Di Marco Invernizzi da Tempi del 16/06/2022
Lucio Caracciolo, direttore di Limes, così ha scritto a proposito del mancato accordo fra la Russia e l’occidente (la nato), accordo che a Pratica di Mare nel 2002 sembrava cosa fatta, grazie all’intesa favorita da Silvio Berlusconi fra george Bush Junior e lo stesso Putin: «gli storici s’accapiglieranno per stabilire le responsabilità del fallimento. Se queste siano solo russe o anche nostre. Ma fallimento resta. Capitolo chiuso. Spinti dal loro ingovernabile messianismo, che noi occidentali in compagnia di qualche russo tendiamo a diagnosticare follia, Putin e la Russia hanno deciso di ricominciare il mondo. […] L’occidente al tramonto, già Primo Mondo che volle pensarsi unico, è il nemico da battere. L’oriente, guida di Secondo e Terzo Mondo, è il sol dell’avvenire. Faremmo male a sottovalutare questa dichiarazione di guerra, noi che tremiamo a pronunciarne il nome. Presa sul serio, esprime vena apocalittica. L’Ucraina è modello. Non possiamo averla? Bene. Non l’avrà nemmeno la Nato. Meglio terra bruciata che terra altrui».
Rossi e bianchi, comunisti e zaristi.
L’editoriale della rivista italiana di geopolitica ricostruisce la figura di Putin come di un uomo ossessionato dal sogno del “mondo russo”, cioè quello di un paese chiamato a svolgere nel mondo una missione divina di lotta contro l’occidente corrotto. In questo disegno, Putin vuole recuperare tutto e il contrario di tutto, i “rossi” e i “bianchi” della guerra civile, gli stalinisti e gli anticomunisti. Il progetto è quello di dare vita a una «sorta di salafismo russo-ortodosso: marcia a ritroso nel tempo e nello spazio, per abbeverarsi alle fonti che rivitalizzeranno l’impero in missione. La giuntura spaziotemporale da ricomporre e integrare nella comunità di tutte le Russie è oggi l’Ucraina, epicentro della sfortunata resistenza bianca contro i rossi nella bolgia fratricida, abbozzata come Stato durante la guerra civile, battezzata infine da Lenin repubblica socialista con diritto di recesso dalla famiglia sovietica». Qualcuno potrebbe dire che quella con cui Putin vorrebbe caratterizzare la “sua” Russia è una prospettiva non nazionalista, bensì imperiale. Non è così, perché la concezione politica dell’impero prevede l’accoglienza di diversi popoli e culture, anche di religioni diverse, ma non delle ideologie, proprio quelle che hanno distrutto gli imperi dopo la Prima guerra mondiale. Il progetto di Putin sembra ispirato a un fondamentalismo nazional-ortodosso, capace di riunificare in sé tutta la storia russa, non importa di quale segno ideologico: lo zarismo e il comunismo stalinista, l’impero degli zar e quello sovietico, i “rossi” e i “bianchi”, i cristiani ortodossi e gli atei… Dentro tutti, purché tutti seguano il progetto egemonico della Russia, la Terza Roma in conflitto sia con la Roma dei papi che con Costantinopoli, la seconda Roma, sconfitta dai turchi nel 1453 e mai più ripresasi. E così non si può nemmeno escludere una prossima riabilitazione di quel patto Molotov-Ribbentrop o Hitler-Stalin che durerà quasi due anni, dal 1939 al 1941, unendo i due Stati totalitari in un reciproco progetto espansionistico.
L’ora delle domande
Che dire? Il progetto ha un suo fascino, capace di suscitare interesse soprattutto in chi non può amare questo occidente veramente corrotto (peraltro non più della Russia attuale) ma soprattutto privo di qualsiasi ideale, incapace di suscitare il minimo entusiasmo collettivo, concentrato solo su business e potere. Questo è il problema degli occidentali: trovare una ragione per convincere della bontà del proprio esistere. È evidente che chi ha ancora dentro di sé un minimo di ideali sente la mancanza di un progetto, ma questo non è un buon motivo per entusiasmarsi dei pericolosi progetti altrui. Quando vediamo sventolare a Mosca bandiere zariste accanto a quelle con la falce e il martello, gigantografie dell’ultimo zar e di Stalin, quando vediamo lo stesso Putin inaugurare l’enorme statua di Vladimiro il grande (e santo, 970-1015) e opporsi allo spostamento del mausoleo di Lenin dalla Piazza Rossa, allora è forse il momento di porsi una domanda su che cosa sia questa Federazione Russa che oltre trent’anni dopo la fine dell’unione Sovietica invade l’Ucraina perché la considera parte di sé, una semplice Piccola Russia.