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“POSSIAMO PARLARE (SERIAMENTE) DEL REATO DI ABUSO D’UFFICIO”

16 Giugno 2019 - Autore: Alfredo Mantovano

Di Alfredo Mantovano da Tempi, giugno 2019. Foto redazionale

Il modo migliore per sollevare la questione dell’abuso d’ufficio non è esattamente parlarne pochi giorni prima del voto per le Europee, al culmine della dialettica aspra fra i due alleati di governo, con propri esponenti iscritti nel registro degli indagati per questo titolo di reato.
Il problema però esiste. Su questa testata, nella versione on line, sono stati ricordati i dati della quantità di procedimenti penali avviati per abuso d’ufficio, comparati con l’entità prossima allo zero di condanne divenute definitive. Non è solo una questione di spreco di risorse giudiziarie, che già non sarebbe poco. E’ questione che fino a quando il procedimento è in corso il pubblico amministratore, in spregio alla presunzione costituzionale di non colpevolezza – accentuata dalla percentuale schiacciante di processi che terminano senza condanne – è invece mediaticamente un presunto responsabile. Come teorizzava un pubblico ministero all’epoca di Tangentopoli, “un abuso è una corruzione non provata”; poco importa se alla fine non viene provato neanche l’abuso, quel che resta sono discredito e sospetto. E non basta: se l’atto del pubblico ufficiale qualificato in termini di abuso si inserisce nell’iter di un’opera pubblica, grande o piccola che sia, è difficile che quell’opera si realizzi. Col risultato che, quando l’indagine viene archiviata e l’indagato viene prosciolto – cioè quasi sempre -, le risorse finanziarie destinate a quell’opera non sono più disponibili, o non sono più sufficienti.
Non solo il problema esiste. Poiché le amministrazioni territoriali hanno i colori più vari, nessuno dei partiti rappresentati in Parlamento può vantare di avere le proprie file immuni da sindaci o da assessori che nel loro mandato non abbiano ricevuto anche una sola informazione di garanzia per abuso. Poiché il problema esiste e interessa tutti, logica vorrebbe che a tutti interessi la soluzione di esso. La campagna elettorale terminata e le elezioni svolte potrebbero favorire un accordo ampio tra le forze politiche per mettervi mano, prima che la prossima competizione renda tutto nuovamente difficile,.
Partendo dalla considerazione che dopo la riforma del 2012 non c’è condotta del pubblico amministratore che non trovi configurazione e sanzione. Per inquadrare l’illecito del pubblico ufficiale la magistratura ha a disposizione una gamma di opzioni che va dal peculato – in varie articolazioni – alla corruzione – idem -, dalla malversazione alla indebita percezione di erogazioni, dall’induzione indebita all’istigazione alla corruzione, fino alla turbativa d’asta.E’ ancora necessaria una figura di reato – l’abuso d’ufficio -, immaginata in origine come norma di chiusura? Se l’intento originario era che l’amministratore disonesto e scaltro non strumentalizzasse la sua funzione al di fuori degli schemi normativi codificati, oggi questo rischio non c’è. Vi è anzi il pericolo – la certezza – che la così estesa previsione dell’abuso si presti, per lo meno nella fase iniziale del procedimento penale, a interpretazioni, e quindi a incriminazioni, altrettanto larghe.
E se non vi è il coraggio politico di eliminare dal codice penale la figura dell’abuso – non mancherà mai qualche pierino che all’ipotesi dell’abrogazione griderà che il Parlamento legittima la corruzione – per lo meno si introducano delle rettifiche. Si raccolgano le sollecitazioni provenienti dalla migliore scienza penalistica. Ovvero da fondazioni che hanno studiato la questione: Italiadecide, per es., presieduta dall’on Violante, ha proposto di escludere la responsabilità se la condotta dell’amministratore si è conformata a una sentenza della magistratura ordinaria o amministrativa, o riguardi una scelta discrezionale per un precetto connotato da obiettiva incertezza. E comunque di prevedere, se si procede per abuso d’ufficio e prima dell’iscrizione nel registro degli indagati, che il P.m. ascolti il pubblico ufficiale per comprendere in base a quale valutazione degli interessi concorrenti egli abbia adottato l’atto nell’esercizio della propria discrezionalità (potrebbe accadere che l’amministratore offra al P.m. elementi decisivi di cui il P.m. non disponga).
Quello che non si può fare è mettere da parte la questione: se ne parla da un quarto di secolo, che cosa si deve attendere ancora?

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