di Silvia Scaranari
All’udienza generale di mercoledì 11 ottobre, il Santo Padre ha offerto una riflessione sulla speranza intesa come «attesa vigilante».
Il cristiano non si dispera, non resta deluso, il cristiano è colui che resta sempre pronto perché lo ha detto Gesù: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12, 35-36). Cristo vuole che siamo uomini e donne che vivono nel mondo portando ogni giorno il proprio frutto perché, dice il Pontefice, «questo mondo esige la nostra responsabilità, e noi ce la assumiamo tutta e con amore. Gesù vuole che la nostra esistenza sia laboriosa, che non abbassiamo mai la guardia, per accogliere con gratitudine e stupore ogni nuovo giorno donatoci da Dio».
Siamo servi inutili che però restano all’erta, perché sanno con granitica certezza che il loro Signore ha vinto la battaglia e sta tornando. Il suo ritorno è sicuro, e sarà un momento di gioia, di grande ricompensa per coloro che saranno rimasti fedeli al compito loro affidato. Aggiunge il Santo Padre: «Ogni mattina è una pagina bianca che il cristiano comincia a scrivere con le opere di bene».
Questo è il nostro compito quotidiano, il nostro saper essere fedeli perché «bisogna essere pronti per la salvezza che arriva, pronti all’incontro. Avete pensato, voi, come sarà quell’incontro con Gesù, quando Lui verrà? Ma, sarà un abbraccio, una gioia enorme, una grande gioia! Dobbiamo vivere in attesa di questo incontro!».
Nessuno che sia veramente cristiano può vivere nella noia e, anche se qualche volta la ripetitività dei ruoli, la monotonia dei lavori sembra logorare, si deve ricordare che la pazienza è la virtù dei forti e che anche nei piccoli gesti quotidiani ci può essere una testimonianza grande di amore. «Nulla avviene invano, e nessuna situazione in cui un cristiano si trova immerso è completamente refrattaria all’amore. Nessuna notte è così lunga da far dimenticare la gioia dell’aurora. E quanto più oscura è la notte, tanto più vicina è l’aurora».
Pazienza, fiducia, speranza, laboriosa attesa: ne sono grandi testimoni i cristiani delle Chiese orientali, soprattutto là dove oggi la testimonianza è a rischio delle vita.
Il Papa lo ha ricordato giovedì 12 ottobre, nel messaggio per il centesimo anniversario della fondazione del Pontificio Istituto Orientale e della Congregazione per le Chiese Orientali. Questi fratelli nella fede sono oggi in un momento di particolare sofferenza. «Con il crollo dei regimi totalitari e delle varie dittature, che in alcuni paesi ha purtroppo creato condizioni favorevoli al dilagare del terrorismo internazionale, i cristiani delle Chiese orientali stanno sperimentando il dramma delle persecuzioni e una diaspora sempre più preoccupante. Su queste situazioni nessuno può chiudere gli occhi»: così Papa Francesco, che unitamente esorta il Pontificio Istituto a favorire gli studi di quanti giungono a Roma desiderosi di attingere alle sorgenti della Cristianità senza, tuttavia, far perdere loro il prezioso bagaglio culturale delle origini.
Il tema è stato toccato anche durate l’omelia della Santa Messa celebrata sempre giovedì, quando il Papa ha sottolineato che «[…] vediamo tanti nostri fratelli e sorelle cristiani delle Chiese orientali sperimentare persecuzioni drammatiche e una diaspora sempre più inquietante. Questo fa sorgere tante domande, tanti “perché”, che assomigliano a quelli della prima Lettura odierna, tratta dal libro di Malachia. [… ]. “È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti o dall’aver camminato in lutto davanti al Signore? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti” (vv. 13-15)»
Tante volte mi sono posta questo “perché?” Perché il male trionfa, perché anche chi pensavi di avere a fianco e da cui aspettavi protezione, ti usa, ti offende, ti calpesta senza motivo e pare che il Signore non intervenga, sia insensibile al dolore lacerante patito da una parte e inferto dall’altra.
Ci sono momenti nella vita di ognuno di rabbia, d’indignazione, ma sempre nel libro del profeta Malachia si legge: «Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome» (v. 16). Dunque, Dio non dimentica i suoi figli, la sua memoria è per i giusti, per quelli che soffrono, che sono oppressi e che si chiedono “perché?”, eppure non cessano di confidare nel Signore. Per questo il cristiano è sempre pronto alla chiamata del Signore, attende con pazienza fiduciosa che il suo Signore giunga perché sa con certezza che quel giorno sarà pieno di luce, pieno di amore, sarà un giorno in cui ogni tentazione di pensare che questa vita è sbagliata sarà annullata.
Per questo vale la pena spendere la propria vita con coraggio. Il cristiano non è un pavido, un timoroso, un pigro, al contrario è una persona che rischia, che osa rischiare per portare la verità di Cristo anche a costo della sua vita materiale.
Conclude il Santo Padre la sua udienza del mercoledì invitando a ripetere spesso una preghiera antica: Marana tha, «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20) sicuri che la dolce risposta di Gesù sarà «Ecco, io vengo presto» (Ap 22,7)!»