« Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: “Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me””. Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme » (Lc 19,11-28).
La parabola di Luca delle dieci monete d’oro è simile a quella dei talenti raccontata nel vangelo di Matteo (Mt 25,14-30). Ha diversi livelli di significato.
1) Storicamente allude a come i sovrani erodiani della Palestina viaggiavano spesso a Roma per assicurarsi un’autorità regale. In particolare Archelao andò al cospetto di Cesare Augusto cercando per sé stesso il regno del suo padre defunto Erode il Grande. Come nella parabola, i Giudei inviarono a Roma una delegazione per chiedere che la dinastia erodiana fosse destituita.
2) Moralmente Gesù sottolinea il senso di responsabilità (dal latino respondeo, cioè la corretta risposta ai doni ricevuti). Si aspetta che i suoi discepoli compiano il loro dovere nel tempo della sua assenza terrena: la paura di sbagliare non è una scusa accettabile per assecondare la pigrizia e la mancanza di produttività.
3) Teologicamente la parabola allude al fatto che Gesù sale al Padre per ricevere il suo Regno e ritorna per giudicare quelli che non accettano la sua autorità. Questo ritorno è strettamente connesso con il giudizio di Israele e la caduta di Gerusalemme nel 70 dopo C., la quale è – a sua volta – una prefigurazione profetica della sua seconda venuta nella gloria alla fine dei tempi. Il giudizio di Dio coincide con la sua Misericordia, la quale appare in tutto il suo splendore e la sua gloria nell’evento della Croce e della Resurrezione. La moneta d’oro è la possibilità offerta a ciascuno di noi di corrispondere liberamente e responsabilmente all’amore misericordioso infinito di Gesù. Ognuno di noi, indipendentemente dalla quantità dei doni ricevuti, ha la possibilità di accogliere la misericordia a lui donata. Come? Accettando di amare, cioè di non tenere per sé quello che è e che ha, nascondendolo « in un fazzoletto ». Accettando liberamente di lasciarsi convincere (cioè “sconfiggere”, “far prigioniero”) dall’amore di Gesù, rivivendo questo amore nella sua propria vita.