Spiegare perché alla Chiesa appartenga anche l’azione di educare divenne necessario quando questo diritto-dovere fu messo in questione dalla modernità. Nacque infatti un altro tipo di scuola, mai visto in precedenza, in cui si tentava di creare “l’uomo nuovo”. Il piemontese Massimo d’Azeglio lo spiegò limpidamente nella frase “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”.
Già il beato Pio IX nel Sillabo (1864) condannava la tesi secondo la quale “l’intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, (…) può e dev’essere attribuito all’autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun’altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole” (XLV). Primato della famiglia sullo Stato, tutela dei corpi intermedi (Chiesa in primis) e contrasto al monopolio statale sono rimasti i parametri di riferimento per tutti i suoi successori.
Un documento non molto conosciuto del Concilio Vaticano II, Gravissimum educationis (1965), precisa il proprio dello Stato in materia di istruzione. “Tocca allo Stato provvedere perché tutti i cittadini possano accedere e partecipare, come si conviene, alla cultura (…). Sempre lo Stato dunque deve tutelare il diritto dei fanciulli ad una conveniente educazione scolastica, vigilare sulla capacità degli insegnanti e sulla serietà degli studi, provvedere alla sanità degli alunni”. I genitori cattolici sono invitati (par. 6,b) a collaborare per quanto possibile “sia nella ricerca di metodi educativi idonei e dell’ordinamento degli studi, sia nella formazione dei maestri” secondo quanto la migliore scienza umana dispone. L’accenno alla sussidiarietà mette subito in chiaro come la funzione della scuola statale non possa essere alternativa alla potestà genitoriale. “Le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà”.
La libertà che precede lo Stato è affermata anzitutto come libertà religiosa, dalla quale discende sia la possibilità, da garantire, per la Chiesa di mantenere proprie scuole, in cui mostrare senza pericolo di censure la propria visione del mondo, sia il dovere per i genitori di vigilare sui contenuti veicolati negli istituti statali. “Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle famiglie” (7,b). L’ora di religione rientra, sempre secondo il par. 7, esattamente in questo ambito.
Il cattolicesimo nella scuola statale passa anche per la testimonianza dei credenti, sia come maestri che come alunni, pertanto è legittimata anche la presenza di associazioni che garantiscano “l’azione apostolica dei condiscepoli”. Il concilio lo afferma all’alba dell’irruzione nelle scuole dei collettivi comunisti, ai quali bisognava fare un’opportuna barriera in nome, ancora una volta, della libertà religiosa. Benedetto XVI ha più volte criticato una scuola ed un’istruzione laicista che chiudono il cielo sopra le teste dei ragazzi (Charitas in veritate, par. 30).
Papa Francesco si sta muovendo sui medesimi binari dei predecessori. In Laudato sì (par. 213) dichiara in merito allo sviluppo umano integrale: “una buona educazione scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza pone semi che possono produrre effetti lungo tutta la vita. Ma desidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia, perché è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro molteplici attacchi a cui è esposta”. E nella più criticata che letta Amoris laetitia ribadisce: “lo Stato offre un servizio educativo in maniera sussidiaria, accompagnando la funzione non delegabile dei genitori, che hanno il diritto di poter scegliere con libertà il tipo di educazione, accessibile e di qualità, che intendono dare ai figli secondo le proprie convinzioni. La scuola non sostituisce i genitori bensì è a essi complementare”, in tempi di manipolazione gender e di famiglie ferite.
Si può quindi osservare la sostanziale continuità del Magistero sui compiti e i limiti della scuola statale. In un mondo ordinato la scuola statale non contraddice l’educazione familiare, ma è conscia del suo ruolo secondo, che fa sì che permetta pure l’esistenza di un pluralismo che non significa concorrenza ostile, ma naturale complementarietà. E’, in fin dei conti, la differenza tra uno Stato etico assoluto, che determina la vita di ogni singolo cittadino dalla culla alla tomba, e istituzioni che riconoscono di essere a servizio del corpo sociale concreto (in altri tempi si sarebbe usata l’espressione “Paese reale”), della sua cultura e delle sue vere aspirazioni. L’autonomia della riforma A.D. 2000, che mette in reciproca comunicazione presidi, collegio docenti e territorio locale, è un primo passo in questa direzione, ma resta ancora molto da fare per scalfire una visione della scuola ereditata dai secoli delle ideologie, sulla quale la Rivoluzione continua a insistere.
Michele Brambilla