di Michele Brambilla
L’udienza generale di Papa Francesco del 26 giugno commenta una delle più celebri e travisate pagine degli Atti degli Apostoli, all’interno della quale si dice che i primi cristiani erano «perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). Ciò rese subito la Chiesa locale di Gerusalemme un modello nella predicazione e nella pratica liturgica. In più, aggiunge il Papa, «la grazia del battesimo rivela […] l’intimo legame tra i fratelli in Cristo che sono chiamati a condividere, a immedesimarsi con gli altri e a dare “secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,45), cioè la generosità, l’elemosina, il preoccuparsi dell’altro, visitare gli ammalati, visitare coloro che sono nel bisogno, che hanno necessità di consolazione». Ne viene fuori un quadro che fissa come “pilastri” di una solida vita cristiana l’ascolto della predicazione apostolica, l’Eucaristia e la carità.
La primitiva comunità di Gerusalemme delinea quindi dei “canoni” che devono essere ripresi in ogni Chiesa locale, tuttavia bisogna stare attenti ad alcune letture “maliziose” di At 2. Il Papa lo afferma chiaramente laddove dice: «l’evangelista Luca […] racconta […] la chiesa di Gerusalemme come il paradigma di ogni comunità cristiana, come l’icona di una fraternità che affascina e che non va mitizzata ma nemmeno minimizzata». Spesso la “triade” predicazione, Eucaristia e carità viene infatti trasformata nella formula delle “3P”, “Parola, Pane, Poveri”, dove “Parola” sta per “Bibbia” soggettivamente interpretata e “Poveri” esclusivamente per coloro che soffrono la povertà economica, da riscattare magari tramite la lotta di classe. La pagina degli Atti, invece, indica l’importanza del Magistero e spalanca lo sguardo su ogni tipo di bisogno a partire dall’Eucaristia, cuore pulsante dello stesso ritrovarsi dei credenti perché si tratta di Cristo in persona. Solo dopo queste puntualizzazioni lessicali è possibile intuire come At 2 non preluda affatto ad una giustificazione cristiana del comunismo, come si pensava negli anni Sessanta-Settanta del Novecento, ma possieda uno spessore pastorale e teologico davvero da non minimizzare.
Se è l’Eucaristia a fondare la fraternità cristiana, «diversamente dalla società umana, dove si tende a fare i propri interessi a prescindere o persino a scapito degli altri, la comunità dei credenti bandisce l’individualismo per favorire la condivisione e la solidarietà. Non c’è posto per l’egoismo nell’anima di un cristiano», poiché Cristo nell’Ostia santa si consegna interamente. «La prossimità e l’unità sono lo stile dei credenti: vicini, preoccupati l’uno per l’altro, non per sparlare dell’altro, no, per aiutare, per avvicinarsi». La comunità di Gerusalemme affascinava per la profondità della comunione raggiunta immergendosi nella sapienza dei tre pilastri richiamati. Così, asserisce Francesco, si deve poter dire di ogni Chiesa locale a noi contemporanea. «Preghiamo lo Spirito Santo perché faccia delle nostre comunità luoghi in cui accogliere e praticare la vita nuova, le opere di solidarietà e di comunione, luoghi in cui le liturgie siano un incontro con Dio, che diviene comunione con i fratelli e le sorelle, luoghi che siano porte aperte sulla Gerusalemme celeste».
Giovedì, 27 giugno 2019