Di Matteo Castellucci da Il Corriere della Sera del 20/&02/2024
Infuria la guerra civile spagnola. La Penisola iberica è un nido di spie: la battono i Servizi di Paesi neutrali, come il Regno Unito, e quelli che lo sono solo per finta, come la Germania nazista che fiancheggia i franchisti. I conflitti sono un contesto pericoloso per le opere d’arte: per secoli, in Europa, hanno «viaggiato» insieme agli eserciti, vincitori o vinti. Tra spoliazioni, razzie o le vendette di un’armata in rotta. Vale lo stesso discorso per le reliquie. Sabina Suey è la donna delle pulizie della cattedrale di Valencia. La qualifica professionale è riduttiva, capirete perché.
Teme che qualche formazione militare possa rubare il Santo Cáliz, che poi sarebbe il Santo Graal, cioè il calice utilizzato da Gesù Cristo durante l’Ultima cena. È una specifica contesa, vista la decina di località che, anche a scopi turistici, vantano di ospitare la «vera» coppa. Questa, nella fattispecie, si trova a Valencia dal 1424 e ai tempi di Suey nessuna trasmissione televisiva con la fissa dei templari ha monetizzato sulla leggenda (anche perché la tv è un’invenzione relativamente recente) . Al di là delle tradizioni, il manufatto ha comunque un inestimabile valore storico.
La vicenda, in Spagna, è nota. Suey è preoccupata, nel 1936 decide di trafugare il Cáliz e nasconderlo in casa sua. Abita a 200 metri dalla cattedrale, che lo custodisce dal 1916. C’è la complicità del canonico: avvolge nel cotone la reliquia, la ripone in una scatola di scarpe e la copre di carta di giornale. Occultata tra le molle di un vecchio divano, sarà poi trasferita fuori città, a Carlet, a una trentina di chilometri da Valencia. Ora c’è un nuovo dettaglio: secondo le ricerche preparatorie per una mostra su quei giorni convulsi e sul ruolo della donna, Suey è stata contattata dai servizi segreti inglesi.
Colpo di scena. Stando ai documenti — ha anticipato la curatrice Ana Mafé García alla radio Cadena Ser, la storia è stata ripresa dal Times di Londra — l’MI6 le propone un salvacondotto. Le offrono una via di fuga, via nave. La prospettiva, in termini bellici, è esfiltrare lei e la sua famiglia nel Regno Unito, lontano dalla guerra fratricida. In cambio, però, Suey deve portare con sé il calice, e consegnarlo ai Servizi. Lei ci riflette, ma alla fine preferisce non fidarsi. Resta in patria e il tesoro, nel 1939, tornerà al suo posto, per non lasciarlo più.
Secondo le ricostruzioni, gli inglesi non avevano secondi fini: temevano, a loro volta, che il Santo Cáliz potesse finire sul mercato nero, come numerosi altri reperti. A seconda delle interpretazioni, scorrendo le lettere e le annotazioni, anche Suey sembra una spia, o muoversi come tale, al centro di una rete di contatti che delinea un «piano» per proteggere la reliquia. Un trasferimento all’estero, tra l’altro, avrebbe rischiato di danneggiare la coppa intagliata nel calcedonio (una gemma). Durante la Guerra civil, più di 200 — altre — opere d’arte sono state sottratte alla cattedrale, incendiata e trasformata in un magazzino. Si sono perse le loro tracce.