di Silvia Scaranari
Ogni uomo ha una vocazione, un modo proprio per rispondere alla chiamata universale di Dio alla salvezza. Tante sono le vocazioni personali, tanti i carismi, la capacità, le personalità e le possibilità, tante le vie su cui camminare durante la vita, ma ci sono alcune autostrade particolari che si possono riassumere nella vocazione al matrimonio e alla famiglia, alla vita consacrata e al celibato non consacrato. Arriva un momento nella vita in cui di ogni giovane si chiede “cosa posso fare da grande?”, “chi voglio diventare?”. È una domanda mai semplice, spesso è una domanda accompagnata da un vero e proprio travaglio interiore che però a un certo momento ottiene una risposta.
Un giorno l’adolescente decide e molto probabilmente quel momento resta segnato nella memoria, soprattutto se accompagnato da qualche evento particolare. Papa Francesco ha fatto riferimento a una esperienza simile nell’Udienza generale di mercoledì 30 agosto in Piazza san Pietro. Ha evocato la chiamata di Giovanni e Andrea da parte del Signore Gesù. È un modo “straordinario” di rispondere alla domanda sulla propria vocazione. Non a tutti capita di sentire direttamente la voce del Signore e infatti Giovanni ha ricordato nella stesura del Vangelo, decenni dopo, l’ora in cui il fatto è avvenuto: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1, 39).
Il Papa si rivolge ai giovani presenti invitando tutti a prendere sul serio il problema della propria vocazione. «Anche io vorrei oggi domandare ai giovani che sono qui in piazza e a quelli che ascoltano per i media: “Tu, che sei giovane, che cosa cerchi? Che cosa cerchi nel tuo cuore?»
Il Santo Padre indica un piccolo segreto per comprendere se è la vocazione vera: «ogni vocazione vera inizia con un incontro con Gesù che ci dona una gioia e una speranza nuova; e ci conduce, anche attraverso prove e difficoltà, a un incontro sempre più pieno, cresce, quell’incontro, più grande, l’incontro con Lui e alla pienezza della gioia».
Solo la gioia può trasmettere la bellezza di una vita piena, vissuta nell’amore a Gesù e agli altri uomini: «Un discepolo del Regno di Dio che non sia gioioso non evangelizza questo mondo, è uno triste. Si diventa predicatori di Gesù non affinando le armi della retorica: tu puoi parlare, parlare, parlare ma se non c’è un’altra cosa … Come si diventa predicatori di Gesù? Custodendo negli occhi il luccichio della vera felicità.»
E conclude con un richiamo all’importanza di sognare in grande come già fece durante il discorso rivolto all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici il 17 giugno 2016 quando elogiò coloro che hanno il coraggio di andare contro corrente, di parlare con chiarezza della verità annunciata da Cristo, senza paura di sbagliare, coloro che «[…] osano sognare» aiutati in questo dalla saggezza degli anziani. «Andiamo dai vecchi che hanno gli occhi brillanti di speranza!», dice il Pontefice il 30 agosto. «Coltiviamo invece sane utopie: Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui, mentre camminiamo ben attenti alla realtà. Sognare un mondo diverso. E se un sogno si spegne, tornare a sognarlo di nuovo».
«Per questo motivo il cristiano – come la Vergine Maria – custodisce la fiamma del suo innamoramento: innamorati di Gesù. Certo, ci sono prove nella vita, ci sono momenti in cui bisogna andare avanti nonostante il freddo e i venti contrari, nonostante tante amarezze. Però i cristiani conoscono la strada che conduce a quel sacro fuoco che li ha accesi una volta per sempre».