Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 114 (1984)
Nell’India «non allineata» e «non violenta» la terra di diciassette milioni di uomini è stata trasformata in un enorme campo di concentramento.
Per opera del governo socialistico guidato da Indira Gandhi
Oppressione e massacro della comunità sikh
Dall’inizio di giugno del 1984, nello Stato indiano del Punjab e attorno al tempio sacro dei sikh, ad Amritsar non vi sono stati trecento, cinquecento oppure mille morti, ma numerose migliaia. Più di tremila persone sono state gettate in prigione. Altrettante sono state costrette alla clandestinità. Decine di ufficiali e di sottufficiali dell’esercito del paese sono stati dimessi dalle loro funzioni. L’ordine regna nel Punjab. Ma il fuoco cova da molto tempo, e la stampa fa opera di disinformazione quando paragona i responsabili sikh a Khomeini, oppure scrive che il sant Jarnail Singh Bhindranwale, simbolo della loro fede, ucciso nel tempio di Amritsar, «aveva fondato la sua strategia sulla violenza e sull’assassinio» (1).
Questo religioso di trentasette anni è venuto a rinchiudersi nel luogo sacro, venerato da trentaquattro secoli, solamente perché, dal 1947, Nehru, il socialista visionario e pianificatore, così come, poi, sua figlia Indira Gandhi, sono rimasti sordi alle rivendicazioni di una comunità di diciassette milioni di esseri umani, di cui dodici vivono nel Punjab.
La spartizione dell’impero britannico delle Indie, nel 1947, tra il Pakistan e l’India, aveva causato la morte di cinquecentomila persone, in un anno soltanto. Da allora, centrati su Amritsar, i sikh reclamavano l’autonomia amministrativa che era stata loro promessa, in cambio della loro permanenza nella nuova federazione. Essi chiedevano di potere praticare la loro religione, e che essa fosse rispettata come proclamato nella costituzione comune. Volevano che Amritsar fosse la loro capitale, e, poiché vi era un unico esercito indiano, che i sikh, allora il 25% degli effettivi compresi i quadri, potessero conservare la loro posizione nelle forze armate. Dopo tutto, avevano guadagnato questo diritto, secolo dopo secolo, respingendo in altri tempi le invasioni asiatiche e proteggendo le comunità vicine, e infine partecipando coraggiosamente alle due ultime guerre mondiali.
Nehru e Indira Gandhi hanno finto di non capire. E hanno anche chiesto all’architetto Le Corbusier di costruire a Chandigarh una città artificiale, che sarebbe stata la capitale del Punjab: edifici senz’anima, l’allontanamento dal tempio sacro, e perfino diversi corsi d’acqua passati sotto il controllo dei soli indù, dopo la «correzione» delle frontiere dello Stato, avvenuta nel 1966. La quota di militari sikh fu ridotta dal 25 al 12% e, a parte una decina di promozioni simboliche al grado di generale oppure di colonello, i sikh non avevano ormai più accesso al rango di ufficiale.
In cambio del 70% del grano fornito all’India – che, in questi ultimi anni, proprio per questa ragione, non ne importava più – il Punjab riceveva solamente il 2% del bilancio federale. La parte del povero, mentre sono i sikh che hanno fatto del Punjab il granaio dell’India. Ecco cosa non si legge sulla stampa.
Fra gli assassinati di giugno vi è principalmente Bhai Amrik Singh, di trent’otto anni, che, da anni, dirigeva l’associazione degli studenti sikh dell’India, associazione del 1944, e non, come scrivono i giornali, da due e da tre anni, per coprire azioni terroristiche …
Fra le personalità gettate in prigione nello stesso mese vi è Prakash Singh Badal, ex primo ministro del Punjab e che tutti conoscevano per la sua moderazione, e Harchand Singh Longowal, presidente dell’Akali Dal. Moderato come il precedente, questo leader del partito dei sikh, e numerosi altri ministri, fra cui Jaggit Singh Chauhan – già ministro delle Finanze -, hanno deciso nel 1978 di costringere pacificamente Indira Gandhi a rispondere alle loro rivendicazioni.
Ella ha risposto facendo arrestare fino a cinquemila sikh, le cui manifestazioni erano per altro non violente e tanto perfettamente inquadrate che non era possibile nessuna provocazione. Jaggit Singh Chauhan è stato costretto all’esilio. Rifugiato nei pressi di Londra, ha allora creato il Dal Khalsa o «partito dei puri», annunciando che, se fossero stati ascoltati, i sikh non avrebbero più chiesto la loro autonomia interna, ma si sarebbero separati, creando lo Stato del Khalistan, capace, vista la ricchezza del Punjab, di vivere in totale indipendenza.
Nell’ottobre del 1982, i responsabili dell’Akali Dal e del Dal Khalsa si sono riuniti a Londra per coordinare la loro azione. Si è trattato di un ultimo avvertimento a Indira Gandhi, che ha continuato a fare orecchie da mercante e a tentare di gettare i sikh gli uni contro gli altri, credendo di poterli comperare con cariche, e offrendo la presidenza dell’India – funzione senza poteri – a uno di loro, Zail Singh.
Nel giugno 1983, Jaggit Singh Chauhan assisteva, a Parigi, alla tribuna, alla nascita della Conferenza Internazionale delle Resistenze nei Paesi Occupati, la CIRPO. Egli fa parte dell’esecutivo di questo organismo, creato per difendere i diritti degli uomini alla loro patria e alle loro convinzioni. Nel marzo del 1984, lo stesso Jaggit Singh Chauhan avvertiva che sarebbe bastata una scintilla perché la situazione nel Punjab si trasformasse in dramma, e che sarebbe stato sufficiente che Indira Gandhi riconoscesse Amritsar come capitale, la religione sikh per i sikh, l’autonomia amministrativa del Punjab, per calmare immediatamente la situazione. Il 9 giugno 1984, Le Monde, poco sospetto di sostenere i diritti dell’uomo a proposito dei sikh, intitolava: Indira Gandhi sceglie la prova di forza (2).
Dunque, non l’hanno scelta né il popolo sikh, né qualcuno dei suoi dirigenti. In risposta, Jaggit Singh Chauhan ha creato a Londra, il 13 giugno 1984, un governo in esilio del Khalistan, sostenuto nelle piazze da trentamila sikh entusiasti, mentre in Canada – in quindicimila a Vancouver, in tremila a Toronto, in mille a Edmonton, ecc. -, negli Stati Uniti – davanti alla sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite -, a Copenhagen, a Singapore – in ventimila -, i sikh portavano il loro sostegno esterno, a nome dei loro fratelli imbavagliati dalla legge marziale.
Troppi, nel mondo, si atteggiano a difensori dei «diritti dell’uomo» quando si tratta di uno scienziato oppure di armeni massacrati sessantanove anni fa, o di assassini palestinesi, ma ignorano il destino di diciassette milioni di sikh, il cui Stato è stato trasformato in una prigione.
Pierre Faillant de Villemarest
Note:
(1) Le Point, 11-6-1984.
(2) Cfr. Le Monde, 9-6-1984.