nel nord del paese, tra le due minoranze di fascisti e antifascisti, mentre il resto della popolazione apparteneva a quella “zona grigia” di cui parla Renzo De Felice (1929-1996) nei suoi studi sul fascismo.
Ma le cose non andarono nella direzione auspicata dalla Chiesa. Già il 25 marzo 1960 i vescovi italiani denunciarono la penetrazione del laicismo nella cultura e nel costume con una importante Lettera dell’Episcopato, mentre il boom economico divenne presto una forma di consumismo che favorirà il materialismo pratico e l’affievolirsi della vita
religiosa. Già negli anni Cinquanta due gravi crisi avevano diviso l’Azione cattolica coni “casi” provocati dall’abbandono di Carlo Carretto (1910-1988) e Mario Vittorio Rossi (1925-1976), già leader dei giovani cattolici. Intanto i Comitati civici venivano “silenziati” dalla Dc, per la quale si profilava lo spostamento a sinistra, che si concretizzò coni governi di centrosinistra nei primi anni Sessanta.
I cristiani avevano avuto un sussulto in Europa dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale, andando a governare i principali paesi, come la Germania e la Francia, oltre all’Italia (Konrad Adenauer, 1876-1967; Robert Schuman, 1886-1963; De Gasperi). Ma il sussulto si spense presto e non riuscì a rievangelizzare e rivitalizzare la cristianità
occidentale, che ritornò a spegnersi avviandosi verso una lenta agonia.
La devastazione dei giovani
Venne così il 1968, che fece esplodere questo lavorio sul corpo sociale prodotto dai principali centri culturali del paese, tutti occupati dalle diverse sinistre operanti, azionisti, radicali, socialisti e comunisti. L’impatto fu devastante sul mondo giovanile: metà dei militanti di Gioventù studentesca, un’associazione cattolica dalla quale sarebbe nata Comunione e Liberazione, come racconta il suo fondatore don Luigi Giussani
(1922-2005), passarono ai movimenti extraparlamentari della sinistra. Ma la vera devastazione non avvenne sul piano politico, bensì su quello culturale e del costume, complice soprattutto una rivoluzione sessuale che separò l’amore dal matrimonio, dalla procreazione, dalla donazione di sé per sempre, dalla distinzione e dalla complementarietà dei ruoli maschile e femminile.
Fu questo aspetto del Sessantotto che prevalse e penetrò dentro il corpo sociale italiano, sradicando un’intera generazione dalle proprie radici cristiane.
Torneremo a parlarne.
Marco Invernizzi
Da Tempi del 09/05/2018. Foto da Wikipedia