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“Olimpiadi invernali, appeasement alla melassa”

11 Febbraio 2018 - Autore: Marco Respinti

Da La bianca Torre di Ecthelion del 10/02/2018. Foto da articolo

Anche se fa un freddo cane, le chiamano Olimpiadi del disgelo perché gli atleti delle due Coree hanno sfilato assieme sotto una bandiera unica raffigurante un inesistente Paese unificato di colore blu sopra un candido sfondo bianco. 22 atleti del Nord comunista han fatto le scarpe ad altrettanti colleghi sudcoreani a cui è stato dato il benservito in cambio di nessuno sa cosa.

Non tutti si allineano. Proprio nel punto in cui transitano i mezzi autorizzati diretti verso i siti olimpici e il centro stampa, sorvegliati da un cordone di polizia, sventolano bandiere sudcoreane e americane durante una manifestazione di protesta contro l’unificazione delle Coree. E le misure di sicurezza attorno ai siti olimpici sono state notevolmente aumentate.

Ieri, alle 20,00 (mezzogiorno in Italia) l’accensione del braciere olimpico da parte di due giocatrici di hockey della squadra unita coreana, mano nella mano, e il rutilare di luci allo stadio di Daegwallyeong, sui monti innevati poco distanti da Pyeongchang, ha aperto così i XXIII Giochi olimpici invernali in Corea del Sud.

Lo show in sei atti, in una serata in cui il leit motiv era «Peace in motion», “la pace in cammino”, inizia con il viaggio nel tempo di cinque bambini guidati da una tigre alla ricerca della pace mentre dragoni e bestie feroci si muovono come burattini. Tutto per creare uno sfondo all’evento politico-diplomatico che si svolge nella tribuna delle autorità.

Il nordcoreano Kim Yong-nam, capo dello Stato de facto, il più alto funzionario di Pyongyang mai in visita al Sud, ha stretto la mano al presidente sudcoreano Moon Jae-in, che poi ha salutato Kim Yo-jong, giovane sorella dell’assurdo despota comunista Kim Jong-Un, seduta in tribuna in cappotto nero, primo membro della dinastia del regime del Nord a far visita al Sud. Soltanto

il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, si sottrae alla sceneggiata, limitandosi a salutare le comparse del regime.

La melassa irenista va in onda da settimane, calando sulla diabolica Corea comunista una calma… olimpica. Eppure, se un Paese del mondo normale avesse fatto un centesimo di quel che il regime nordocoreano fa ai propri cittadini, sarebbe stato esiliato per sempre sul pianeta Krypton.

Basta l’esempio di quel poveraccio, militare, che in novembre ha saltato il fosso finendo sciancato dalle pallottole dei connazionali e risultando poi un ricettacolo di vermi, annidati nei visceri, frutto di prolungata malnutrizione. Faceva in qualche modo parte dell’élite, figuriamoci gli altri.

Ora, l’appeasement non ha mai funzionato. Agosto 1936, Berlino. Ai Giochi della XI Olimpiade (estiva) il nero Jesse Owens trionfò nel salto in lungo e Adolf Hitler si prese in fretta Austria e Sudeti nel 1938, e Polonia nel 1939, scatenando la Seconda guerra mondiale.

Nemmeno la XXII Olimpiade dell’agosto 1980 a Mosca servì a rabbonire la belva sovietica travestita con la faccetta tenerona dell’orsetto Misha. Fu infatti solo l’avvio, poco dopo, della dottrina maschia di Ronald Reagan a trasformare il sogno in realtà: la sconfitta invece del contenimento del nemico.

E la XXIX Olimpiade in Cina? Uno dei più grandi business della storia contemporanea. Mikhail Gorbacev non riuscì a finanziare il salvataggio trasformistico del regime comunista sovietico morente, ma i neopostcomunisti cinesi sì, con i soldi del mondo libero e atletico. Pronti, tra laogai e repressione, per il secondo versamento alle XXIV Olimpiadi invernali in programma a Pechino nel 2022.

Marco Respinti

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