Nacque, appunto nella città romagnola, intorno al 1410, secondo una tarda tradizione in seno ad una famiglia nobile. Certamente entrò giovane nell’ordine dei Servi di Maria, per il quale svolse un’intensa attività, acquistando conventi, impegnandosi per la sua riforma nel senso di una più stretta osservanza della regola, ricoprendo cariche ed incarichi particolarmente importanti. Tuttavia ad un certo punto sentì il pericolo di questa vita attiva ed ottenne dal papa Sisto IV [1471-1484] il permesso di ritirarsi, con pochi compagni, a vita solitaria, lasciando la carica di priore del convento di San Marcello a Roma. Il papa, tuttavia, lo autorizzò anche e lo incoraggiò a continuare l’attività di predicatore, nella quale eccelleva. E proprio mentre predicava la Quaresima Bonaventura morì, ad Udine, in età di ottant’anni. Quasi subito cominciò un culto pubblico che fu approvato da Roma nel 1911. Nel 1507 il luogotenente della repubblica di Venezia ad Udine, Andrea Loredan, attribuì la propria guarigione da una grave malattia ad un miracolo di Bonaventura e volle poi riportarne in patria il corpo, che fu collocato nella chiesa dei Servi, da dove poi dovette essere portato via nel 1810 a causa dei provvedimenti antireligiosi di Napoleone [Bonaparte, 1769-1821]. Fu, come si è detto, uno dei grandi predicatori del Quattrocento italiano: sappiamo che svolse questa attività a Venezia, a Brescia, a Firenze, a Bologna, a Perugia mentre vi infuriava la peste. E proprio un cronista perugino dell’epoca ce ne ha lasciato un interessante ritratto, scrivendo che Bonaventura «era piccolo e magro e sparuto de la persona, ma eloquentissimo di scienza; e predicando… notificava a ciascuno che se dovessero confessare e comunicare… E tutto il suo predicare fu de la fede e speranza e carità… e che sovvenissero li poveri bisognosi e gli ammalati». Un suo confratello aggiunge che portava la barba incolta (e veniva chiamato «fra Barbetta»). Scelse come motto mansueti autem haereditabunt terram, «i mansueti erediteranno la terra».
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, pp. 29-30