Il Papa spiega come la Parola udita, contemplata e pregata nella liturgia si traduca nella santificazione della vita quotidiana. Nuovo appello all’Italia
di Michele Brambilla
Il 10 febbraio, nel corso dell’udienza generale, Papa Francesco approfondisce un aspetto particolare della preghiera liturgica. Essa non rimane confinata nel perimetro rituale, sigillato dall’«Ite missa est», ma si traduce nella glorificazione di Dio attraverso le nostre azioni quotidiane, come dice la stessa esortazione conclusiva della Santa Messa: «Glorificate il Signore con la vostra vita: andate in pace». «A questo proposito», precisa il Pontefice, «il Catechismo dice: “Noi impariamo a pregare in momenti particolari, quando ascoltiamo la Parola del Signore e quando partecipiamo al suo Mistero pasquale; ma è in ogni tempo, nelle vicende di ogni giorno, che ci viene dato il suo Spirito perché faccia sgorgare la preghiera. […] Il tempo è nelle mani del Padre; è nel presente che lo incontriamo: né ieri né domani, ma oggi” (n. 2659). Oggi incontro Dio, sempre c’è l’oggi dell’incontro». Attraverso i nostri fratelli uomini e le circostanze della vita quotidiana, Dio ci chiede di rendere la Grazia sacramentale il seme che fa germogliare attorno a noi una civiltà secondo il Vangelo.
«In effetti», riconosce il Santo Padre, «tutto viene assunto in questo dialogo con Dio: ogni gioia diventa motivo di lode, ogni prova è occasione per una richiesta di aiuto. La preghiera è sempre viva nella vita, come fuoco di brace, anche quando la bocca non parla, ma il cuore parla. Ogni pensiero, pur se apparentemente “profano”, può essere permeato di preghiera. Anche nell’intelligenza umana c’è un aspetto orante; essa infatti è una finestra affacciata sul mistero: rischiara i pochi passi che stanno davanti a noi e poi si apre alla realtà tutta intera, questa realtà che», ricorda, «la precede e la supera», sfuggendo alle gabbie del razionalismo e del relativismo.
Il Signore ci aspetta nell’oggi: «non esiste altro meraviglioso giorno che l’oggi che stiamo vivendo. La gente che vive sempre pensando al futuro: “Ma, il futuro sarà meglio…”, ma non prende l’oggi come viene: è gente che vive nella fantasia, non sa prendere il concreto del reale» e insegue le utopie. Cristo, invece, è quell’oggi che permette di interpretare positivamente sia il passato che il futuro come storia della Salvezza (α e Ω): «in qualche momento ci sembrerà di non essere più noi a vivere, ma che la grazia viva e operi in noi mediante la preghiera. E quando ci viene un pensiero di rabbia, di scontento, che ci porta verso l’amarezza, fermiamoci e diciamo al Signore: “Dove stai? E dove sto andando io?” E il Signore è lì, il Signore ci darà la parola giusta».
La preghiera è quindi il luogo in cui ritroviamo il significato autentico del tempo cronologico e del nostro stesso tempo sulla terra. Francesco cita la Scrittura: «l’uomo – la persona umana, l’uomo e la donna – è come un soffio, come un filo d’erba (cfr Sal 144,4; 103,15)», ma è stato elevato alla dignità divina dal Sacrificio di Cristo.
Solo chi ne è consapevole non ha paura del futuro e fa figli. Il Papa, che giusto domenica scorsa ha denunciato l’inverno demografico italiano, torna a rivolgersi all’Italia: «rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana. In una società che continua ad essere lacerata da contrasti e divisioni, siate segno di un progetto di riconciliazione e di fraternità che affonda le sue radici nel Vangelo e nell’aiuto indispensabile della preghiera». Il riferimento è a quell’«ora et labora» che ha ricostruito la Penisola e l’intera Europa dopo il crollo dell’Impero romano.
Giovedì, 11 febbraio 2021