di Michele Brambilla
I media di ogni orientamento stanno già trasformando l’Udienza generale di Papa Francesco del 2 gennaio (la prima dell’anno nuovo) in un incentivo a non andare in chiesa, dove si troverebbero solo “ipocriti”. In realtà il Papa ha unicamente ripreso il ciclo sul Padre nostro, collocandolo nel complesso del “Discorso della Montagna”, aperto dalle Beatitudini. Solo a partire da queste si può infatti comprendere l’appello morale del Santo Padre.
«Il Vangelo di Matteo colloca», dice il Pontefice, «il testo del “Padre nostro” in un punto strategico, al centro del discorso della montagna (cfr 6,9-13). Intanto osserviamo la scena: Gesù sale sulla collina presso il lago, si mette a sedere; intorno a sé ha la cerchia dei suoi discepoli più intimi, e poi una grande folla di volti anonimi. È questa assemblea eterogenea che riceve per prima la consegna del “Padre nostro”» all’interno di un lungo insegnamento (cfr Mt 5,1-7,27) in cui «l’esordio», le sopracitate Beatitudini, «è come un arco decorato a festa», tramite il quale «Gesù incorona di felicità una serie di categorie di persone che nel suo tempo – ma anche nel nostro! – non erano molto considerate. Beati i poveri, i miti, i misericordiosi, le persone umili di cuore».
Il Vangelo inaugura un’epoca nuova, nella quale, ricorda il Papa, si capovolgono i valori mondani. «Da questo portale d’ingresso, che capovolge i valori della storia, fuoriesce la novità del Vangelo. La Legge non deve essere abolita ma ha bisogno di una nuova interpretazione, che la riconduca al suo senso originario. Se una persona ha il cuore buono, predisposto all’amore, allora comprende che ogni parola di Dio deve essere incarnata fino alle sue ultime conseguenze». Lo sguardo del cristiano quando prega si volge davvero su tutto il mondo. «L’amore non ha confini: si può amare il proprio coniuge, il proprio amico e perfino il proprio nemico con una prospettiva del tutto nuova».
Solo dopo questa premessa si è dunque in grado di comprendere i due moniti che il Pontefice scaglia in coda a tutto il discorso. Prendendo spunto da Mt 6,7-8, Francesco sprona in prima istanza alla coerenza tra preghiera e vita. «C’è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio e lo fanno per essere ammirati dagli uomini». In questa categoria possono essere benissimo ricomprese tutte quelle preghiere pseudo-sociali che, a volte, si trovano persino sul foglietto della Messa e che sono, in realtà, “socialiste”, poiché blandiscono le peggiori unilateralità delle ideologie moderne.
«Poi Gesù prende le distanze dalla preghiera dei pagani: “Non sprecate parole […]: essi credono di venire ascoltati a forza di parole” (Mt 6,7). Qui forse Gesù allude a quella “captatio benevolentiae” che era la necessaria premessa di tante preghiere antiche: la divinità doveva essere in qualche modo ammansita da una lunga serie di lodi, anche di preghiere». I media laicisti hanno subito pensato a un attacco contro le cosiddette “beghine” e di fatto titolato “Meglio essere atei”. In realtà, in questa categoria rientra proprio quel tipo di “preghiera” a loro molto “cara”, quella, si cui sopra, inventate dal clero “progressista” per “arricchire” la pagina “arida”, “dottrinaria” e “astratta” del messale. Rispettare alla lettera le indicazioni della liturgia cattolica è quindi un altro modo per rispettare il precetto evangelico di non sprecare le parole.