Card. Gerhard Ludwig Müller, Cristianità n. 415 (2022)
Con l’autorizzazione dell’autore e della rivista, la Katholische Nachrichten, pubblichiamo una traduzione redazionale dell’omelia che S. Em. il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha tenuto presso la Cappella dell’Oriel College di Oxford (Regno Unito) il 12 giugno 2022, festa della SS. Trinità. Il testo originale è reperibile nel sito web <https://kath.net/news/78700>, consultato il 4-7-2022. Le inserzioni fra parentesi quadre e il titolo sono redazionali.
Cari fratelli e sorelle in «Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1).
In quanto cattolici, colleghiamo la nostra buona volontà nei confronti di tutti gli esseri umani con la meravigliosa esperienza che, alla luce di Dio, tutte le cose –– passate, presenti e future –– hanno uno scopo. Quando il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo diventa presente nella Messa, rendiamo «[…] continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,20). Noi ringraziamo Dio per aver creato il mondo e per averci dato tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Lo ringraziamo perché per noi Cristo si è fatto uomo e per averci inviato il suo Spirito Santo. Lo ringraziamo per la Chiesa, che è diventata nostra Madre nella fede: è il Corpo di Cristo, nel quale siamo stati incorporati attraverso il battesimo e la confessione della fede cattolica. Lo ringraziamo per le famiglie nelle quali ci ha permesso di crescere, e per i nostri amici, che ci accompagnano fedelmente nel corso della vita. E se Dio ci ha chiamati al matrimonio, lo ringraziamo per il marito o la moglie, e per i figli che amiamo, perché sono il dono che Dio ha fatto ai loro genitori.
In quanto cristiani, abbiamo della vita una consapevolezza di tipo musicale: nei nostri cuori riecheggia il canto di ringraziamento del redento. La sua melodia è l’amore e la sua armonia è la gioia in Dio. Non sposiamo un blando ottimismo nei confronti del fato, che speriamo rimanga benevolo nei nostri confronti. Nessuno sarà risparmiato dalle sofferenze di questo mondo e ognuno dovrà portare la sua croce. Invece, nel lavoro e nel tempo libero, nella felicità e nel dolore, nella vita e nella morte, il cristiano ripone tutta la sua speranza solo in Cristo, perché «noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8,28). Come l’acqua che sgorga da una fonte e che, diventando un ruscello fluente, può far fiorire un deserto, così la nostra gioia in Dio è il seme che, nel campo della nostra vita, porta frutto dando il centuplo. L’adorazione di Dio nello spirito di Cristo è questo: «[…] offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Seguendo l’esempio di Cristo, che ha dato la sua vita sull’altare della croce, la nostra vita è un sacrificio a Dio. Ma lo stesso Cristo, attraverso la sua risurrezione, ci ha anche aperto la porta della vita eterna. Questa è la nostra fede.
Oggi, però, molti cristiani sono ansiosi e preoccupati. Osservando la crisi in Occidente delle società tradizionalmente cristiane e gli scandali nella Chiesa ci si chiede: il cristianesimo è ancora adatto al nostro tempo? la roccia su cui Gesù ha costruito la sua Chiesa sta forse vacillando?
La crisi della Chiesa è causata dall’uomo ed è sopraggiunta perché ci siamo confortevolmente adeguati allo spirito di una vita senza Dio. Ciò cui siamo dinanzi non è un fallimento della grazia di Dio, ma solo il difetto di adeguate risposte da parte nostra. È per questo che nei nostri cuori ci sono tante cose non redente e desiderose di gratificazioni sostitutive!
Chi crede non ha bisogno di ideologie. Chi spera non cerca droghe contro il nichilismo del proprio cuore. Chi ama non insegue la concupiscenza di questo mondo, destinata a passare con il mondo. Chi ama Dio e il prossimo trova la felicità nel sacrificio del dono di sé. Noi saremo felici e liberi quando, nello spirito dell’amore, abbracceremo il tipo di vita cui Dio ha chiamato ciascuno di noi personalmente: nel sacramento del matrimonio, nel sacerdozio celibatario o nella vita religiosa modellata secondo i tre consigli evangelici di povertà, obbedienza e castità assunti per il regno dei cieli.
Vorrei evocare una famosa omelia natalizia di san Leone Magno [440-461]. Mentre si assisteva a grandi migrazioni di popoli e alla dissoluzione dell’ordine, mentre l’impero romano si stava disintegrando, il santo Papa Leone faceva appello alla fede personale di ogni cattolico. Con le sue parole, vorrei rivolgermi a tutti i cattolici di oggi che sono turbati dinanzi all’attuale crisi della Chiesa: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler tornare con una vita indegna all’antica bassezza. Ricorda di quale capo e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dalla potestà delle tenebre, sei stato trasportato nella luce e nel regno di Dio. Per il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito santo: non scacciare da te con azioni cattive un sì nobile ospite» (1).
Non possiamo sfuggire al veleno mortale del serpente se stringiamo amicizia con lui, ma solo se ci teniamo prudentemente a distanza e serbiamo l’antidoto a portata di mano. Il veleno che paralizza la Chiesa è l’opinione che ci si debba adattare allo Zeitgeist, allo spirito del tempo, che si debbano relativizzare i comandamenti di Dio e reinterpretare la dottrina della fede. «La Chiesa del Dio vivente [è] colonna e fondamento della verità» (1Tim 3,15), ma oggi alcuni vorrebbero ricostruirla trasformandola in una comoda religione civile. Una società post-cristiana e gli opinionisti anticristiani dei media mainstream approvano questa forma di auto-secolarizzazione. Ma ciò non significa affatto che accettino la fede in Gesù Cristo, senza contare che alcune autorità ecclesiastiche sono confuse al riguardo. Le persone che si aggirano in Vaticano cercando di strumentalizzare il Papa con i loro programmi sul cambiamento climatico e sul controllo della popolazione non si stanno avvicinando alla Chiesa; a farlo sono solo coloro che insieme a san Pietro guardano a Gesù e confessano: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).
L’antidoto contro la secolarizzazione della Chiesa è la «verità del Vangelo» (Gal 2,14) e il vivere «[…] nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).
Oggi, la frase magica del tentatore è «modernizzazione necessaria»: di conseguenza, chiunque si opponga a questa ideologia sarà combattuto come un nemico e sarà accusato di essere un tradizionalista. Permettetemi di fornire un esempio di questa logica perversa: la protezione della vita umana dal concepimento alla morte naturale viene screditata come una posizione politica «conservatrice» e «di destra»; allo stesso tempo l’uccisione di bambini innocenti non nati viene dichiarata un «diritto umano», e quindi considerata «progressista». In politica e nei media è tutta una questione di controllo sulle menti umane e sul denaro nelle tasche della gente. A questo scopo, le persone vengono condizionate ricorrendo a slogan elettorali come «conservatore» o «moderno». Ma la fede in Dio riguarda il contrasto tra vero e falso, e l’etica la distinzione tra bene e male.
Per alcuni, la Chiesa cattolica è in ritardo di duecento anni rispetto al mondo di oggi. C’è del vero in questa discutibile accusa, formulata anche da alcuni leader della Chiesa (2)? Un’accusa che gli opinionisti atei ripetono con gioia nella loro Schadenfreude (3)! I cattolici progressisti, dal canto loro, si atteggiano a studenti modello dell’Illuminismo, promettendo che si metteranno rapidamente al passo con le lezioni della critica atea alla religione.
La «necessaria modernizzazione» implica che la Chiesa dovrebbe rifiutare la rivelazione storica di Dio in Gesù Cristo? Può la Chiesa rimanere fedele alle sue fondamenta e al suo fondatore ove si trasformi in una religione dell’umanità? I pacifici –– a quanto si dice –– agnostici dei giorni nostri consentono generosamente alla gente semplice di conservare la propria religione, ma sono desiderosi di usare il potenziale di significato che la Chiesa possiede per i propri scopi: non ritengono vera la fede rivelata, ma vorrebbero usarla come materiale da costruzione per la nuova religione dell’unità mondiale. Per essere ammessa in questa meta-religione internazionale, il solo prezzo che la Chiesa dovrebbe pagare è la rinuncia alla sua pretesa di verità. Niente di grave, a quanto pare, visto che il relativismo dominante nel nostro mondo rifiuta, comunque, l’idea di poter conoscere la verità e si presenta come garante della pace fra tutte le religioni e le visioni del mondo. E infatti: un cattolicesimo senza dogmi, senza sacramenti e senza magistero infallibile è la Fata Morgana che persino alcuni leader della Chiesa sembrano desiderare ardentemente.
Ma, poiché «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Is 4,4) –– «il bambino» che i pastori di Betlemme trovarono «adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16) —, ogni tempo è immediato per Dio.
Gesù non può essere superato dal mutare dei tempi, perché l’eternità di Dio comprende tutte le epoche della storia e la biografia di ogni persona. In Gesù di Nazaret, che è un concreto essere umano, la verità universale di Dio è concretamente presente qui e ora, in un tempo e in uno spazio storico. Gesù Cristo non è la rappresentazione di una qualche verità sovratemporale: è «la via, la verità e la vita» in persona (Gv 14,56). Dio «[…] vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1Tim 2,4-5).
La Chiesa cammina con i tempi nei loro cambiamenti sociali. E la teologia, in dialogo con le visioni del mondo moderne, scientifiche e tecnologiche, spiega come fede e ragione siano compatibili. La fede è una conoscenza della verità di Dio e una luce che ci permette di comprendere noi stessi e il mondo nella sua origine e nella sua finalità più profonda. Questa conoscenza, tuttavia, la dobbiamo al Verbo di Dio che «[…] si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Con ragionamenti che riguardino esclusivamente il mondo interiore, la verità della fede rivelata non può essere né provata né smentita. La Chiesa sa che siamo perduti senza il Vangelo di Cristo. Nel suo grembo Maria ha concepito Dio stesso, che è nato da lei: Gesù Cristo, l’unico Salvatore del mondo intero. Solo lui può salvare il mondo e, francamente, anch’io non vorrei essere salvato da nessun altro se non da lui, vero Dio e vero uomo. Signore misericordioso, che la Madre delle Misericordie possa intercedere in ogni momento della nostra vita terrena, perché attraverso di lei siamo stati trovati degni di ricevere l’autore della vita, il Signore nostro Gesù Cristo, tuo Figlio, che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, un solo Dio, per tutti i secoli dei secoli (4).
Amen.
Note:
1) Leone Magno, Sermo XXI: Sermo de Nativitate Domini I, PL, 54, 190-193 (p. 193).
2) Cfr. card. Carlo Maria Martini S.J. (1927-2012), «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?», intervista a cura di Georg Sporschill S.J. e Federica Radice Fossati Confalonieri, in Corriere della Sera, 1°-9-2012.
3) Il vocabolo, talvolta espresso con termine italiano «aticofilia», indica un atteggiamento di malevolo compiacimento per le disgrazie altrui.
4) Il cardinale termina l’intervento con l’orazione di Colletta presente nella liturgia del 1° gennaio, solennità di Maria Santissima, Madre di Dio. La traduzione riportata è fedele al testo liturgico in lingua inglese «through whom we were found worthy to receive the author of life» che –– a differenza di quello italiano che recita «poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita» –– ha conservato l’originale costrutto del testo latino –– «per quam meruimus auctorem vitae suscipere» –– pure presente nel proprio dell’«Ottava di Natale» nelle Messe nella forma straordinaria del rito romano.