di Mario Vitali
Oleg Supereco, pittore russo nato a Mosca nel 1974, dal 1999 vive e lavora in Italia. Deve la notorietà crescente all’avere affrescato i pennacchi e la cupola della cattedrale di Noto, in provincia di Siracusa, a completamento dei lavori di ricostruzione della prestigiosa cattedrale resisi necessari a causa del crollo dell’edificio avvenuto il 13 marzo 1996.
La sua passione per l’arte si manifesta fino da bambino: in particolare lo colpivano i volti espressi dalla pittura del Rinascimento italiano. Frequenta il liceo e poi l’Accademia delle belle arti di Mosca, seguendo i corsi del grande pittore russo Ilja Glasunov (1930-2017) con il quale stringe un rapporto di profonda amicizia. Nel 1999 si trasferisce in Italia e frequenta l’Accademia delle belle arti di Venezia, conseguendo la laurea nel 2004.
Nel 2007, su suggerimento di mons. Carlo Chenis (1954-2010), già segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e membro della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, Supereco riceve l’incarico di realizzare gli affreschi della cattedrale di Noto.
La sua opera è una sintesi fra la tradizione artistica orientale e quella occidentale, che nel cristianesimo trova il punto di incontro. Così l’artista si esprime in una intervista pubblicata sul quotidiano telematico Il Sussidiario: «La pittura è la mia preghiera attraverso cui comunico con il Signore e Lui comunica con me. Perché quello che faccio non lo faccio io, non lo detto io. Fa sempre Lui attraverso di me”.
La superficie affrescata della basilica di Noto è di circa 300 metri quadrati a circa 32 metri di altezza. Con questo lavoro, Supereco ripropone la tecnica dell’affresco su grandi superfici che fu abbandonata nel secolo XVIII. Di significativa importanza anche tecnica è la grande attenzione prestata all’“anamorfosi”, una deformazione in prospettiva che consente una corretta visione dal basso.
Il lavoro artistico di Oleg sembra voler ricostruire e proporre un nuovo canone di bellezza, attento al contenuto della fede e capace di reinterpretare le iconografie antiche senza misconoscere la loro eredità.
Il quadro, olio su tela, tra i più noti e apprezzati dell’artista russo è La Pietà. La Vergine osserva il Volto di Cristo deposto nel sepolcro. Il dipinto mostra l’intensità drammatica dell’ultimo istante che chiude la scena terrena delle loro vite. Il volto dolce e addolorato della Madre si riversa su quello del Figlio con intensità e compostezza, il volto di Cristo ha il colore della morte. Tuttavia la scena è illuminata da una luce viva e calda che sembra già annunciare la Resurrezione.
Come in altre opere del pittore, si ripropone qui il tema del dolore e di quale rapporto esista tra la bellezza espressa nelle opere d’arte e il dolore, che così l’artista commenta: «I cristiani hanno aggiunto qualcos’altro all’arte antica greco-romana: il “bello” della sofferenza. L’arte cristiana scopre un bello anche nel brutto. È una bellezza che trasforma tutto».
Sabato, 31 agosto 2019