Questa l’immagine che Michelangelo Merisi ci consegna di san Matteo nella celebre tela di S. Luigi dei Francesi
di Michele Brambilla
Michelangelo Merisi (1571-1610), detto Caravaggio, ricevette nel 1597 l’incarico di dipingere un ciclo su san Matteo nella Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi. Il Caravaggio progettò di dipingere alcuni episodi significativi della vita dell’apostolo ed evangelista: la vocazione, la stesura del suo Vangelo, il martirio.
Per il martirio si ispirò alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1230-1298), secondo la quale san Matteo morì martire in Etiopia perché si oppose al re Irtaco, che voleva obbligare una nipote cristiana a desistere dal suo voto di castità. Il martirio sarebbe avvenuto durante la Messa, trasformando l’apostolo Matteo nel primo sacerdote (in questo caso addirittura vescovo) ucciso sull’altare.
La tela del Martirio di san Matteo si trova sulla parete destra della cappella ed è di grande impatto visivo. L’occhio è subito conquistato dal gioco delle luci che illuminano il turbinìo che si crea attorno alla scena principale. Al centro vediamo, infatti, l’apostolo, rivestito dei paramenti sacri tridentini (non sfugga la bellissima pianeta verde, con croce dorata) e riverso sul pavimento, mentre il braccio sinistro è bloccato dall’aguzzino, in piena luce, che brandisce già la spada fatale e lo guarda dall’alto in basso.
Lo spazio in cui si muovono i personaggi è molto ridotto: dietro san Matteo si intravede la mensa dell’altare, con paliotto, tovaglia e candelieri (la croce d’altare è coperta dall’angelo che, su una nuvola, protende al santo la palma del martirio), mentre il braccio libero sembra specchiarsi nell’acqua della vasca battesimale, attorno alla quale fuggono spaventati il chierichetto (in toga) e i catecumeni, sorpresi dall’irruzione dell’assassino nell’atto di entrare in acqua, nonché gli astanti, in abito rinascimentale. Sembra quasi una rissa di strada, una delle tante della Roma cinquecentesca, di cui era spesso protagonista lo stesso Merisi, che infatti inserisce il suo autoritratto nel volto che spunta immediatamente a sinistra dell’aguzzino, ma la vicinanza voluta tra il battistero e l’altare riporta subito la nostra attenzione su quello che è essenziale: i Sacramenti che “fanno” il cattolico e lo rendono, se necessità obbliga, pronto anche a dare la vita per Gesù.
Questo, infatti, interessa al pittore: mostrare il martirio come “chiamata nella chiamata” battesimale. San Matteo non guarda l’assassino urlante, ma l’angelo: non la transitoria arroganza del mondo, ma l’eternità delle promesse di Dio. Prete (vescovo) fino alla fine, muore con le vesti sacerdotali e nell’atto di compiere il proprio dovere sacramentale.
Se si guarda l’unico catecumeno sulla sinistra della tela, noteremo come la sua posa permetta di misurare la larghezza della vasca del battistero. Caravaggio vuole che lo osserviamo per calcolare i tre passi che ogni catecumeno paleocristiano doveva compiere per scendere nell’acqua invocando la SS. Trinità. A Roma il pittore poteva osservare questo particolare architettonico nel Battistero di San Giovanni in Laterano, dove una balaustra marmorea ripercorre tutt’ora il perimetro della vasca originaria, raggiungibile tramite un cancelletto in legno e una piccola scalinata che permette di fare, appunto, i tre passi rituali.
Sabato, 21 settembre 2024