« Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,43-48).
Il mistero della vocazione alla santità si fa qui sommo. Il Signore Gesù non si accontenta di una vita corretta, in cui si sta attenti solo a non commettere peccati. Una vita di tal genere non è sufficiente. Il vero cristiano non è soltanto “una brava persona”. Il modello tante volte richiamato del rapporto che Dio vuole stabilire con noi è quello del matrimonio. Se due sposi ci dicessero l’un l’altro: il nostro matrimonio è meraviglioso! Non ci insultiamo, non ci derubiamo, non ci imbrogliamo, addirittura non ci uccidiamo! Davanti ad un matrimonio di questo tipo rimarremmo giustamente perplessi. Un matrimonio vero ed autentico è quello in cui c’è l’amore.
Noi siamo chiamati ad imitare Dio. Era già un precetto chiaro nella legge: « Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo » (Lev 19,2). Finora era stato inteso soprattutto come un invito a separarsi (קָדוֹשׁ: santo, separato, messo da parte per un uso sacro) dagli altri. Qui Gesù invita a fare un passaggio di livello, imitando Dio in ciò che ha di più proprio, in quella che è la sostanza della sua diversità, cioè nel suo Amore (1Gv 4,8.16). « […] amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti ». Essere come Dio vuol dire fare come lui fa. Se sei come lui sei un “nobile”, sei un “diverso”. Ma che cosa vuol dire essere diverso? Vuol dire amare come lui. Se ami solo quelli che ti amano, dove sta la diversità? Lo fanno anche i pubblicani e i pagani. No! Noblesse oblige, la tua nobiltà, il tuo essere Figlio di Dio, ti obbliga ad un comportamento diverso. Devi amare i tuoi nemici. Non solo i nemici “in astratto”, ma quelli che, molto concretamente, ti maltrattano, che parlano male di te, che ti mettono da parte… Così infatti fa Dio.
« Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo “partecipi della natura divina” ( 2Pt 1,4 ): “Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1]. “Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio” [Sant’Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: PG 25, 192B]. “Unigenitus Dei Filius, suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L’Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei” [San Tommaso d’Aquino, Opusculum 57 in festo Corporis Christi, 1] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 460). Ma “diventare come Dio” non è stata proprio la tentazione del Diavolo? « Costituito in uno stato di santità, l’uomo era destinato ad essere pienamente “divinizzato” da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare “come Dio”, [Cf Gen 3,5 ] ma “senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio” [San Massimo il Confessore, Ambiguorum liber: PG 91, 1156C] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 398).
La vera “divinizzazione” (come la vera nobiltà) è un dono accolto con umiltà, non una conquista delle nostre opere o un pretesto per sentirsi superiore agli altri e per disprezzarli.