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Pregare? Nulla di cui vergognarsi

10 Dicembre 2020 - Autore: Michele Brambilla

La vera illusione è credersi autosufficienti.


di Michele Brambilla

Papa Francesco inizia l’udienza generale del 9 dicembre ricordando che «la preghiera cristiana è pienamente umana – noi preghiamo come persone umane, come quello che siamo -, comprende la lode e la supplica. Infatti, quando Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, lo ha fatto con il “Padre nostro”, affinché ci poniamo con Dio nella relazione di confidenza filiale e gli rivolgiamo tutte le nostre domande». Il fedele sovrappone quindi alle domande “classiche” del Padre nostro i suoi quesiti personali, ma all’interno di un contesto di preghiera che lo unisce istantaneamente al flusso orante che si alza verso il cielo dall’intera Chiesa. Pregare, per l’uomo, è del tutto naturale: «chiedere, supplicare. Questo è molto umano. Ascoltiamo ancora il Catechismo: “Con la preghiera di domanda noi esprimiamo la coscienza della nostra relazione con Dio: in quanto creature, non siamo noi il nostro principio, né siamo padroni delle avversità, né siamo il nostro ultimo fine; anzi, per di più, essendo peccatori, noi, come cristiani, sappiamo che ci allontaniamo dal Padre. La domanda è già un ritorno a Lui” (n. 2629)». Per il peccatore, intonare il Padre nostro è già un passo avanti verso la piena riconciliazione con Dio: «se uno si sente male perché ha fatto delle cose brutte – è un peccatore – quando prega il Padre Nostro già si sta avvicinando al Signore. A volte noi possiamo credere di non aver bisogno di nulla, di bastare a noi stessi e di vivere nell’autosufficienza più completa. A volte succede questo! Ma prima o poi questa illusione svanisce».

Bisogna allora riconoscere che «l’essere umano è un’invocazione, che a volte diventa grido, spesso trattenuto. L’anima assomiglia a una terra arida, assetata, come dice il Salmo (cfr Sal 63,2)», e bisogna darle l’acqua che sazia per sempre (Gv 4,10). «La Bibbia», spiega il Papa, «non si vergogna di mostrare la condizione umana segnata dalla malattia, dalle ingiustizie, dal tradimento degli amici, o dalla minaccia dei nemici. A volte sembra che tutto crolli, che la vita vissuta finora sia stata vana. E in queste situazioni apparentemente senza sbocchi c’è un’unica via di uscita: il grido, la preghiera: “Signore, aiutami!”. La preghiera apre squarci di luce nelle tenebre più fitte». L’uomo è accompagnato nella sua ricerca di Dio da tutto il creato, che geme nell’attesa del compimento definitivo della storia (Rm 8,19-22).

«Dunque, non dobbiamo scandalizzarci se sentiamo il bisogno di pregare, non avere vergogna. E soprattutto quando siamo nella necessità, chiedere», perché la vera illusione è l’autodeterminazione, non la religione. Infatti, «non c’è orante nel Libro dei Salmi che alzi il suo lamento e resti inascoltato. Dio risponde sempre: oggi, domani, ma sempre risponde, in un modo o nell’altro». Il Pontefice rammenta che siamo nel tempo di Avvento: «noi siamo in attesa. Questo si vede bene. Ma anche tutta la nostra vita è in attesa. E la preghiera è in attesa sempre, perché sappiamo che il Signore risponderà. Perfino la morte trema, quando un cristiano prega, perché sa che ogni orante ha un alleato più forte di lei: il Signore Risorto».

Al termine dell’udienza il Papa ripete i suggerimenti della lettera Patris corde, pubblicata il giorno prima: «invochiamo» la protezione di san Giuseppe «sulla Chiesa in questo nostro tempo e impariamo da lui a fare sempre, con umiltà, la volontà di Dio».

Giovedì, 10 dicembre 2020

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