Di Roberto Vivaldelli da il Giornale del 12/07/2019. Foto redazionale
La Fondazione Edison, in occasione del suo ventennale (1999-2019), ha elaborato un dossier molto interessante, dedicato ai “10 falsi miti sull’economia italiana”: prontuario statistico in grado di offrire, anche ai non addetti ai lavori, una serie di dati e di elementi oggettivi per sfatare alcuni luoghi comuni generalmente attribuiti al sistema socioeconomico italiano. Quante volte sentiamo dire che l’Italia è una delle economie più deboli d’Europa, che non è un Paese competitivo o che le imprese italiane sono troppo piccole per competere con successo nell’era della globalizzazione; o che, ancora, il nostro Paese ha un debito pubblico insostenibile ed è una delle nazioni più indebitate del mondo? Falsi miti molto in voga che vengono analizzati dal dossier elaborato dalla Fondazione Edison su dati Eurostat. Miti e pregiudizi che spesso circolano fra classi dirigenti e intellettuali cosmopolite ed esterofile, sempre pronte a sottovalutare l’Italia e la sua economia che, pur fra mille difficoltà e una disoccupazione allarmante, continua ad avere enormi potenzialità e si difende benissimo anche nei confronti del resto d’Europa.
Un cocktail, sottolinea Italia Oggi, che porta all’ insicurezza e a piangerci addosso. Se al contrario fossimo consapevoli, sostengono Fortis & Co, della forza, qualità, eccellenze del nostro Paese potremmo guadagnare in fiducia e quindi in sviluppo e in benessere. Secondo Marco Fortis, vice-presidente della Fondazione, “affermare che la nostra crescita è limitata perché l’industria non cresce è un errore. L’ industria sopravvissuta alla crisi del 2008 ne è uscita rafforzata. Tra quell’anno e il 2013 abbiamo perso pezzi, ma si trattava di imprese marginali. Certo, parallelamente c’è stata la crisi dell’edilizia che ha coinvolto anche settori contigui. Ma le aziende industriali rimanenti ne sono uscite a tassi galoppanti: nel triennio 2015-2017 la crescita è stata del 10%. Poi sono cresciuti anche il turismo e il commercio”. L’Italia è una delle economie più deboli d’Europa? Falso Come illustra il dossier, l’Italia non è affatto una delle economie “più deboli” dell’Ue e, anzi, vanta la seconda industria manifatturiera dell’Unione europea, il primo settore agricolo in termini di valore aggiunto e detiene il secondo posto per numero di pernottamenti di turisti stranieri. Secondo i dati Eurostat, infatti, il valore aggiunto dell’industria manifatturiera (anno 2017) vede la Germania al primo posto tra i Paesi Ue con 690,2 miliardi di euro e seconda l’Italia con 257,4 miliardi di euro, prima della Francia ferma a 232,3 miliardi di euro e sopra Regno Unito e Spagna. Per quanto concerne il valore aggiunto dell’agricoltura (anno 2017), l’Italia è prima con 31,9 miliardi di euro, sopra Francia (29,2) e Spagna (28,8). Nell’ambito del turismo, il nostro Paese è secondo in Europa per numero di pernottamenti di turisti stranieri con 210,7 milioni di notti trascorse in tutte le strutture ricettive nel solo 2017. Secondo un altro (falso mito), l’Italia sarebbe nella lista dei Paesi dalla crescita più bassa. “Anche se era vero in passato – si legge nel dossier – negli ultimi anni il Pil pro capite italiano è cresciuto ad un tasso maggiore di quello dei paesi del G7. Il consumo pro capite delle famiglie è aumentato più rapidamente in Italia rispetto a molti altri Paesi dell’Ue, tra cui Germania, Francia, Paesi Bassi, Svezia, Austria, Belgio e Finlandia”. Tra il 2015 e il 2017, infatti, il tasso di crescita reale del prodotto interno lordo pro capite è stato dell’1,4%, come quello della Germania e superiore alla Francia (1,1%). Il falso mito dell’Italia non competitiva Secondo un’altra fake news molto diffusa, il nostro Paese non è competitivo. Assolutamente falso, come spiega la Fondazione Edison: “L’Italia ha il quinto maggior surplus commerciale al mondo per i prodotti manifatturieri. Ed è il leader o co-leader a livello globale per centinaia di manufatti” sottolinea. I prodotti nei quali l’Italia occupa le prime 5 posizioni a livello mondiale per saldo commerciale con l’estero sono: Automazione meccanica-mezzi di trasporto; Abbigliamento e moda; Alimentari e vini; Arredamento e casa; altri settori, che riguardano perlopiù l’industria farmaceutica e chimica. Altro pregiudizio largamente diffuso sui media riguarda la ricerca e lo sviluppo. Secondo molti, infatti, L’Italia non investe abbastanza in ricerca e sviluppo. Non è così: nei suoi settori di specializzazione, l’Italia è un Paese leader per le spese in ricerca e sviluppo. In ambito Ue è il primo Paese per entità di spesa delle imprese in ricerca e sviluppo nel settore tessile, abbigliamento, calzature e mobili; e vanta la seconda maggiore spesa in ricerca e sviluppo nel settore delle macchine e apparecchi. Inoltre, l’Italia è seconda per maggior numero di disegni comunitari depositati presso l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) nella Ue”. Nel 2016, infatti, le imprese italiane hanno speso ben 1.635 milioni di euro in ricerca e sviluppo, facendo meglio di Francia, Regno Unito e Spagna e peggio solo della Germania (le cui imprese hanno investito, quell’anno, ben 5.653 milioni di euro).
L’Italia nella globalizzazione
Davvero l’Italia non può competere con il mercato globalizzato? Le imprese italiane sono troppo piccole? Pare proprio di no. “Le piccole e medie imprese manifatturiere italiane – osserva la Fondazione Edison – esportano più di quelle di tutti gli altri paesi dell’Ocse, con esportazioni per oltre 170 miliardi di dollari“. Secondo un altro luogo comune, inoltre, le specializzazioni dell’Italia nel commercio mondiale sono troppo simili a quelle dei paesi emergenti, con bassi costi del lavoro. “Forse questo era vero in passato – sottolinea la Fondazione Edison – Ma il Made in Italy è ora completamente diverso: è al top del lusso e della qualità dei prodotti tradizionali come quelli dei settori moda, arredamento, cibo e vino. Ed è al vertice dell’innovazione e della tecnologia nella meccanica, nei mezzi di trasporto e nei prodotti farmaceutici”.
Debito pubblico e disoccupazione
Probabilmente il totem ideologico più radicato riguarda il debito pubblico. Secondo molti giornalisti, blogger, economisti, l’Italia è troppo indebitata, ma anche questo è falso, come chiarisce il dossier: “Considerando in aggregato il debito privato e il debito pubblico, l’Italia è meno indebitata di molti altri paesi avanzati. Il debito delle famiglie è uno dei più bassi a livello globale. Il debito pubblico è molto alto in termini di percentuale del Pil, ma risulta molto più sostenibile se raffrontato con l’elevato avanzo primario pubblico storico precedentemente menzionato nonché con la ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane, che è il doppio del Pil. Inoltre, solo 1/3 del debito pubblico italiano è finanziato da investitori esteri; il settore privato domestico è finanziariamente forte e la posizione patrimoniale netta sull’estero dell’Italia è solo leggermente negativa (-6% del PIL nel 2017) e migliore di quella di molti altri importanti paesi dell’Ocse”. L’ammontare del debito del settore privato consolidato, nel 2017, era del 110,5% sul Pil: quello della Germania si aggira intorno al 100% mentre quello della Francia è del 148%, molto superiore al nostro. “Il debito del settore privato – spiega la Fondazione Edison – è lo stock di passività (alla fine dell’anno) detenute dai settori Società non finanziarie e Famiglie e istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie. Gli strumenti presi in considerazione dall’Eurostat per calcolare il debito del settore privato sono titoli di debito e prestiti”. Inoltre, il debito pubblico detenuto da non residenti (anno 2017) si aggira sui 730,5 miliardi di euro; quello della Francia è 1.106,3 miliardi di euro, superiore a quello della Germania che è pari a 1.036,2 miliardi di euro. Certo, non è tutto oro quel che luccica. Anzi. L’Italia è terza per il tasso di disoccupazione nella Ue stando a Eurostat. Tra gli stati membri il tasso più alto è riferito alla Grecia (18,0% registrato a dicembre 2018, seguita da Spagna (13,9%) e Italia (10,7%). L’Italia registra inoltre a febbraio il secondo tasso più alto di disoccupazione giovanile fra gli Stati membri con un 32,8%, secondo solo a Grecia (39,5% a dicembre 2018). Bene l’export, dunque, come sottolineato anche dal dossier della Fondazione Edison, ma il nostro Paese ha estremo bisogno di rilanciare la domanda interna e l’occupazione, da troppi anni stabile su livelli allarmanti e disastrosi.