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Paura, sicurezza e integrazione

19 Febbraio 2018 - Autore: Marco Invernizzi

Cari amici,

vogliamo parlare della paura? Di quella paura comprensibile, come l’ha definita Papa Francesco il 14 gennaio, ma che deve essere vinta e superata, nella prospettiva dell’integrazione e dell’apostolato? Quella paura che spinge le persone anziane a chiedere di essere accompagnate per uscire di casa in una grande città come Milano, dove la struttura sociale delle periferie sta cambiando, provocando sconcerto e timore. La gente non ha paura dello squilibrato nazionalsocialista (se ne troveranno sempre e se se ne parlasse meno soprattutto in televisione probabilmente il fenomeno scomparirebbe), ma ha paura del cambiamento del proprio habitat, che verifica ogni giorno direttamente.

Allora è evidente che questa paura non può diventare dominante, perché fermerebbe la vita sociale e sarebbe un ulteriore elemento di divisione che penetra nella vita pubblica del nostro Paese. Tuttavia questa paura va presa sul serio, perché è autentica. Non c’entra nulla né con il razzismo né con il fascismo. Il primo è un’ideologia nata nella modernità, che prevede la sostituzione dell’odio fra le classi con quello fra le diverse etnie e che ha provocato i genocidi nel Novecento che conosciamo. Il secondo è ancora un’ideologia figlia nel mondo moderno che nella gerarchia dei valori mette la nazione al posto della religione e che ha condotto alla “guerra civile europea” che va dalla Grande guerra alla caduta del Muro di Berlino (1914-1989). Oggi quelli che vengono chiamati (spesso sbrigativamente cioè superficialmente) “razzismo” e “fascismo” sono fenomeni sociali di reazione al “politicamente corretto”, che attirano giovani in cerca di avventure anticonformiste e che diventano rilevanti nella misura in cui il pensiero unico viene diffuso in modo acritico e invasivo.
A questo proposito è singolare il modo irreale con cui moltissimi giornalisti hanno affrontato il tema nei giorni scorsi: grande enfatizzazione del gesto di un delinquente e squilibrato che leggeva il Mein kampf a Macerata, grande rilievo a poche decine di aderenti a Forza nuova che manifestano nella città, secondo piano invece per una ragazza uccisa e squartata forse perché l’episodio vede coinvolti extracomunitari clandestini e di colore. Fa impressione ascoltare la seconda e la terza carica dello Stato riprendere i toni dell’antifascismo militante degli anni 1970; anche allora chi andava a scuola o all’università sapeva perfettamente chi erano i violenti che impedivano l’agibilità politica a tutti gli anticomunisti, mentre la grande stampa evocava il pericolo del “fascismo”.
Anche allora, come oggi, la gente comune sapeva di chi avere paura, senza peraltro assolutamente condividere i gesti disperati di pochi violenti spesso infatuati d’ideologie solo apparentemente opposte a quelle che combattono.

La paura esiste e va affrontata per essere superata. Si dice che venga sfruttata per ragioni politiche, ma il problema della sicurezza rimane centrale per la vita dei cittadini al di là della campagna elettorale. Soltanto all’interno di un clima che garantisca una vita normale è possibile affrontare e superare la paura del diverso, costruire le condizioni per una autentica integrazione, come ha saputo fare la Chiesa Cattolica nella tarda antichità evangelizzando i popoli barbari, custodendo e trasmettendo la cultura classica e il diritto romano, e seminando ovunque il Vangelo che ha lentamente portato la pace e l’ordine nella Cristianità nascente dentro il mondo antico che stava morendo.

Marco Invernizzi

19 febbraio 2018, San Giorgio, Monaco di Vabres    

 

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