Di Guido Santevecchi da Il Corriere del 23/05/2021
Cento poliziotti hanno compiuto una retata nel seminario cattolico di Shaheqiao, nella provincia cinese dello Hebei. Sono arrivati giovedì pomeriggio e hanno arrestato sette sacerdoti e dieci seminaristi, qualcuno dev’essere riuscito a fuggire perché gli agenti sono tornati venerdì a setacciare i dintorni, casa per casa. AsiaNews, la rivista online del Pontificio Istituto Missioni Estere, ha saputo che la polizia è andata a prendere anche monsignor Giuseppe Zhang Weizhu, il vescovo della Prefettura apostolica di Xinxiang, dalla quale dipendeva l’istituto. Il seminario era in una ex fabbrica messa a disposizione da un fedele della zona, che è circa 170 chilometri a sud di Pechino. La vicinanza con la capitale rende molto improbabile che le autorità centrali non siano state informate dell’azione e che si sia trattato di una iniziativa autonoma di funzionari locali, come invece era stato suggerito in passato di fronte ad azioni intimidatorie del genere.
Secondo le informazioni di AsiaNews, con il colpo di mano di Shaheqiao è finito agli arresti quasi tutto il clero della Prefettura, che ha giurisdizione su 100 mila fedeli (in tutta la Repubblica popolare cinese i cattolici sarebbero circa 14 milioni, compresi quelli che praticano sotto l’ombrello della cosiddetta «Chiesa patriottica» allineata a Pechino). La Prefettura apostolica di Xinxiang non è riconosciuta dal governo cinese: significa che ogni sua attività può essere considerata «illegale e criminale».
A fine aprile la Santa Sede ha fatto filtrare sul Corriere della Sera il suo disappunto per la repressione in atto. Nel 2018 il Vaticano e Pechino avevano firmato un accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, rinnovandolo nell’autunno del 2020. I dettagli sono segreti, su richiesta cinese: a quanto si è capito, all’interno del Partito-Stato ci sono forze che si oppongono a un ammorbidimento nei confronti della religione (non comunista). Xi Jinping dev’essere incerto tra l’opportunità di poter mostrare al mondo un enorme successo politico-diplomatico e il timore di dare legittimità a una fede che comunque considera estranea alla Cina e capace di costituire un contropotere ispirato da valori etici non comunisti.
Si suppone che nell’intesa il vertice della Chiesa cattolica avesse visto una garanzia di tregua in attesa di ulteriori sviluppi. Il compromesso sulle nomine ha intanto evitato il rischio di uno scisma causato dalla nomina di vescovi «patriottici» senza l’investitura del Papa.
Ma invece di una distensione, è seguita una catena di repressione: sono stati chiusi alcuni orfanotrofi gestiti dalle suore; è stato vietato ai genitori di portare a messa i bambini; sono comparse telecamere di sorveglianza all’ingresso dei luoghi di culto; sono proseguiti arresti di vescovi «sotterranei» (quelli che non hanno accettato di essere «vidimati» dal Partito). Lo stesso monsignor Giuseppe Zhang Weizhu, 63 anni, ordinato vescovo di Xinxiang nel 1991, è stato più volte detenuto. «Con i cinesi dobbiamo avere molta pazienza», ha detto ad aprile una fonte vaticana a Massimo Franco sul Corriere della Sera: ma il segnale informale diretto a Pechino era: l’accordo è stato sistematicamente disatteso.
La Santa Sede ha mostrato comunque molta cautela anche di fronte alla svolta poliziesca imposta a Hong Kong. Ha atteso due anni prima di scegliere il nuovo vescovo del territorio, dopo la morte nel 2019 del predecessore. Il 17 maggio è stato annunciato che la diocesi sarà guidata da Stephen Chow Sau-yan, un gesuita nato in città nel 1959, quando Hong Kong era ancora una colonia britannica. Monsignor Chow è considerato un intellettuale moderato, equidistante tra fronte democratico e governo.
Foto da Il Corriere