Il Figlio, coeterno al Padre, non ha voluto rimanere puro spirito: si è fatto uomo, mostrandoci per primo la concretezza del Suo amore
di Michele Brambilla
L’Angelus di Papa Francesco del 3 gennaio mette a fuoco il rapporto coeterno che intercorre tra Padre e Figlio. Come spiega infatti il Pontefice, «in questa seconda domenica dopo Natale la Parola di Dio non ci offre un episodio della vita di Gesù, ma ci parla di Lui prima che nascesse» nella carne. «Oggi il Vangelo dice che Colui che abbiamo contemplato nel suo Natale, come bambino, Gesù, esisteva prima: prima dell’inizio delle cose, prima dell’universo, prima di tutto. Egli è prima dello spazio e del tempo. “In Lui era la vita” (Gv 1,4) prima che la vita apparisse».
La pagina evangelica di riferimento è il Prologo del Vangelo di san Giovanni, che bene illustra la condizione di Cristo prima della sua entrata nel tempo cronologico: «san Giovanni lo chiama Verbo, cioè Parola. Che cosa vuole dirci con ciò? La parola serve per comunicare: non si parla da soli, si parla a qualcuno. Sempre si parla a qualcuno», e Dio ha voluto esprimersi compiutamente attraverso l’Incarnazione del Figlio. Si può affermare, pertanto, che «il Figlio unigenito del Padre (cfr Gv 1,14) vuole dirci la bellezza di essere figli di Dio; è “la luce vera” (Gv 1,9) e vuole allontanarci dalle tenebre del male; è “la vita” (Gv 1,4), che conosce le nostre vite e vuole dirci che da sempre le ama. Ci ama tutti […] E per farlo, è andato oltre le parole. Infatti, al cuore del Vangelo di oggi ci viene detto che la Parola “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)».
Il Signore non si è limitato, quindi, ad essere puro spirito, è entrato nell’ordine delle verità fattuali, tangibili, assumendone tutti i rischi: «si fece carne: perché san Giovanni usa questa espressione, “carne”? Non poteva dire, in modo più elegante, che si fece uomo? No, utilizza la parola carne perché essa indica la nostra condizione umana in tutta la sua debolezza, in tutta la sua fragilità. Ci dice che Dio si è fatto fragilità per toccare da vicino le nostre fragilità». Il Papa precisa che «non ha preso la nostra umanità come un vestito, che si mette e si toglie. No, non si è più staccato dalla nostra carne», che ha portato con Sé in Paradiso nell’Ascensione. Francesco usa una metafora nuziale cara ai Padri della Chiesa: «si è unito per sempre alla nostra umanità, potremmo dire che l’ha “sposata”. A me piace pensare che quando il Signore prega il Padre per noi, non soltanto parla: gli fa vedere le ferite della carne, gli fa vedere le piaghe che ha sofferto per noi».
Anche i credenti devono passare dalle parole ai fatti, pertanto il Pontefice li ammonisce dicendo: «come cristiani rifuggiamo dalla mentalità fatalistica o magica: sappiamo che le cose andranno meglio nella misura in cui, con l’aiuto di Dio, lavoreremo insieme per il bene comune, mettendo al centro i più deboli e svantaggiati. Non sappiamo che cosa ci riserverà il 2021, ma ciò che ognuno di noi e tutti insieme possiamo fare è di impegnarci un po’ di più a prenderci cura gli uni degli altri e del creato, la nostra casa comune». Il Papa rimprovera la corsa al volo o al treno last-minute prima dell’inizio della “zona rossa” natalizia, che considera un emblema della mentalità individualista. «Rivolgo», inoltre, «un particolare saluto a quanti iniziano il nuovo anno con maggiori difficoltà, ai malati, ai disoccupati, a quanti vivono situazioni di oppressione o sfruttamento. E con affetto desidero salutare tutte le famiglie, specialmente quelle in cui ci sono bambini piccoli o che aspettano una nascita. Sempre una nascita è una promessa di speranza».
Lunedì, 4 gennaio 2021