« Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo » (Lc 14,25-33).
Se c’è una cosa che colpisce nei racconti evangelici è la richiesta avanzata da Gesù di essere amato. Se riflettiamo attentamente sui termini di questo amore, non solo colpisce, ma stupisce e sconcerta. L’amore preteso da Gesù appare – da un punto di vista strettamente umano – veramente “esagerato”. « Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo ». Gesù prende come termine di paragone gli affetti più forti, quelli naturalmente più radicati e pretende senza mezzi termini che vengano trascesi, superati. Ne fa una questione di vita o di morte: se non lo si ama così non si è degni di lui! Le conclusioni delle lettere di Paolo spesso sfuggono. Giunti in fondo alla lettera, si sorvola sulle formule conclusive, che hanno l’aria di essere delle innocue aggiunte di pura cortesia. Così tralasciamo però dei dettagli importanti. Per esempio, a conclusione della prima lettera ai Corinti, troviamo questa espressione veramente molto forte: «Se qualcuno non ama il Signore, sia anàtema!» (1Cor 16,11).
Amare il Signore Gesù allora non è un ornamento, un’aggiunta “sentimentale” al contenuto ideale veramente importante: è qualcosa che si situa al centro della nostra fede. Gli uomini in genere si accontentano di essere amati da quei pochi che appartengono alla loro cerchia e che sono loro contemporanei. Degli estranei, che non sono parenti o comunque a loro in qualche modo legati – per non parlare di tutti gli uomini passati, presenti e futuri – non importa in genere un gran che. Non gli interessa di essere amati da loro. All’uomo interessa certamente l’amore – si può anzi dire che è la cosa che per lui vale di più, che lo voglia ammettere o no – ma gli interessa l’amore delle persone che… gli interessano. Gesù vuole l’amore di tutti: « E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me » (Gv 12,32); « Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore » (Gv 15,9). Lo pone come condizione per seguirlo e lo intende come un dono radicale della propria vita: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,24-25). Questo amore che Gesù innanzitutto dona – mediante la Croce e la Resurrezione – e poi chiede è totale. È evidentemente divino: appare anzi come ciò in cui e attraverso cui rifulge la sua identità divina. Non possiamo non sentire nelle parole di Gesù l’eco delle formule solenni dello Shemà (Ascolta!): « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte » (Dt 6,4-9).
In questa luce non ci stupiamo più che un san Paolo abbia concluso in modo così drastico la sua lettera, che san Francesco sentisse fisicamente la dolcezza sulle labbra ogni volta che pronunciava il nome di Gesù, che a un san Filippo Neri l’amore di Cristo abbia invaso così prepotentemente il cuore da rompergli due costole… Non ci possiamo neppure stupire che ad un tale amore corrisponda presso gli uomini malvagi un odio altrettanto “esagerato” e assolutamente immotivato per Gesù e la sua Chiesa. Una vera e propria Cristofobia… Al fatale rischio di questo odio, chi ama veramente il Signore, si sottopone coraggiosamente: è la vicenda dei martiri e dei perseguitati di ieri e di oggi…