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“Polonia. Assalti alle chiese dopo la sentenza sull’aborto”

28 Ottobre 2020 - Autore: Alleanza Cattolica

Di Federico Cenci da ifamnews.com del 27/10/2020

Alta tensione in Polonia. La storica sentenza della Corte costituzionale che ha vietato l’aborto anche in caso di malformazione del feto ha innescato una recrudescenza di odio anti-cattolico. È stata una domenica difficile per numerosi fedeli. Nel silenzio dei grandi organi d’informazione occidentali, si sono registrati diversi attacchi alle chiese durante le funzioni religiose. Messe interrotte, minacce e scritte blasfeme sulle pareti di edifici sacri hanno caratterizzato la giornata. Si è trattato dell’acme di un processo che ristagna nel Paese da tempo, come raccontato qualche settimana fa a “iFamNews” da un avvocato dell’organizzazione legale Ordo Iuris.

Donna incinta crocifissa

L’aggressione al cattolicesimo era stata preannunciata qualche ora prima dalla campagna «Słowo na Niedzielę», «La parola della domenica», lanciata sui social da gruppi femministi. Eloquente l’immagine delle campagna: una donna incinta crocifissa. Dall’annuncio ai fatti, il passo è stato breve e scandito da slogan violenti. Il settimanale cattolico Niedziela dà conto di una serie di episodi avvenuti nel Paese. Nella chiesa di Santa Croce, a Varsavia, si sono radunati una dozzina di attivisti che brandivano cartelli con scritte del tipo «Che diavolo ne sai del parto», «La Polonia è l’inferno delle donne», «Questa è guerra. Sadici! Stiamo venendo a prendervi!».

Un paio di donne, in effetti, hanno provato a fare irruzione nella chiesa, ma sono state bloccate all’ingresso. Stesso copione fuori la cattedrale di San Giovanni Battista, nel centro storico della capitale. Qui gli attivisti si sono seduti sulle scale esterne. Si è acceso un parapiglia quando qualcuno di loro ha provato a introdursi nella chiesa ed è stato respinto.

Messe interrotte

Tentativo di introdursi in chiesa riuscito nel quartiere Saska Kepa: durante la Messa nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso una attivista è entrata, si è posizionata davanti l’altare e ha esposto verso l’assemblea dei fedeli un cartello con la scritta «Preghiamo per il diritto all’aborto». A Torun, città centro-settentrionale della Polonia, l’irruzione in chiesa è avvenuta per opera della deputata di centro-sinistra Joanna Scheuring-Wielgus. Insieme al marito, la donna è entrata nella chiesa di San Giacomo durante la Messa mostrando ai fedeli un cartello con scritto «Donna! Puoi decidere da sola».

La parlamentare ha rivendicato l’azione su Facebook sottolineando che la chiesa di San Giacomo è là dove, 17 anni fa, si è sposata. Molto nutrito il gruppo di femministe che a Poznan ha costretto il celebrante ha interrompere la Messa: le donne impugnavano cartelli pro-aborto e hanno intonato il coro «Siamo stufe di questo». Si sono quindi stese sul pavimento prima che arrivassero gli agenti di polizia. Da registrare poi il lungo elenco di scritte con la vernice apparse sulle mura e sui portoni delle chiese. Qui la blasfemia ha giocato un ruolo predominante.

L’appello del presidente dei vescovi

Sulla vicenda è intervenuto con una nota mons. Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza episcopale polacca. Il presule ha sottolineato che la posizione della Chiesa cattolica sul tema del diritto alla vita è «immutabile e pubblicamente nota», tuttavia ha ricordato che «non è la Chiesa che fa le leggi» in Polonia e «non sono i vescovi che prendono decisioni sulla conformità o meno delle leggi alla Costituzione polacca».

Mons. Gądecki ha quindi rilevato che «la volgarità, la violenza, le scritte offensive e il disturbo delle funzioni religiose, come pure le profanazioni perpetrate negli ultimi giorni […] non sono modalità d’azione appropriate in uno Stato democratico». Nell’esprimere tristezza per il fatto che con la violenza sia stato impedito a molti credenti il diritto di pregare, il presidente dei vescovi polacchi ha chiesto a tutti di «esprimere le proprie opinioni in modo socialmente accettabile» e ha fatto appello a giornalisti e politici di «non intensificare le tensioni».

Foto da articolo

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