Agostino Carloni, Cristianità n. 418 (2022)
Relazione, rivista e annotata, tenuta in occasione del convegno organizzato il 15 ottobre 2022 a Piacenza da Alleanza Cattolica sul tema I media cattolici oggi. Fra nuova evangelizzazione e trasformazione digitale. È stato mantenuto lo stile del parlato.
Gentili signore e signori, care amiche e cari amici,
grazie per la vostra presenza e per l’attenzione che spero garantirete in un momento della giornata che a Roma nel fine settimana viene dedicato al rito antico e pieno di senso della «pennichella».
Affronteremo il tema di questa tavola rotonda cercando di offrire almeno qualche spunto di riflessione con i relatori che hanno cortesemente onorato Alleanza Cattolica con la loro presenza. Sono tutti impegnati a diverso titolo nella comunicazione della fede e della dottrina della Chiesa con i mezzi di comunicazione, digitali e non, oggi disponibili.
Li ringrazio per aver accettato il nostro invito per la ricorrenza dei cinquant’anni della casa editrice Cristianità e li presenterò quando darò loro la parola.
La domanda di fondo alla quale cercheremo di rispondere insieme è se la crisi nella Chiesa — non della Chiesa, come insegnava il fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni (1938-2020) — si possa affrontare, oltre che con la preghiera e la propria testimonianza, anche con una buona comunicazione.
La crisi nella Chiesa in Occidente è un fatto accertato e testimoniato dai principali indicatori citati da don Carlo Pioppi in un bel volume, fresco di stampa, della Pontificia Università della Santa Croce, che raccoglie fra gli altri anche un intervento di Lorenzo Cantoni, militante di Alleanza Cattolica e coordinatore scientifico di questa giornata (1).
Se consideriamo la percentuale di cattolici in relazione al totale della popolazione, l’analisi dei dati evidenzia come dal dicembre del 1996 al dicembre del 2019 essa sia diminuita in Europa dal 41,4% al 39,6%; in Sudamerica dall’87,3% all’86,5%; in Oceania dal 26,9% al 26,3%. Cresce di poco solo nell’America del Nord.
Questi dati, tutto sommato non drammatici, non fotografano però la reale situazione, che va invece letta esaminando altri indicatori, a cominciare da quello che misura la riduzione del numero di sacerdoti e seminaristi.
Questo decremento in Nord America, Europa e Oceania ha le caratteristiche di una tragica frana. E il futuro non promette di meglio. L’Europa detiene il triste record in materia passando da circa 29.000 a circa 16.000 seminaristi. La situazione si riflette sui religiosi e sulle religiose più o meno nelle stesse proporzioni. Quindi abbiamo sempre meno sacerdoti e sempre più anziani.
Gli altri indicatori, altrettanto importanti, relativi alla partecipazione alla Messa festiva, ai battesimi, alle comunioni, alle cresime e ai matrimoni religiosi riflettono questo sfaldamento.
La crisi nella Chiesa è quindi fotografata da questi numeri, che devono far riflettere ma non disperare.
Se la Cristianità è morta in Europa e nelle sue estensioni continentali (Americhe, Oceania), che la scuola contro-rivoluzionaria chiama Magna Europa (2), è però abbastanza vitale in altre aree, tanto da far sperare come possibile la fondazione di una nuova Cristianità: una fondazione che naturalmente richiederà generazioni di fedeli cattolici pronti alla preghiera, all’azione e al sacrificio.
San Paolo sostiene che «fides ex auditu» (Rm. 10,17), cioè che la fede dipende dalla predicazione. Quindi la comunicazione è elemento centrale e fondamentale della nuova evangelizzazione; sia quella scritta sia quella verbale.
Lo stesso Papa Francesco il 24 maggio del 2021, in occasione della visita al Dicastero per la Comunicazione in occasione dei centosessant’anni anni de L’Osservatore Romano e per i novanta della Radio Vaticana, ha dichiarato: «Grazie a voi per il vostro lavoro, per quello che fate. Io ho soltanto una preoccupazione — ci sono tanti motivi di preoccuparsi per la Radio, per l’Osservatore — ma una che a me tocca tanto il cuore: quanti ascoltano la Radio, e quanti leggono l’Osservatore Romano? Perché il nostro lavoro è per arrivare alla gente: che quello che si lavora qui, che è bello, è grande, è faticoso, arrivi alla gente, sia con le traduzioni, sia anche con le onde corte, come lei ha detto… La domanda che voi vi dovete fare è: “Quanti? A quanti arriva?”, perché c’è il pericolo — per tutte le organizzazioni — il pericolo di una bella organizzazione, un bel lavoro, ma che non arrivi dove deve arrivare… Un po’ come il racconto del parto del topo: la montagna che partorisce il topolino… Tutti i giorni fatevi questa domanda: a quanta gente arriviamo? A quanti arriva il messaggio di Gesù tramite “L’Osservatore Romano”? Questo è molto importante, molto importante!» (3).
Una domanda legittima e piena di concretezza, che coglie nel segno l’esistenza di un problema di visibilità e di efficacia nella comunicazione della Chiesa cattolica.
A dimostrarlo vi sono i dati citati da Greg Erlandson, direttore del Catholic News Service: «[L’Osservatore Romano] è pubblicato in numerose lingue e in molti Paesi, ma in tutto ha 40.000 abbonati. The New York Times ha 833.000 abbonati alla carta stampata e più di 5 milioni di sottoscrittori di abbonamenti digitali» (4). Una sproporzione enorme, a tutto vantaggio del pensiero woke e della cancel culture, alla quale proveremo a dare una spiegazione.
Qualcosa evidentemente nel mondo cattolico non funziona se è vero, come è vero, che di fedeli se ne vedono sempre meno in chiesa e quelli che la frequentano spesso sono confusi sulla dottrina e sulle verità della fede e della morale.
Da comunicatore penso che i cattolici abbiano perso la capacità di trasmettere la voce di Nostro Signore Gesù Cristo. E quando dico cattolici non mi riferisco agli altri, ma prendo in considerazione innanzitutto me stesso chiedendomi se davvero io proclami la verità integrale della fede o se invece mi adegui talvolta al «politicamente corretto» per non mettere a rischio la reputazione, oggi così importante nella narrativa mondana della vita, o lo status professionale.
E mi domando se sarei capace di testimoniare Cristo se abitassi in uno dei Paesi, islamici o non, in cui i cristiani sono perseguitati, incarcerati, martirizzati. Sono domande che riguardano innanzitutto me, ma credo valgano per tutti noi. La Chiesa, per colpa di molti cattolici, a cominciare da non pochi vescovi e sacerdoti, ma senza escludere noi laici, sembra afona e non più in grado di accendere i cuori delle persone con il linguaggio che san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716) usa nella sua famosa Preghiera infocata, quando per esempio dice: «Ricordati, Signore Gesù, della tua comunità! […] Che cosa ti chiedo? Liberos! […] Uomini totalmente dedicati a te per amore e disponibili al tuo volere, uomini secondo il tuo cuore. Non deviati né trattenuti da progetti propri, realizzino tutti i tuoi disegni e abbattano tutti i tuoi nemici, come novelli Davide con in mano il bastone della Croce e la fionda del Rosario».
Sappiamo che la Chiesa opera misteriosamente e misteriosamente continua a convertire nonostante le fragilità dei suoi uomini, che usano oggi un linguaggio ben diverso da quello di san Luigi Maria. Un linguaggio permeato di un vacuo sentimentalismo, incapace di fare innamorare chi lo ascolta della bellezza senza fine di Dio e della Chiesa sua sposa.
Una sorta di «neolingua», l’«ecclesialese», insapore e incolore, spesso alla ricerca di un vergognoso compromesso — assolutamente impossibile — sui princìpi, con la cultura rivoluzionaria del relativismo nichilista, che propone la cancellazione per decreto del diritto alla vita dal concepimento alla sua fine naturale e che nega Dio nei fatti e con le leggi.
Un linguaggio morbido, accomodante, senza nerbo, senza passione e senza fede, che riempie pagine di documenti ecclesiali, con contenuti che risentono spesso della interpretazione mediatica del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), che vedeva e vede nel Concilio una rottura con il magistero e la dottrina precedenti della Chiesa. Il contrario della «“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa», di cui parlò con chiarezza Papa Benedetto XVI (2005-2013) in occasione della presentazione degli auguri natalizi alla Curia romana il 22 dicembre 2005.
Quindi, manca sostanzialmente come primo elemento di risposta il «sì sì no no» evangelico, senza letture mondane e non inclini ad accogliere il relativismo diffuso. Un «sì sì, no no» che va naturalmente declinato, perché sia compreso dagli uomini e dalle donne di oggi, proponendo la Verità con la dolcezza necessaria, nel rispetto ovvio e convinto del prossimo a cui ci si rivolge. La conversione passa infatti attraverso la parola di verità comunicata con carità.
Ma manca anche — e soprattutto — la voglia di leggere e di seguire Pietro. Perché altrimenti non si capirebbe, umanamente parlando, come tre Pontefici santi — Giovanni XXIII (1958-1963), Paolo VI (1963-1978) e Giovanni Paolo II (1978-2005) —, succedutisi nella seconda metà del secolo scorso, non siano riusciti ad arrestare il declino e la crisi nella Chiesa; almeno finora, perché quanto seminato fruttificherà di certo quando Dio vorrà.
La crisi ha radici lontane, che datano almeno dalla rivoluzione luterana del 1517 e che Papa Paolo VI denunciò dapprima nel 1968, quando parlò di «taluni che si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione» (5), e successivamente nel 1972, quando dichiarò di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio» (6).
Papa Francesco nei suoi Angelus e nelle udienze del mercoledì fa continui richiami al demonio, alla necessità di tutelare con coraggio la vita nascente e quella morente dall’aborto e dall’eutanasia e di proteggere i bambini e la società dalla cultura gender, definita senza mezzi termini come una «colonizzazione ideologica» (7).
Quali sono gli effetti della predicazione del Pontefice sui sacerdoti impegnati nelle omelie? In genere pochi.
I sempre meno numerosi habitué della Santa Messa si trovano così ad ascoltare parole senza il fuoco dell’amore per Cristo che i santi Papi citati diffondevano e hanno continuato a diffondere fino a oggi a vantaggio della fede e del popolo cristiano.
A me pare — prima di passare la parola ai nostri relatori — che i problemi siano quindi due.
Il primo è quello del linguaggio, che ha perso quella freschezza, quella vitalità e quella passione di cui si avverte sempre più il bisogno; e il secondo è quello di contenuti che spesso «pescano» nella sloganistica del politicamente corretto, nichilista e relativista; una rincorsa vera e propria alle logiche del mondo che esclude la verità e la bellezza della dottrina della Chiesa e del magistero pontificio, passato e presente.
E mi sembra, per chiudere questa introduzione, che sempre di più si debba seguire la lezione di san Giovanni Maria Vianney (1786-1859), il santo Curato d’Ars. A confessarsi e ad ascoltare le sue prediche arrivavano un po’ da tutte le parti, gente semplice e personaggi importanti. Nel 1845 vi andò anche il padre domenicano Jean-Baptiste Henri Lacordaire (1802-1861), brillante conferenziere nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Dopo aver partecipato a una messa in cui il curato aveva parlato dello Spirito Santo, confessò: «Vorrei predicare come lui. […] la gente si arrampica sui confessionali per sentirmi. Qui ad Ars, chi ascolta i balbettamenti di questo prete, nei confessionali ci va per inginocchiarsi» (8).
Ecco, vescovi, sacerdoti e noi laici dovremmo davvero capire la lezione del santo Curato d’Ars. La comunicazione della fede è davvero efficace e duratura solo se parte dal cuore innamorato di Nostro Signore Gesù Cristo.
Agostino Carloni
Note:
1) Cfr. Carlo Pioppi, Catholicism at the Turn of the Millennium. Legacy and Horizons (1996-2021), in Gema Bellido (a cura di), A Church in Dialogue. The Art and Science of Church Communication. 25 Years at the Pontifical University of the Holy Cross, EDUSC, Roma 2022, pp. 71-84.
2) Cfr. Giovanni Cantoni e Francesco Pappalardo (a cura di), Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, 1a rist corretta, D’Ettoris, Crotone 2007.
3) Francesco, Discorso in occasione della visita alla comunità di lavoro del Dicastero per la Comunicazione, del 24-5-2021.
4) Greg Erlandson, At a crossroads: Catholic media today, in G. Bellido (a cura di), op. cit.,pp. 381-392 (p. 381).
5) Paolo VI, Allocuzione agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, del 7 dicembre 1968, in Insegnamenti, 16 voll., Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1965-1979, vol. VI, 1968, p. 1.188 (sintesi con citazioni testuali).
6) Idem, Omelia nel corso della Santa Messa celebrata in occasione del IX anniversario dell’incoronazione, nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, del 29 giugno 1972, nel sito web <https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1972/documents/hf_p-vi_hom_19720629.html> (sintesi con citazioni testuali).
7) Francesco, No alle colonizzazioni ideologiche, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, del 21-11-2017, in L’Osservatore Romano. Quotidiano Politico religioso, 22-11-2017.
8) Il Vangelo del Curato d’Ars, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2009, pp. 10-11.