Questo articolo è comparso in tre parti, con il medesimo titolo seguito da numerazione progressiva, sul sito Internet del Centro Studi Rosario Livatino di Roma, rispettivamente il 22-4-2024, il 24-4-2024 e il 26-4-2024, agli indirizzi <https://www.centrostudilivatino.it/perche-negli-stati-uniti-laborto-lo-decidono-gli-stati-1-3>, <https://www.centrostudilivatino.it/perche-negli-stati-uniti-laborto-lo-decidono-gli-stati-2-3> e <https://www.centrostudilivatino.it/perche-negli-stati-uniti-laborto-lo-decidono-gli-stati-3-3> (gli indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 9 luglio 2024). Le traduzioni dei testi citati, salva diversa indicazione, sono dell’autore.
Marco Respinti, Cristianità n. 427 (2024)
Un’affermazione di Donald Trump — di suo ovvia e scontata — si trasforma in una fake news, ma offre l’occasione per comprendere come l’aborto sia penetrato negli Stati Uniti, come si sia iniziato a debellarlo e quale sia il profilo giuridico del Paese più importante del mondo.
Esiste un modo pessimo di svolgere il mestiere del giornalista: creare le notizie quando le notizie non ci sono per somministrare comunque al pubblico la dose quotidiana di «secondo me», rigorosamente sterilizzata dai criteri per intendere correttamente ciò che accade. Che l’ex presidente Donald John Trump, in corsa per la rielezione alla Casa Bianca come candidato del Partito Repubblicano, sia contrario all’aborto procurato benché favorevole a eccezioni in caso di stupro, di incesto o di pericolo di vita della madre — come ha detto l’8 aprile scorso in un filmato pubblicato sul suo Truth Social (1) — non è affatto una notizia, come invece hanno strombazzato i media. Non lo è nemmeno — come Trump ha sottolineato, quasi per giustificarsi — il fatto che favorevole a quelle eccezioni fosse anche il presidente Ronald Wilson Reagan (1911-2004). Non è una notizia neppure che Trump sia contrario a una legge federale che vieti l’aborto su tutto il territorio nazionale e, di conseguenza, neanche la sua idea che il bando o la «legalizzazione» dell’aborto debbano essere decisi autonomamente da ogni singolo Stato dell’Unione nordamericana. Nessuna di queste è una notizia, perché nessuna è una novità. Sono, infatti, le posizioni che Trump sostiene da sempre e sono le posizioni che da sempre sostiene anche la maggioranza dei Repubblicani pro life.
La sentenza «Dobbs v. Jackson» annulla la sentenza «Roe v. Wade»
L’unica notizia vera di questa vicenda è, invece, ciò che i media non dicono, privando il pubblico di elementi decisivi per comprendere. I media anzitutto non dicono che Reagan, benché ammettesse — discutibilmente — eccezioni, non è stato soltanto lucidamente contrario all’aborto, ma ha pure preso carta e penna per fare ciò che nessun capo di Stato o di governo in carica, statunitense o meno, abbia mai fatto: scrivere e firmare — o assumere pubblicamente ciò che i suoi speech writer elaborarono — un saggio di condanna netta dell’aborto, inviato poi al prestigioso periodico The Human Life Review, che pubblicò il testo nel fascicolo della primavera 1983 (2). Un saggio, quello di Reagan, dove l’aborto viene più volte collegato concettualmente all’infanticidio, concludendo che «se alcune persone continueranno ad avere il potere di decidere chi debba vivere e chi vada invece abbandonato all’aborto o all’infanticidio, allora smetteremo di essere un Paese libero».
Certo, la presidenza Trump ha abituato bene gli osservatori, dato che il suo mandato può sfoggiare la partecipazione — per la prima volta nella storia — di un vicepresidente, Mike Pence, alla Marcia nazionale per la Vita nel 2017 (3), poi la partecipazione — per la prima volta nella storia — di un presidente, Trump stesso, alla Marcia nazionale per la Vita nel 2018, (4) quindi la nomina alla Corte Suprema dei giudici Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett — i cui mandati sono iniziati rispettivamente nel 2017, nel 2018 e nel 2020 —, che sono stati determinanti nella sentenza storica giunta a conclusione del caso «Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Department of Health, et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al.» (5). Comunemente nota come «Dobbs v. Jackson», il 24 giugno 2022 quella sentenza ha infatti respinto e annullato la sentenza con cui, il 22 gennaio 1973, il caso comunemente noto come «Roe v. Wade» (6), ovvero «Jane Roe, et al. v. Henry Wade, District Attorney of Dallas County», concluse che negli Stati Uniti d’America l’aborto è non-illecito a livello federale. Ma dire, come dice Trump — e come dice la maggioranza dei Repubblicani pro life —, che negli Stati Uniti l’aborto è di competenza dei singoli Stati dell’Unione federale nordamericana è proprio quanto stabilisce la Corte Suprema federale nella sentenza «Dobbs v. Jackson», cioè la maggiore vittoria antiabortistadella storia. E per ripetere una verità che è semplicemente agli atti della storia e della cronaca non è necessario essere fan sfegatati di Trump.
L’aborto non-illecito
Negli Stati Uniti, infatti, una legge che stabilisca essere l’aborto un diritto federale non è mai esistita. La sentenza della Corte Suprema del 1973 — non una legge del Congresso federale — stabilì che l’aborto fosse appunto non-illecito e ciò ebbe l’effetto di invalidare le legislazioni che potevano ostacolare od ostacolavano l’aborto nei singoli Stati, dunque in tutta l’Unione, essendo il presupposto della sentenza la «sanzione» di una «violazione» di un «diritto» costituzionale.
Oggetto del contendere nel caso «Roe v. Wade» erano gli articoli 1191-1194 e 1196 del Codice penale dello Stato del Texas (7): i primi puniscono l’aborto come reato, l’ultimo consente invece l’aborto solo in caso di pericolo di vita della madre in attesa. Noti complessivamente come «normativa sull’aborto», gli articoli erano stati introdotti nel 1961 sulla base di una legislazione del medesimo tenore in vigore fin dal 1854 e penalizzavano l’interruzione volontaria della gravidanza. La posta in gioco del caso «Roe v. Wade» venne messa in evidenza dal giudice Harry Andrew Blackmun (1908-1999), allora presidente della Corte Suprema e autore del parere di maggioranza al punto I della stessa: «Normative analoghe sono in vigore nella maggioranza degli Stati» dell’Unione, quindi un giudizio di incostituzionalità sulla normativa del Texas produrrà l’incostituzionalità di tutte le normative che limitano o vietano l’aborto.
Il fulcro concettuale della sentenza fu il «diritto» alla privacy personale, che il presidente Blackmun ritenne essere protetto dalla Sezione 1 del XIV Emendamento (8)alla Costituzione federale (9): «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e sottoposte alla giurisdizione di essi, sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato varerà o applicherà una legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né alcuno Stato potrà privare alcuna persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo equo; né discriminare davanti alla legge alcuna persona posta sotto la propria giurisdizione».
La cosiddetta «clausola sul processo equo» di quella Sezione 1 diventò il cuore della difesa giuridica del «diritto» alla privacy e dunque la pezza giustificativa tout court della sentenza per effetto di quanto il presidente Blackmun scrisse al punto V del parere di maggioranza nella sentenza «Roe v. Wade». Egli sostenne, infatti, che la normativa antiabortista del Texas «[…] invade inappropriatamente il diritto, di cui si afferma essere titolata una donna incinta, di scegliere di mettere fine alla gravidanza», «diritto», questo, presente «nel concetto di «libertà» personale contenuto appunto nella sezione sul «processo equo» — nell’inglese dell’originale «due process of law» — del XIV Emendamento o nella privacy personale, sponsale, familiare e sessuale, la cui protezione si afferma essere garantita dal Bill of Rights o dalle sue «penombre».
Costituzione federale ed emendamenti
Il Bill of Rights (10) è il nome che assumono i dieci emendamenti alla Costituzione federale statunitense, varati nel 1791. Ispirato al diritto inglese, tanto da portare lo stesso nome dell’«Elenco dei diritti» approvato dal parlamento di Londra nel 1689 (11), quel documento è la sottolineatura dei diritti di cui godono gli Stati dell’Unione nordamericana nei confronti del governo centrale (federale) (12) ad argine di qualsiasi possibile deriva centralistica. Esplicitano la natura federale degli Stati Uniti, ovvero di un Paese di Stati, e sono all’origine della dottrina degli «States’ Rights», ovvero le libertà costituzionali di cui godono i singoli Stati come soggetti contraenti il patto federativo. La difesa della dottrina degli «States’ Rights» contro il centralismo di marca «neogiacobina» è, del resto, la ragione della Guerra di Secessione nordamericana (1861-1865): la questione della schiavitù — esecranda in sé — ne è solo una conseguenza, tanto che le due non coincidono, ovvero l’una non implica necessariamente l’altra, come diversi fra protagonisti dell’epoca e studiosi mostrano e dimostrano.
Il XIV Emendamento è il quarto di tutti gli emendamenti approvati, in epoche successive e diverse, oltre il Bill of Rights; in tutto oggi gli emendamenti alla Costituzione federale sono 27 (13), l’ultimo approvato nel 1992. Venne ratificato il 9 luglio 1868, dopo la Guerra di Secessione, per garantire pieni diritti agli ex schiavi mediante la parità di protezione di tutti i cittadini davanti alla legge di ciascuno degli Stati dell’Unione. È il secondo degli emendamenti — gli altri sono il XIII (14) e il XV (15)Emendamento, ratificati rispettivamente il 6 dicembre 1865 e il 3 febbraio 1870 — varati durante la cosiddetta «Era della Ricostruzione» (1865-1877), appunto per ricostruire gli Stati Uniti dopo le devastazioni della guerra, ma che in molti casi ha costituito un semplice prolungamento politico, giuridico e culturale di essa da parte dei vincitori a spese dei vinti. In particolare, sul piano giuridico realizzò parte importante di quel centralismo che la dottrina degli «States’ Rights» combatteva (16).
Proprio il XIV Emendamento, utilizzato dal presidente Blackmun per dichiarare non-illecito l’aborto nella sentenza «Roe v. Wade», è considerato responsabile di parte sostanziale del nuovo assetto giuridico statunitense. Interprete di una vasta letteratura critica in materia, lo storico statunitense delle idee Russell Amos Kirk (1918-1994), in un importante studio pubblicato in edizione originale nel 1990, quindi in versione ampliata nel 1997 (17), facendo proprio il giudizio del pensatore statunitense Orestes Augustus Brownson (1803-1876) — «riscoperto» da Kirk stesso negli anni 1950 (18) — afferma che il XIV e il XV Emendamento furono «devastanti per le finalità della vecchia Costituzione. Quegli emendamenti erano stati incorporati incostituzionalmente nella Costituzione e dietro di essi incombeva il dispotismo democratico» (19) e così (parole di Brownson) «l’Unione ha cessato di essere una unione di Stati» e «la repubblica federale» è diventata «una repubblica una, ovvero una democrazia centralizzata “una e indivisibile”» appunto «alla giacobina» (20).
Il punto nodale è proprio la clausola sul processo equo nel XIV Emendamento di cui si servì il presidente Blackmun nella sentenza «Roe v. Wade». Infatti, spiega Kirk, fu quello lo strumento che, lentamente — Kirk avvisa che non fu immediatamente così —, permise ai tribunali federali di ampliare la giurisdizione e di aumentare il potere del governo federale contro le prerogative degli Stati, danneggiando quell’equilibrio fra i poteri — in inglese «check and balance» — che la Costituzione federale e il Bill of Rights garantiscono, giacché «l’obiettivo principale del Quattordicesimo Emendamento era […] quello di accentrare il potere politico a Washington». Dunque, «con il Quattordicesimo Emendamento i poteri dei vari Stati cominciarono ad affievolirsi» (21).
Il diavolo si nasconde nelle «penombre»
Al punto VIII del parere di maggioranza nella sentenza «Roe v. Wade» il presidente Blackmun affermò però nettamente: «La Costituzione non menziona in maniera esplicita alcun diritto alla privacy». Dove risiede allora quel «diritto», che allo stesso presidente Blackmun è servito per dichiarare non-illecito l’aborto a livello federale e quindi ha causato, lungo quasi mezzo secolo, più di 63 milioni di vittime fino al 2021, secondo i calcoli di National Right to Life (22), a cui vanno aggiunte le innumerabili vittime dell’aborto cosiddetto chimico? Blackmun affermò che «alcuni tribunali o singoli giudici» avrebbero «trovato se non altro le radici di quel diritto» e che esso risiederebbe «nelle penombre» della Costituzione, e che tale «diritto» «[…] si estenda un po’ ad attività che hanno relazione con il matrimonio», con «la procreazione», con «la contraccezione», con «le relazioni familiari» e «con l’allevamento e l’educazione della prole».
Secondo Blackmun, «questo diritto alla privacy» — che alcuni, come Blackmun stesso fece, riscontrano «nel concetto di libertà personale contenuto nel XIV Emendamento», o altrove nella Costituzione come, scrive sempre Blackmun, altri fanno — «[…] è ampio abbastanza da comprendere la decisione che una donna può prendere di porre termine a una gravidanza o no». Aggiungendo invece che «il danno che lo Stato imporrebbe a una donna incinta negandole questa scelta è del tutto evidente».
Il presidente Blackmun si premurò peraltro di sottolineare che «non è possibile considerare il diritto alla privacy […] come assoluto», motivo per cui la sentenza «Roe v. Wade» contempla alcune limitazioni al «diritto» di aborto — per esempio la sua illiceità dopo una certa fase della gravidanza —, ma questo perché, se il «diritto alla privacy personale include» sicuramente «la decisione di abortire», «[…] questo diritto non è incondizionato e accanto a esso va tenuto conto degli interessi importanti che lo Stato può avere nel limitarlo». È un’arma a doppio taglio.
Certamente questa disposizione mette la vita delle persone nelle mani di un governo invece di riconoscerne l’intangibilità a priori e, di fatto, ha aperto alle più svariate interpretazioni filo-abortiste tendenti a giustificare sempre e comunque l’aborto, ma pure introduce — forse inavvertitamente — l’idea che uno Stato possa avere un interesse importante nel limitare l’aborto.
Come che sia, Blackmun non ebbe dubbi e concluse che la normativa anti-abortistica del Texas fosse incostituzionale e dovesse pertanto decadere, come tutte le altre normative simili vigenti in altri Stati.
Con la sentenza «Roe v. Wade», cioè, la Corte Suprema statunitense ha abdicato al ruolo di vigilanza sulle leggi e sulla Costituzione, facendosi interprete delle presunte «penombre» della seconda, ovvero trovandovi ciò che non vi è scritto, sancendo ciò che non sancisce, imponendo ciò che non impone. In una parola, abusando del proprio potere e scalzando il legislatore. Ancorché la sentenza «Roe v. Wade» ne sia uno dei casi più eclatanti, questa rivoluzione giuridica precede la sentenza «Roe v. Wade» stessa. Lo documenta, anche seguendone l’itinerario cronologico, una delle madrine storiche del movimento pro life e pro family statunitense, Phyllis Stewart Schlafly (1924-2016), in The Supremacists: The Tyranny Of Judges And How To Stop It, del 2004 (23).
La rivoluzione giuridica
Ora, lo specifico della sentenza «Dobbs v. Jackson» è proprio quello di annullare la sentenza «Roe v. Wade», in quanto atto indebito della Corte Suprema nella procedura e nel merito, frutto di detta rivoluzione giuridica. Non costituisce dunque un altro capitolo di quella rivoluzione, frutto di un altro atto indebito nella procedura e nel merito, che spingerebbe nuovamente la Corte Suprema oltre il proprio mandato, questa volta «a destra» invece che «a sinistra». Si tratta invece di un atto restauratorio, nel merito e nella procedura, con cui la Corte Suprema corregge sé stessa: il contrario della rivoluzione a suo tempo consumatasi con la sentenza «Roe v. Wade», che riporta ordine e regolarità dopo un’alterazione sovversiva. La sua argomentazione è, infatti, la più adeguata all’impianto giuridico-istituzionale statunitense.
Redigendo il parere di maggioranza nella sentenza «Dobbs v. Jackson», il giudice della Corte Suprema Samuel Anthony Alito Jr. — che peraltro ravvisa la presenza di un’affermazione «semplicemente sbagliata» nel parere di maggioranza redatto dal presidente Blackmun nella sentenza «Roe v. Wade», ovvero il dire che «probabilmente […] nel Common Law l’aborto non è mai stato reato» — ricorda che prima del 1973 «ancora 30 Stati proibivano l’aborto a ogni stadio» della gravidanza. E aggiunge: «Negli anni precedenti la decisione circa un terzo degli Stati aveva liberalizzato le proprie leggi, ma la sentenza “Roe v. Wade” mise improvvisamente fine al processo politico. Impose il medesimo regime restrittivo a tutto il Paese e di fatto cancellò le leggi sull’aborto di ogni singolo Stato». Per questo, «noi», ovvero la maggioranza dei giudici della Corte Suprema che l’hanno votata, cioè, oltre allo stesso Alito, Clarence Thomas, Neil McGill Gorsuch, Brett Michael Kavanaugh e Amy Vivian Coney Barrett, «[…] riteniamo che la sentenza “Roe v. Wade” debba essere respinta». Infatti, spiega Alito, «la Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto di quel tipo — il «diritto» alla privacy che giustificò l’aborto — viene implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale, nemmeno quella su cui soprattutto si basano oggi i sostenitori» della sentenza «Roe v. Wade», vale a dire «la clausola sul processo equo contenuta nel XIV Emendamento» alla Costituzione federale. «Si è preteso che quella disposizione garantisca alcuni diritti che non sono menzionati nella Costituzione, ma nessuno di quei diritti deve essere considerato come “radicato profondamente nella storia e nella tradizione di questo Paese” e “implicito nel concetto di libertà ordinata”», ragiona Alito citando la sentenza nel caso «Washington, et al., Petitioners v. Harold Glucksberg, et al.» (24), comunemente noto come «Washington v. Glucksberg», con cui nel 1997 la Corte Suprema concluse all’unanimità che negli Stati Uniti il «diritto» al cosiddetto «suicidio assistito» non è protetto dalla Sezione 1 del XIV Emendamento, cioè dalla clausola sul processo equo.
La battaglia culturale prima della politica
«Il diritto di aborto non rientra in questa categoria», conclude Alito, la categoria, cioè, dei diritti protetti dal XIV Emendamento. Anzi, «fino alla seconda parte del secolo XX, un diritto simile era del tutto sconosciuto nella legge statunitense. Di fatto, quando il XIV Emendamento fu varato, in tre quarti degli Stati l’aborto era reato a tutti gli stadi della gravidanza. Il diritto di aborto è anche profondamente diverso da qualsiasi altro diritto che questa Corte abbia concluso rientrare nella protezione della “libertà” assicurata dal XIV Emendamento».
Mentre la sentenza «Roe v. Wade» sostiene «[…] che il diritto all’aborto sia simile a diritti già riconosciuti legittimi in sentenze precedenti e riguardanti materie come le relazioni sessuali intime, la contraccezione e il matrimonio», «l’aborto è fondamentalmente diverso […] perché distrugge ciò che quella sentenza chiama “vita fetale” e invece questa legge» — cioè il «Gestional Age Act» varato nel 2019 nel Mississippi (25) per impedire l’aborto oltre la quindicesima settimana di vita del bambino nel grembo materno, cuore del caso «Dobbs v. Jackson» — definisce «essere umano non ancora nato».
Quindi, conclude Alito, «la sentenza “Roe v. Wade” è stata vergognosamente sbagliata sin dall’inizio. La sua logica è eccezionalmente debole e la decisione ha avuto conseguenze devastanti. […] È giunto il momento di prestare attenzione alla Costituzione e di riportare l’argomento aborto ai rappresentanti eletti dal popolo. “Della liceità dell’aborto, e delle sue limitazioni, si deve decidere come delle questioni più importanti della nostra democrazia: lo debbono fare i cittadini, cercando di persuadersi l’un l’altro e in base a ciò votare”». La citazione è tratta dal parere redatto dal giudice della Corte Suprema Antonin G. Scalia (1936-2016), che solo parzialmente concorda con la sentenza che nel 1992 concluse il caso «Planned Parenthood of Southeastern Pennsylvania, et al. v. Robert P. Casey, et al.» (26), comunemente noto come «Planned Parenthood v. Casey». Quella sentenza confermò sì il «diritto» costituzionale all’aborto, ma ne limitò l’esercizio fino al momento in cui il bambino è incapace di vivere fuori dal grembo materno, ovvero di fatto non oltre il periodo compreso fra la ventitreesima e la ventiquattresima settimana dal concepimento.
Né le importanti parole di Scalia in quel frangente debbono essere scambiate per relativismo o per un altro esempio del «dispotismo democratico» denunciato da Kirk. Stanno infatti a un livello altro e più alto del «dibattito» a cui lo scadimento della politica ha abituato tutti: intendono dire che, quando anche i «princìpi non negoziabili» (27) diventano oggetto di dibattito, e di voto, va garantita come altrettanto non negoziabile, e indicata come unica via da percorrere, la libertà dei cittadini di convincere il prossimo della non negoziabilità del diritto alla vita; ovvero di svolgere quella moral suasion che è parte della politica seria e che attiene all’attività educativa propria della battaglia culturale che deve precedere la politica «politicante» — e «politicastra» — e il voto sulle misure concrete a difesa dell’intoccabile diritto alla vita.
Il XIV Emendamento resta un problema grave — come evidenziato da Kirk e dalla vasta letteratura critica in materia di cui egli si fa interprete —, ma anche tutta la sua gravità non condona il «diritto» di aborto.
Una legge sull’aborto?
La sentenza «Dobbs v. Jackson» dunque non legifera, sostituendosi al legislatore, ma abroga e cassa un’anomalia, rettificando la stortura che essa ha prodotto. Non decide che l’aborto sia illecito a livello federale, ma annulla l’assurdo di dire che l’aborto sia non-illecito a livello federale, rimettendo in carreggiata l’attività legislativa degli Stati Uniti, ovvero riportando la questione dell’aborto nei singoli Stati dell’Unione, come prescrive la Costituzione federale in assenza di un pronunciamento costituzionale in materia.
In pratica, la sentenza «Dobbs v. Jackson» ha l’effetto di rimettere il Paese nello status quo ante la sentenza «Roe v. Wade», cancellando più di quarantanove anni di deviazione giuridico-istituzionale. Lo fa non riportando le lancette dell’orologio indietro nel tempo, ma riportando i singoli Stati dell’Unione al momento critico in cui, per effetto della rivoluzione «Roe v. Wade», la storia degli Stati Uniti ha deviato dal proprio corso, così da consentire la possibilità di un raddrizzamento. E proprio questo hanno fatto e stanno facendo molti degli Stati dell’Unione nordamericana, affrontando la questione dell’aborto come se i quarantanove e più anni di «Roe v. Wade» non fossero mai trascorsi.
Le parole di Trump sull’«aborto Stato per Stato» sottendono però un «non detto» — questa volta reale, evidente — che rivela l’insufficienza di un assetto giuridico in grado solo di confutare il principio dell’aborto non-illecito, quindi di farne materia opinabile Stato per Stato, invece di dichiararlo illecito a livello federale attraverso un’azione positiva del legislatore. Quel «non detto» è stato infatti esplicitato nei giorni successivi alla dichiarazione dell’ex presidente da molti esponenti del mondo pro life statunitense, alcuni dei quali anche molto vicini a Trump durante il suo mandato alla Casa Bianca fra il 2018 e il 2022. Legittimo. Più che legittimo, cioè, che il fronte antiabortista preferisca una legge federale che vieti l’aborto in tutti i cinquanta Stati piuttosto che cinquanta legislazioni diverse, qualcuna delle quali potrebbe consentire l’aborto. Ma la legittimità di questo desiderio deve tenere conto di alcuni fatti.
Il primo è il contenuto specifico — già ampiamente ricordato — della sentenza «Dobbs v. Jackson», che quello è e quello resta. Non se ne può, cioè, modificare la natura, la lettera e lo spirito. E, rebus sic stantibus, quella sentenza è — sottolinearlo di nuovo è opportuno — il massimo storico che il fronte per la vita abbia mai ottenuto, anzi forse persino sperato. Si potrà, forse, spostare ancora in là il traguardo ora raggiunto attraverso altre sentenze che assicurino aspetti e cesellino dettagli giuridici importanti della difesa della vita, ma per ora la sentenza «Dobbs v. Jackson» è l’ultima frontiera.
Il secondo è di natura storica e, perfino, metastorica: la Costituzione federale degli Stati Uniti, stilata fra il 25 maggio e il 17 settembre 1787, promulgata il 21 giugno 1788 ed entrata in vigore il 4 marzo 1789, è l’architettura giuridica e istituzionale di un Paese in cui la soppressione della vita di un bambino ancora nel grembo materno non viene presa in considerazione.
Chi, sul fronte pro life, auspica la messa al bando dell’aborto a livello federale non ritiene, del resto, di giustificare l’utilizzo di un mezzo illecito per ottenere un fine buono, spingendo la Corte Suprema nel torto che proprio la sentenza «Dobbs v. Jackson» ha finalmente riparato, ovvero istigandola a oltrepassare il mandato che ad essa assegna la Costituzione. Punta, il fronte pro life, a una legge approvata dal Congresso federale. Esattamente, sul fronte opposto, ciò a cui mirano i filoabortisti per assicurare il «diritto» all’aborto oggi, dopo la sentenza «Dobbs v. Jackson».
L’aborto privato
«Chi auspica una legge federale antiabortista insiste sul diritto federale a non essere uccisi nel grembo materno, ma non riflette sul fatto che non esista un analogo diritto federale a non essere uccisi da un genitore violento all’età di 2 anni o dal membro di una gang rivale a 22 o da un coniuge geloso a 52» (28). Per cinico che possa apparire, il ragionamento svolto in una nota editoriale dell’autorevole The Federalist Society for Law and Public Policy Studies, comunemente nota come The Federalist Society e certamente non favorevole al presunto «diritto» di aborto, è cristallinamente vero.
L’implicazione breve di questo paradosso è, ovviamente, che la legge statunitense non garantisce alcun diritto al sopruso, alla violenza, all’omicidio, all’aborto, all’infanticidio, allo stupro, alla rapina, e così via, giacché non garantisce alcun diritto a nessuno di operare il male, dunque, non impone alle vittime di subirlo, lasciando la materia alle normative vigenti negli Stati. Ovvero, una volta smascherata la bugia del presunto «diritto» a operare il male, cioè di praticare l’aborto, resta pacifico che il male non si può compiere impunemente poiché il male non può mai essere non-illecito.
L’implicazione più lunga torna a concentrarsi sull’aspetto fondamentale del XIV Emendamento alla Costituzione federale, che rischia a volte di essere pericolosamente ignorato. Come spiega infatti la citata nota di The Federalist Society, «il governo degli Stati Uniti è un governo dai poteri limitati e contati. In base al XIV Emendamento non ha alcun potere di giudicare penalmente rilevanti azioni compiute da singoli individui, a meno che questi non siano funzionari del governo di uno Stato o di un governo locale o che si possa stabilire agiscano “in rappresentanza della legge di uno Stato”». L’uguaglianza di tutti i cittadini statunitensi davanti alla legge, sancita dal XIV Emendamento,non garantisce la non-illiceità dell’aborto — dice la sentenza «Dobbs v. Jackson» —, che è stata inventata dalla sentenza «Roe v. Wade», ma nemmeno impedisce che un cittadino americano ancora nel grembo della propria mamma possa essere soppresso se l’aborto è eseguito da un soggetto privato. Il XIV Emendamento riguarda infatti gli Stati dell’Unione, e la relazione di essi con il governo centrale e, dunque, può impedire l’aborto, essendo esso competenza degli Stati in base all’ordinamento giuridico fondato nella Costituzione come la sentenza «Dobbs v. Jackson» ha ribadito, se esso viene ordinato ed eseguito da uno degli Stati dell’Unione, non se viene eseguito da un soggetto privato. Per limitare o impedire l’aborto eseguito da un soggetto privato serve altro: una legge che possa applicare ai singoli cittadini le medesime restrizioni che, sull’aborto, il XIV Emendamento può imporre ai singoli Stati.
Questa è certamente materia per i giuristi, ma è logico affermare che una legge di quel genere non può che basarsi sull’equiparazione fra l’uccisione volontaria di un cittadino statunitense ancora nel grembo materno e l’uccisione volontaria di un cittadino statunitense nato, che è ciò che il fronte pro life mira a ottenere. Ma a quel punto l’aborto verrebbe punito come viene punito un omicidio e non vi sarebbe necessità di una legge nuova. A questo punto andrebbe comunque tenuto presente che negli Stati Uniti la legislazione che punisce l’omicidio varia da giurisdizione a giurisdizione, dunque da codice penale a codice penale.
L’«intento originario»
Ciò detto, l’equiparazione fra l’uccisione volontaria di un cittadino statunitense ancora nel grembo materno e l’uccisione volontaria di un cittadino statunitense nato non si produce nel vuoto, per certo non nel clima culturale odierno. Come acutamente indica la nota editoriale di The Federalist Society, è il prodotto di battaglie — «ancora», come diceva il giudice Scalia nel parere da lui redatto per il caso «Planned Parenthood v. Casey», e «campali» — in ambito politico e morale. Deve infatti cambiare la morale del Paese affinché la politica venga reindirizzata e il legislatore si riorienti. Si tratta di uno sforzo educativo e culturale enorme, di lungo termine. Per il momento restano, dunque, le maggioranze politiche nei singoli Stati, scelte da determinate maggioranze anche morali fra gli elettori, le uniche a poter produrre legislazioni che proteggano i cittadini dall’aborto eseguito da soggetti privati, mentre il XIV Emendamento li può continuare a proteggere dall’aborto di Stato.
Esattamente questo è ciò che — anche inconsapevolmente — ha detto Trump intervenendo sulla limitazione dell’aborto, da rendere appannaggio dei singoli Stati dell’Unione. Fautori della fedeltà più limpida alla Costituzione federale americana e, al contempo, esponenti granitici dell’opposizione dell’aborto come «diritto», quali i giudici Scalia e Robert Heron Bork (1927-2012), o il giurista Lino Anthony Graglia (1930-2022), hanno sempre correttamente affermato che, siccome la Costituzione americana non parla dell’aborto, spetta certamente agli Stati dell’Unione decidere in materia. Solo uno sguardo superficiale può considerare questo relativismo: primo, perché la Costituzione americana è la legge fondamentale di un Paese a struttura federale e, come tale, i suoi scopi precipui sono la normazione dei rapporti fra i singoli Stati dell’Unione e il governo centrale, nonché la limitazione del potere del secondo a tutela dei primi; secondo, perché la Costituzioneè figlia di un’epoca storico-culturale in cui negli Stati Uniti nessuno metteva in discussione i «principì non negoziabili» — tanto che essi fanno parte dell’incipit esplicito della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776 (29), cioè della nascita del nuovo Paese denominato Stati Uniti, a partire proprio dal diritto alla vita, qualunque sia il vincolo giuridico, nullo secondo Kirk, fra la «Dichiarazione» e la Costituzione (30) —e quindinessuno sognava di metter mano con violenza alla vita di un nascituro.
La sentenza «Dobbs v. Jackson» si muove nella medesima direzione, fedele a quell’«intento originario» della Costituzione, secondo l’orientamento giuridico-culturale che negli Stati Uniti è definito «originalism» (31), di cui sono esponenti i citati Scalia, Bork e Graglia, con altri, fra cui certamente i giudici conservatori oggi membri della Corte Suprema federale, non solo quelli selezionati da Trump.
Sir William Blackstone e il diritto statunitense
È nondimeno importante registrare e soppesare il ragionamento svolto dal filosofo del diritto e giurista australiano John Mitchell Finnis sulle pagine del prestigioso periodico conservatore First Things nell’aprile 2021 (32), sia per l’importanza oggettiva dell’argomento e dell’argomentare, sia per la stimabilità dell’autore.
Finnis sostiene infatti che il XIV Emendamento difenda il diritto alla vita dei cittadini statunitensi ancora nel grembo della propria mamma in maniera evidente, seppur implicita, poiché il 39º Congresso federale, in carica dal 4 marzo 1865 al 4 marzo 1867, che lo redasse e lo approvò, volle poggiare sull’autorità dei Commentaries on the Laws of England, compilati dal giurista britannico sir William Blackstone (1723-1780) e pubblicati fra 1765 e 1769 (33), L’importanza e l’autorevolezza di quel testo sono ben difficili da sottovalutare. Sono infatti l’epitome della «Costituzione non scritta britannica» (34), secondo una felice dizione usata per ricordare e sottolineare come la legge fondamentale del Regno governato prima dalla Corona inglese e poi da quella britannica non sia un testo scritto, bensì uno spirito delle leggi incarnato in una storia giuridico-politica. Tale storia conosce un momento forte e un fulcro decisivo nella Magna Carta libertatum del 1215, che affonda le radici almeno nella — e si fa «inglese» prima e «britannica» poi a partire dalla — legislazione promulgata dai fratelli Hengist e Horsa, i condottieri che guidarono gli angli, i sassoni e gli iuti nelle isole britanniche del secolo V, rendendo lex positiva uno ius superiore. Il termine «mitico» con cui sovente si aggettivano le biografie di quei due fratelli germanici non ne ha del resto mai depotenziato l’importanza culturale per i commentatori della «Costituzione non scritta britannica», esempio tipico di quella «verità mitica» (35) che nella storia dei popoli è più cogente di quanto la prevenzione positivistica sia disposta ad ammettere (36).
Notevole è del resto collegare l’influenza esercitata da Blackstone sulla redazione del XIV Emendamento, come rilevata da Finnis, all’influenza esercitata da Blackstone sulla mentalità dei coloni britannici nell’America Settentrionale alla vigilia della nascita degli Stati Uniti, dunque sulla preparazione e la stesura della Costituzione federale americana, come rilevata in diverse opere di Kirk (37). Attraverso Blackstone, cioè, il XIV Emendamento si congiunge — almeno in parte — al medesimo spirito che ha forgiato la Costituzione, nonostante l’avversione di Kirk per il XIV Emendamento e il favore con cui guarda invece alla Costituzione «blackstoneana» (38).
Ora, spiega Finnis, Blackstone afferma che la vita dell’essere umano inizi al concepimento e che dunque anche la protezione che la legge offre all’essere umano inizi al concepimento. Quindi, che, al tempo di Blackstone e dell’influenza «blackstoneana» sul diritto statunitense, la soppressione della vita umana sia proibita fin dal concepimento. Pertanto, se il XIV Emendamento conferì anche agli ex schiavi il godimento dei diritti garantiti ai cittadini di Oltreoceano dal diritto statunitense, riproducendo i diritti garantiti ai cittadini di Oltremanica dal diritto britannico, tutti i cittadini statunitensi godono pariteticamente del diritto alla vita fin dal concepimento, godimento che dà titolo alla protezione da parte delle leggi fin dal concepimento e che esclude il «diritto» di aborto.
Anche Finnis — il cui ragionamento su Blackstone e il XIV Emendamento conferma l’errore commesso dal presidente Blackmun nel parere di maggioranza nella sentenza «Roe v. Wade» — utilizza la Sezione I del XIV Emendamento e la sua clausola che garantisce a «qualsiasi persona» il diritto a un processo equo, ragionando che, siccome toglie la vita a cittadini statunitensi senza un processo equo, l’aborto è incostituzionale. Quindi che agli Stati dell’Unione nordamericana la Costituzione, per via del XIV Emendamento, non solo permette di vietare l’aborto, ma positivamente lo vieta in ogni caso.
Ma il diritto alla vita intrinseco nel diritto «blackstoneano» di Gran Bretagna e Stati Uniti, messo in luce intelligentemente da Finnis, non toglie però che gli Stati Uniti siano regolati da una Costituzione federale e che il XIV Emendamento costituisca una limitazione del potere di negare i diritti fondamentali ai cittadini statunitensi, fra cui quello alla vita, che si predica ai singoli Stati dell’Unione nordamericana. Esso non può dunque servire per dichiarare — come avrebbero affermato fra altri Scalia, Bork e Graglia — l’incostituzionalità dell’aborto qualunque sia il soggetto che lo pratica (per esempio i soggetti privati). Sul filo dell’arguto e documentato ragionamento di Finnis, il XIV Emendamento non permette solo agli Stati di dichiarare illecito l’aborto di Stato: non può permettere che essi non lo facciano.
Il diritto naturale
Una tessera importante di questo mosaico viene da Kirk, là dove ricostruisce la trafila della concezione del diritto naturale che promana dall’«antica e centrale tradizione […] che ha le sue radici in Platone e Aristotele, poi e più completamente esposta da Cicerone, Seneca e dai giureconsulti romani», la quale «[…] successivamente passa dai saggi stoici ai Padri della Chiesa e di lì a poco» viene «ampliata e definita da San Tommaso d’Aquino» (39). Ebbene, spiega Kirk, «dagli Scolastici quella interpretazione del diritto naturale entra nel common law inglese e nel sedicesimo secolo trova una nuova manifestazione nelle Laws of Ecclesiastical Polity» di Richard Hooker (1554-1600) (40), il teologo e presbitero anglicano inglese profondamente influenzato dall’Aquinate, «[…] e in scritti successivi di altri teologi anglicani. Questa recezione del diritto naturale passa in America nel periodo coloniale e in una certa misura sopravvive, sia pure sommersa, nell’America del ventesimo secolo. Possiamo chiamarla la dottrina cattolica del diritto naturale, supponendo di avere contezza delle sue radici classiche e che i praticanti regolari della Chiesa cattolica non sono i soli difensori e custodi del diritto naturale».
Osservando acutamente che «anche il diritto naturale a volte si confronta con affermazioni di “diritti naturali” che possono o non possono essere fondati sui concetti cristiani e classici del diritto naturale» (41), Kirk rimarca che «l’eredità dello ius naturalis classico, come battezzato da Scolastici e canonisti, durò con pochi cambiamenti fino al diciassettesimo secolo». In quei secoli, «nel mondo cristiano, la legge naturale veniva ricevuta come un insieme di regole non scritte dipendenti dal senso comune e dalla coscienza universale, constatata dalla retta ragione» (42).
Di contro, «le tensioni del secolarismo e del razionalismo nel diciassettesimo secolo produssero prima la protestantizzazione del diritto naturale da parte di [Ugo] Grozio [1583-1645] ed altri, e di fatto la sua secolarizzazione da parte di [Samuel von] Pufendorff [1632-1694], [Emmeric de] Vattel [1714-1767], [Jean-Jacques] Burlamaqui [1694-1748] e altri pensatori minori. Quest’ultima nozione secolarizzata della legge naturale prese vigore nell’ultima parte del diciottesimo secolo, volgarizzata da Thomas Paine [1737-1809] e con ferocia nella Rivoluzione francese». Tuttavia, «l’interpretazione più antica del diritto naturale non si era estinta. Essa venne affermata con forza da Edmund Burke nella sua distinzione tra i diritti umani “reali” e quelli “pretesi” […]. Attraverso i discepoli di Burke e l’influsso della Chiesa cattolica, il diritto naturale classico e cattolico ha conosciuto un nuovo interesse nell’ultima metà del ventesimo secolo».
Al vertice di questo percorso, conclude Kirk, «la realtà del diritto naturale veniva considerata come qualcosa di dato dagli Americani dell’èra rivoluzionaria e degli anni in cui la Costituzione venne redatta e ratificata. Parlando in termini generali, la loro era quella che possiamo osare chiamare fondamentalmente l’interpretazione cattolica del diritto naturale» (43). Infatti, i Padri fondatori, «con poche eccezioni, credevano nella realtà del diritto naturale e che con lo strumento da essi costruito a Filadelfia non avevano alcuna intenzione di contravvenire al diritto naturale; né qualcuno suggerì mai durante i dibattiti sulla ratifica che la Costituzione potesse in qualche modo confliggere con le vecchie verità del diritto naturale» (44).
Le radici dell’ordine degli Stati Uniti
La tradizione classico-cristiana del diritto naturale è dunque quella che, attraverso Blackstone e Burke, anima lo spirito delle leggi statunitensi e la loro lettera migliore. Non è fuori misura affermare che il diritto naturale sia la «Costituzione non scritta» — secondo una felice espressione di Brownson, ripresa da altri pensatori novecenteschi, fra cui Kirk — che ispira, informa, intride e guida la fondazione degli Stati Uniti, in particolare la Costituzione scritta e il Bill of Rights. E che quindi l’«intento originale» del costituzionalismo statunitense sia in radice la difesa del diritto naturale che lo anima. Non sono «penombre», ma una storia culturale e giuridica documentabile, come in parte fa Kirk, per esempio, ne Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo,originariamente pubblicato nel 1974, e in America’s British Culture, del 1993.E la cogenza del diritto naturale è certamente presente negli «originalisti» statunitensi, compreso il giudice Bork, di cui si è talora detto invece il contrario (e che io stesso, di passaggio, in un articolo giornalistico ho intenzionalmente arruolato fra i difensori del diritto naturale) (45).
A dirlo è proprio Bork in uno scritto prezioso pubblicato su First Things nel marzo 1992 (46). Quello che è apparso essere un suo rifiuto del diritto naturale lì è infatti spiegato essere solo il timore di un «positivista giuridico» (47) sui generis che il potere politico o lo strapotere giudiziario possano ergersi, in una caricatura malevola della difesa del diritto naturale, a despoti, i quali, parafrasando la massima «Lo Stato sono io» — attribuita, ma contestata, a re Luigi XIV di Francia (1638-1715) — pretendano di affermare «il diritto naturale sono io». Del resto, Kirk afferma significativamente che «i fraintendimenti del diritto naturale» o la «sua cattiva applicazione possono produrre grossi guai» (48). Se più «originalista» di Bork non è forse possibile essere nella difesa «positivistica» della Costituzione statunitense così come essa è, ma se l’«originalismo» è al fondo la difesa dello spirito giusnaturalistico della Costituzione federale statunitense attraverso l’applicazione severa della sua lettera, allora anche Bork della Costituzione difende l’anima difendendone la lettera. Non vi è addirittura nemmeno bisogno di mettere esplicitamente a tema quello spirito, se la lettera viene rispettata con rigore.
Forse ciò di cui Bork ha avuto timore è stato, in fondo, solo il male che la rivoluzione giuridica prodotta dalla sentenza «Roe v. Wade» ha causato e disseminato per quasi mezzo secolo, pretendendo di vedere diritti là dove nella Costituzione non esistono e filosofando per sofismi invece di attenersi allo stare decisis della legge fondamentale del Paese. Magari con il concorso di quei giornalisti che, creando le notizie quando non ci sono, diventano parte in causa del contendere, gettando benzina su fuochi fatui capaci però di incendi sconvolgenti.
Marco Respinti
Note:
1) Cfr. Donald J. Trump, comunicazione via video senza titolo, in Truth Social, Sarasota (Florida), 8-4-2024, nel sito web <https://truthsocial.com/@realDonaldTrump/posts/112235238031827342>, e la trascrizione integrale, pubblicata con il titolo redazionale Read Trump Abortion Statement, in The Hill, Washington (D.C.) 8-4-2024, nel sito web <https://thehill.com/homenews/campaign/4580775-read-trump-abortion-statement>.
2) Cfr. Ronald W. Reagan, Abortion and the Conscience of the Nation, in The Human Life Review, vol. IX, n. 2, New York primavera 1983, pp. 7-16. Il saggio è stato ripubblicato autonomamente come pamphlet con il medesimo titolo e con altri contributi, diversificati per ognuna delle due edizioni, da Thomas Nelson Publishing, Nashville (Tennessee) 1984, e da Regency Publishers, Sacramento (California) 2000. Ho tradotto il saggio di Reagan, pubblicato con il titolo L’aborto e la coscienza della nazione. In memoria del presidente Ronald Reagan, in Studi cattolici, anno XLVIII, n. 523, Milano settembre 2004, pp. 658-663. Questa traduzione è stata quindi ripubblicata online con il titolo L’aborto e la coscienza di una nazione in La Nuova Bussola Quotidiana, Monza 5-6-2014, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/laborto-e-la-coscienza-di-una-nazione>. A commento, cfr. i miei Ronald Reagan, la sua lotta per il diritto alla vita, ibid., <https://lanuovabq.it/it/ronald-reagan-la-sua-lotta-per-il-diritto-alla-vita> e, sull’impegno dell’Amministrazione Reagan per il diritto alla vita, Faith Whittlesey, ricordo di un’ambasciatrice della fede, ibid., 18-6-2018, <https://lanuovabq.it/it/faith-whittlesey-ricordo-di-unambasciatrice-della-fede>. In generale, possono risultare utili i miei Ronald W. Reagan. Un americano alla Casa Bianca, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2005, e Un americano alla Casa Bianca, in il Foglio quotidiano, anno XVI, n. 30, 5-2-2011, nonché Miska Ruggeri, Ronald Reagan, il conservatore della svolta, TG2 Dossier, Rai, Roma 25-10-2020, ora sul mio canale YouTube <https://www.youtube.com/watch?v=wwbvgYBGy2A>.
3) Cfr. Eternal Word Television Network-EWTN, trasmissione dal vivo dell’evento, Washington, 27-1-2017, disponibile con il titolo March for Life 2017 sul canale YouTube della stessa emittente televisiva di Irondale (Alabama), nel sito web <https://www.youtube.com/watch?v=7IvY5qVgq8w>.
4) Cfr. Idem, trasmissione dal vivo dell’evento, Washington, 19-1-2018, parte terza, disponibile con il titolo March for Life 2018-Part 3 sul canale YouTube della stessa emittente televisiva, <https://www.youtube.com/watch?v=mZMwLwNhxo4>.
5) Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Department of Health, et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al., Washington, 24-6-2022, nel sito web<https://www.supremecourt.gov/opinions/21pdf/19-1392_6j37.pdf>. Nell’articolo, tutte le citazioni da questo documento sono tratte da questa fonte. Cfr. i miei Clamoroso: la Corte Suprema USA ferma l’aborto, in International Family News, Rockford (Illinois) 3-5-2022, nel sito web <https://ifamnews.com/it/clamoroso-la-corte-suprema-usa-ferma-l-aborto>, e Thank you SCOTUS!, ibid., 24-6-2022, nel sito web <https://ifamnews.com/it/thank-you-scotus>. Ricognizioni e analisi dell’argomento sono svolte da Agostino Carrino, La rivoluzione di «Dobbs». Il problema dell’aborto nel dibattito costituzionale degli Stati Uniti d’America, Mimesis, Roma 2024.
6) Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, Jane Roe, et al. v. Henry Wade, District Attorney of Dallas County, Washington, 22-1-1973, nel sito web <https://tile.loc.gov/storage-services/service/ll/usrep/usrep410/usrep410113/usrep410113.pdf>. Nell’articolo, tutte le citazioni da questo documento sono tratte da questa fonte.
7) Cfr. Law Library-American Law and Legal Information, Roe et al. v. Wade: 1973, Brief for Appellant: Statutes Involved, JRank (Web Solutions, LLC.), Las Vegas (Nevada), nel sito web <https://law.jrank.org/pages/11631/Brief-Appellant-STATUTES-INVOLVED.html>.
8) Cfr. 14th Amendment to the U.S. Constitution: Civil Rights (1868), National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/milestone-documents/14th-amendment>. Nell’articolo, tutte le citazioni da questo documento sono tratte da questa fonte.
9) Cfr. Constitution of the United States (1787), National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/milestone-documents/constitution>.
10) Cfr. The Bill of Rights, National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/founding-docs/bill-of-rights>.
11) Cfr. William and Mary, 1688: An Act declareing the Rights and Liberties of the Subject and Setleing the Succession of the Crowne. [Chapter II. Rot. Parl. pt. 3. nu. 1.], in Statutes of the Realm, Great Britain Record Commission, s.l, 1819, vol. 6, 1685-1694, pp. 142-145, ripubblicato in British History Online, Institute of Historical Research, School of Advanced Study, University of London, Londra, nel sito web <https://www.british-history.ac.uk/statutes-realm/vol6/pp142-145>.
12) Svolgo considerazioni sul Bill of Rights come antidoto al centralismo nel contesto del costituzionalismo statunitense nel mio Conscience, Religious Liberty, and the Tai Ji Men Case, II. Religious Liberty as Polity: The American Example and the Tai Ji Men Case, in The Journal of CESNUR, vol. 7, n. 4, luglio-agosto 2023, pp, 63-77 (pp. 70-74), DOI: 10.26338/tjoc.2023.7.4.5, nel sito web <https://cesnur.net/wp-content/uploads/2023/07/tjoc_7_4_5_respinti.pdf>.
13) Cfr. The Constitution: Amendments 11-27, National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/founding-docs/amendments-11-27>.
14) Cfr. 13th Amendment to the U.S. Constitution: Abolition of Slavery (1865), National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/milestone-documents/13th-amendment>.
15) Cfr. 15th Amendment to the U.S. Constitution: Voting Rights (1870), National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/milestone-documents/15th-amendment>.
16) Per un primo approccio, cfr. Thomas J.[ames] Fleming (1927-2017), Stati Uniti d’America: l’Old Republic come Ancien Régime, intervista a mia cura, in Cristianità, anno XXI, n. 217, maggio 1993, pp. 9-14.
17) Cfr. Russell A. Kirk, Diritti e doveri. Saggio sullo spirito conservatore della Costituzione americana, trad. it., a cura di A. Carrino, Editoriale Scientifica, Napoli 2024. Il testo è stato pubblicato originariamente con il titolo The Conservative Constitution, Regnery Gateway, Washington 1990, e, in edizione accresciuta, con il titolo Rights and Duties: Reflections on Our Conservative Constitution, a cura di Mitchell S.[hannon] Muncy, e con una Introduzione di Francis Russell Hittinger, Spence, Dallas (Texas) 1997.
18) Cfr. Orestes A. Brownson, Selected Essays, a cura e con introduzione di R.A. Kirk, Regnery Gateway, Washington 1955, ripubblicato con il titolo Selected Political Essays, a cura e con una nuova introduzione di Kirk, Transaction, New Brunswick (New Jersey) 1990.
19) R.A. Kirk, op. cit., p. 273.
20) O.A. Brownson, Constitutional Guaranties, in Brownson’s Quarterly Review, aprile 1874, ora in The Works of Orestes A. Brownson, a cura di Henry F. Brownson (1835-1913), Thorndike Nourse, Detroit (Michigan) 1885, vol. 18, p. 257.
21) R.A. Kirk, op. cit., p. 275.
22) Cfr. National Right to Life, Abortion Statistics: United States Data and Trends, Washington s.d., nel sito web <https://nrlc.org/uploads/factsheets/FS01AbortionintheUS.pdf>.
23) Cfr. Phyllis S.[tewart] Schlafly, The Supremacists: The Tyranny of Judges And How to Stop It, Spence, Dallas (Texas) 2004. Per un primo inquadramento dell’autrice, cfr. il mio Phyllis S. Schlafly, profetessa dei Family Day, in La Nuova Bussola Quotidiana, 23-9-2016, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/phyllis-s-schlafly-profetessa-dei-family-day>.
24) Cfr. Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, Washington, et al., Petitioners v. Harold Glucksberg, et al., Washington 26-6-1997, nel sito web «https://supreme.justia.com/cases/federal/us/521/702>.
25) Cfr. Gestational Age Act, in Mississippi Code, §41-41-191, 2019, nel sito web <https://law.justia.com/codes/mississippi/2019/title-41/chapter-41/gestational-age-act/section-41-41-191».
26) Cfr. Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, Planned Parenthood of Southeastern Pennsylvania et al. v. Casey, Governor of Pennsylvania, et al., Washington 29-6-1992, nel sito web <https://tile.loc.gov/storage-services/service/ll/usrep/usrep505/usrep505833/usrep505833.pdf>. Sul giudice Scalia, cfr. i miei Morto il giudice Scalia, Obama ha davvero campo libero, in La Nuova Bussola Quotidiana, 15-2-2016, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/morto-il-giudice-scalia-obama-ha-davvero-campo-libero>, e Il funerale di Scalia, un trionfo di evangelizzazione, ibid., 24-2-2016, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/il-funerale-di-scalia-un-trionfo-di-evangelizzazione>.
27) L’espressione, entrata nel magistero della Chiesa cattolica e nel linguaggio comune in questa formulazione, ha origine dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-11- 2002.
28) The Federalist Society for Law and Public Policy Studies, A Federal Gestational Age Abortion Ban is the Wrong (and Unconstitutional) Hill for the Pro-Life Movement to Die On, Washington 17-8-2023, nel sito web <https://fedsoc.org/commentary/fedsoc-blog/a-federal-gestational-age-abortion-ban-is-the-wrong-and-unconstitutional-hill-for-the-pro-life-movement-to-die-on>.
29) Cfr. Declaration of Independence (1776), National Archives, Washington, nel sito web <https://www.archives.gov/milestone-documents/declaration-of-independence>.
30) Cfr. R.A. Kirk, op. cit., p. 169-170.
31) Cfr. almeno Mauro Ronco, «Originalismo. Venticinque anni di dibattito». Una recensione, in Cristianità, anno XXXVI, n. 347-348, maggio-agosto 2008, pp. 17-26, e R.A. Kirk, op. cit., 2. La controversia sull’intento originario, pp. 57-70.
32) Cfr. John Finnis, Abortion is Unconstitutional, in First Things, n. 312, New York aprile 2021, pp. 29-38, nel sito web <https://www.firstthings.com/article/2021/04/abortion-is-unconstitutional>.
33) Cfr. Sir William Blackstone, Commentaries on the Laws of England [1723-1780], The Oxford Edition of Blackstone, a cura di Wilfried Prest, Oxford University Press, Oxford 2016, 4 voll.
34) Kirk la descrive come «una costituzione “non scritta”, nel senso che non è raccolta in un singolo documento»: Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo, con un Epilogo di Frank Joseph Shakespeare (1925-2022), trad. it. a mia cura, Mondadori, Milano 1996 p. 210; cfr. la recensione di Andrea Morigi, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 24-27. Nello studio di R.A. Kirk, Diritti e doveri. Saggio sullo spirito conservatore della Costituzione americana, cit., l’espressione «Costituzione non scritta» ricorre varie volte e in diverse formulazioni sempre in relazione al contesto giudico-culturale statunitense.
35) Sul concetto, cfr. per esempio Mircea Eliade (1907-1986), Mito e realtà, trad. it. 3a ed., con una Prefazione di Giovanni Cantoni (1938-2020), Borla, Roma 1993; Julien Ries (1920-2013), Opera Omnia, 12 voll. in 15 tomi, vol. IV, t. 2. Mito e rito. Le costanti del sacro, Jaca Book, Milano 2008; John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), On Fairy-Stories: Expanded Edition with Commentary and Notes, a cura di Verlyn Flieger e Douglas A.[llen] Anderson, HarperCollins Londra, trad. it parziale Sulle fiabe, in J. R.R. Tolkien, Albero e foglia, Bompiani, Milano 2004, pp. 14-97; Michael Polanyi (1891-1976) e Harry Prosch (1917-2005), Truth in Myths, in CrossCurrents, vol. 25, n. 2, estate 1975, pp. 149-162; e Peter T. Struck, The Invention of Mythic Truth in Antiquity, in Ueli Dill e Christine Walde (a cura di), Antike Mythen. Medien, Transformationen und Konstruktionen, De Gruyter, Berlino 2009, pp. 25-37.
36) Da Filadelfia, in Pennsylvania, il 14 agosto 1776, un mese dopo la proclamazione, nella medesima città, dell’indipendenza da parte delle ex colonie britanniche in America Settentrionale, John Adams (1735-1826), che diverrà il secondo presidente degli Stati Uniti dal 1797 al 1801, scrisse una lettera alla moglie Abigail Smith Adams (1744-1818). La informava di essere stato nominato nel comitato incaricato di disegnare una Medaglia d’oro commemorativa dei fatti accaduti a Boston il 14 agosto 1765, allorché un’ampia folla si riunì ai piedi di un grande olmo — divenuto presto un simbolo famoso, noto come l’«albero della libertà» — per protestare contro le imposizioni fiscali di Londra che avevano esacerbato i coloni e che presto portarono alla rivolta aperta, quindi all’indipendenza. Un anno dopo la proclamazione dell’indipendenza, i fatti di Boston erano già entrati nella «mitologia» nordamericana e Adams, nella lettera alla moglie — testimoniando una volta in più il carattere di rivolta fiscale, e non di rivoluzione ideologica, di quella che diventerà la Guerra d’indipendenza degli Stati Uniti (1775-1783) —, li saluta come il giorno in cui «il principio della resistenza e dell’indipendenza americane venne affermato e messo in azione la prima volta». Ebbene, fra i progetti proposti dai membri del comitato, Adams elenca anche quello di Thomas Jefferson (1743-1826), il «padre» della Dichiarazione d’indipendenza, che gli sarebbe succeduto come terzo presidente degli Stati Uniti, per due mandati, dal 1801 al 1809. «I Figli di Israele nel deserto», propose Jefferson per uno dei versi della medaglia, attingendo al libro dell’Esodo, «guidati da una nube durante il giorno e da un pilastro di fuoco la notte, e sull’altro verso Hengist e Horsa, i capi sassoni, da cui rivendichiamo l’onore di discendere, e i cui princìpi politici e la cui forma di governo abbiamo fatto nostri» (The Book of Abigail and John: Selected Letters of the Adams Family, 1762-1784, a cura e con introduzione di Lyman H. Butterfield (1909-1982), Marc Friedlaender e Mary-Jo Kline, con una nuova premessa di David McCullough (1933-2022), Northeastern University Press, Boston 1975, pp. 154 e 156. La lettera viene riprodotta anche sul sito dei National Archives di Washington, nel sito web <https://founders.archives.gov/documents/Adams/04-02-02-0059#AFC02d060n1>). Kirk ricorda correttamente che, in realtà, «nell’attuale diritto inglese (e americano) ci sono solo frammenti delle norme giuridiche anglosassoni» (op. cit., p. 195), ma pure come la tradizione e lo spirito di quella storia giuridica — fattuale e mitica assieme — informi l’idea e la pratica del diritto statunitensi (cfr. ibid., pp. 192-251). Sulla natura non rivoluzionaria nella Guerra d’indipendenza degli Stati Uniti, cfr. almeno R.A. Kirk, Stati Uniti e Francia: due rivoluzioni a confronto, trad. it. a mia cura, Centro Grafico Stampa-Edizioni Kolbe, Bergamo 1995; Idem, Diritti e doveri. Saggio sullo spirito conservatore della Costituzione americana, cit., 4. Una rivoluzione non fatta, ma prevenuta, pp. 85-98; Paolo Mazzeranghi, Gli Stati Uniti d’America: la Guerra d’Indipendenza (1776-1783) e la Guerra Civile (1861-1865), in G. Cantoni e Francesco Pappalardo (a cura di), Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, D’Ettoris, Crotone 2006, pp. 213-242; e, di genere, Thomas E. Woods, Jr., Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d’America, trad. it., a cura di Maurizio Brunetti, con un mio invito alla lettura, D’Ettoris, Crotone 2012.
37) Cfr. R.A. Kirk, op. cit., e Idem, Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo, cit. pp. 385-391. In generale, non è possibile apprezzare fino in fondo il riferimento strutturale di Kirk a Blackstone se non nel contesto del più ampio riferimento altrettanto strutturale di Kirk alla cultura inglese prima e britannica poi, su cui cfr. Idem, America’s British Culture, Transaction, New Brunswick (New Jersey) 1993, di cui il riferimento ancora una volta strutturale al pensatore e statista irlandese Edmund Burke (1729-1797) è la chiave di volta: cfr. almeno Idem, Edmund Burke: A Genius Reconsidered, con una premessa di sir Roger Scruton (1944-2020), 4a ed. riv., ISI Books, Wilmington (Delaware) 2009.
38) Cfr. ibid., pp. 273-275.
39) R.A. Kirk, op. cit., p. 166. Tutte le citazioni che seguono sono tratte da questa fonte fino a diversa indicazione.
40) Cfr. Richard Hooker, Of the Laws of Ecclesiastical Polity [Of the Lawes of Ecclesiastical Politie, 1593-1600], a cura di Arthur Stephen McGrade, Cambridge University Press, Cambridge 1989. Per Kirk, Hooker è certamente un elemento portante del suo riferimento strutturale alla cultura inglese: cfr. Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo, cit., pp. 253-262. In pagine molto significative di La nuova scienza politica (trad. it., con un saggio introduttivo di Augusto del Noce (1910-1989), Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità, Borla, Torino 1968), il filosofo tedesco-americano della politica Eric Voegelin (1901-1985) tratta ampiamente di Hooker (cfr. op. cit., pp. 210-220) presentando la «contrapposizione fra gnosticismo da una parte, e tradizione classica e cristiana, rappresentata […] da Hooker, dall’altra» (ibid., p. 212) e precisando che il teologo anglicano «aveva un’altissima coscienza della tradizione» (ibid., p. 214). Questo giudizio viene rafforzato da Del Noce nel saggio introduttivo, che descrive Hooker come «l’avversario», «di formazione tomista», dello gnosticismo puritano (Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità, cit., p. 27). Voegelin inquadra dunque Hooker come colui che «fornì un acuto studio tipologico del puritano e anche del meccanismo psicologico per mezzo del quale operano i movimenti di massa gnostici» (op. cit., p. 209), motivo per cui le pagine di Of the Laws of Ecclesiastical Polity «sono una miniera di incalcolabile valore per lo studioso della rivoluzione gnostica».
41) R.A. Kirk, op. cit., p. 166.
42) Ibid., p. 167.
43) Ibid., p. 168.
44) Ibid., pp. 168-169.
45) Cfr. il mio Si dimette il premier irlandese Varadkar, in Libero quotidiano, anno LIX, n. 80, Milano 21 marzo 2024, p. 14, ora online in <https://www.marcorespinti.org/si-dimette-il-premier-irlandese-varadkar>. Su Bork, cfr. anche i miei Nei pensatoi d’America arriva la carica dei theocon(servative), in Il Foglio quotidiano, anno VIII, n. 258, Roma 19-9-2003, e Robert Bork o dell’irriducibile fedeltà al vero, in La Nuova Bussola Quotidiana 3-1-2013, nel sito web <https://lanuovabq.it/it/robert-bork-o-dellirriducibile-fedelta-al-vero>.
46) Cfr. Robert H. Bork, Natural Law and the Constitution, in First Things, n. 21, marzo 1992, pp. 16-20, nel sito web <https://www.firstthings.com/article/1992/03/natural-law-and-the-constitution>.
47) Ibid., p. 19.
48) R.A. Kirk, op. cit., pp. 165-166.