Michele Vietti, Cristianità n. 136-137 (1986)
Polemiche, situazioni nazionali ed estere e parametri dottrinali nella prospettiva di un nuovo assetto dell’istruzione.
Per una battaglia di grande rilevanza
Princìpi e informazioni su educazione, scuola e libertà
1. La proposta dell’on. Claudio Martelli circa il «buonoscuola» (1) ha innescato un intenso dibattito sulla scuola italiana.
Ogni riflessione sulla scuola rimanda a una concezione di educazione che ne costituisce presupposto e che la condiziona.
2. L’educazione è l’operazione attraverso cui i «piccoli barbari» che a ogni generazione assalgono la società (2) vengono filtrati e inciviliti trasmettendo loro il «progresso», ossia ciò che è stato definitivamente conquistato o riconquistato sul piano naturale e ricevuto su quello soprannaturale (3).
L’educazione – con buona pace di Jean-Jacques Rousseau – è perciò necessaria perché il «piccolo barbaro» ha davanti a sé la sola alternativa di diventare civile ricevendo la trasmissione del progresso, la tradizione, oppure di inselvatichire e di degradarsi in selvaggio.
L’alternativa del «piccolo barbaro» è la stessa alternativa della società che, lungi dall’essere predestinata al progresso o alla decadenza, si predispone, attraverso gli strumenti dell’educazione, le condizioni della propria «conferma nella civiltà» (4).
3. Il compito educativo grava in modo primario sui genitori, in forza della responsabilità che deriva loro dall’avere trasmesso la vita ai figli: i genitori «hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita» (5).
La famiglia è, dunque, la prima scuola di virtù sociale, dove i figli imparano ad amare Dio e il prossimo, fanno le prime esperienze di una sana società umana e sono gradualmente introdotti nel consorzio civile e nella Chiesa.
4. Il compito educativo può – e di fatto, normalmente, deve – essere in parte delegato dai genitori a terzi che, singoli o associati, si fanno carico della istruzione e della formazione dei giovani.
5. Il compito educativo richiede pure l’aiuto di tutta la società. Anche lo Stato, in quanto espressione organizzata della società e garante del bene comune temporale, deve favorire l’educazione.
Ciò deve fare anzitutto riconoscendo i doveri e i diritti dei genitori e di chi svolge attività educativa e dando loro aiuto perché essi possano svolgere bene il loro compito; in base al principio di sussidiarietà, dove manchi l’iniziativa dei genitori e di altre società educative lo Stato deve svolgere l’opera educativa, rispettando ovviamente i desideri dei genitori (6).
6. Quanto esposto comporta conseguenze rilevanti sul piano della scelta della scuola, che tra tutti gli strumenti educativi riveste un’importanza fondamentale.
I genitori, in forza della loro natura di primi educatori, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola.
Lo Stato deve garantire che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in modo che i genitori possano scegliere la scuola in piena libertà e coscienza (7).
I genitori hanno il diritto di esigere che l’educazione impartita dalla scuola sia conforme ai proprî princìpi: l’educazione non è un vaso vuoto.
«L’educazione è […] il processo attraverso il quale la persona sviluppa la vera forma del suo essere come uomo. Il risultato di questo processo è detto cultura» (8).
Tale processo si compie mediante la trasmissione da maestro ad alunno di informazioni orientate secondo valori: «un maestro e un sistema scolastico, mentre cercano di adattarsi continuamente al nuovo, devono affermare e salvaguardare il significato e l’importanza delle verità e dei valori perenni» (9).
Se pure lo Stato può legittimamente rivendicare a sé il diritto di esigere che ogni scuola impartisca un nucleo di informazioni giudicate indispensabili per la comune convivenza e per assicurare un minimo livello di istruzione, solo i genitori hanno il diritto di scegliere i valori che rappresentano il quadro di riferimento e di orientamento di ogni informazione, «valori solidi e duraturi che possano dare significato e scopo alla […] vita [dei loro figli e costituire] […] un terreno solido, un punto elevato su cui attestarsi […] una direzione di marcia, una meta che dia senso e finalità alla […] vita» (10).
7. La situazione della scuola nei paesi dell’Occidente si atteggia in maniera più o meno rispondente ai suesposti princìpi (11).
a. In Austria scuola di Stato o scuola non di Stato – ma di diritto pubblico – convivono armoniosamente e lo Stato paga per intero gli stipendi degli insegnanti delle scuole cattoliche, i libri di testo e i trasporti.
b. In Belgio la scuola di Stato conta 430 mila studenti; le scuole provinciali e comunali – per lo più elementari cattoliche sovvenzionate dallo Stato – 560 mila studenti; le scuole libere un milione e 200 mila studenti e sono sovvenzionate dallo Stato: il 60% degli studenti frequenta perciò la scuola non statale, che è quasi al 100°/o confessionale cattolica.
Vige una grande autonomia delle scuole non statali nei programmi e nei metodi di insegnamento. La creazione di scuole non statali non è sottomessa a nessuna autorizzazione. I genitori della scuola libera possono assumere o licenziare il loro personale.
c. In Danimarca esistono scuole comunali o statali e scuole libere, laiche o confessionali, sovvenzionate dai comuni per circa l’85% delle spese, ma autonome nell’organizzazione e sotto il profilo pedagogico.
d. In Francia la legge Debré contempla per la scuola libera la possibilità di ottenere dallo Stato – attraverso il cosiddetto contratto semplice – il pagamento degli insegnanti mantenendo larga autonomia.
e. In Germania la scuola dipende dai Lander. Le sovvenzioni alle scuole non statali comprendono circa l’85% degli stipendi agli insegnanti, il 90% dell’onere pensionistico, il 100% della manutenzione degli immobili. Le scuole materne sono gestite da comuni, chiese e privati.
f. In Gran Bretagna vi sono scuole di contea interamente finanziate da fondi pubblici delle autorità locali; scuole libere dipendenti da un’organizzazione privata, per lo più confessionale, le cui spese di funzionamento sono a carico dell’autorità locale dell’educazione; scuole private non finanziate altamente selettive, che mettono a disposizione borse di studio.
Le scuole godono di ampia autonomia di programmi e di metodi: non esiste centralizzazione scolastica e sono rispettate le realtà locali in campo educativo; non vi sono programmi governativi, ma scelti dai presidi e dai genitori.
g. In Irlanda la quasi totalità delle scuole è gestita da istituzioni confessionali e sovvenzionate dallo Stato; anche la scuola di Stato è spesso gestita da congregazioni religiose.
h. In Olanda la scuola libera rappresenta il 70% della popolazione scolastica ed è interamente finanziata dallo Stato.
i. In Spagna il 42% dei giovani è educato in scuole non statali, di cui il 25% in istituti religiosi. Il governo dovrebbe garantire la gratuità assoluta dell’educazione di base e della formazione professionale per mezzo di una quota-alunno pari al costo, almeno, della corrispondente scuola statale.
Le sovvenzioni pubbliche variano, a seconda del tipo di scuola, dal 70% al 100%. La combattiva Associazione Genitori, guidata dalla signora De Alvear, si batte contro i tentativi del governo socialista di ridurre lo spazio e l’influenza della scuola libera.
l. In Svizzera la scuola è decentrata per cantoni e la politica scolastica dipende da quelli, non esistendo neppure un ministero della Pubblica Istruzione.
m. Negli Stati Uniti libertà di scelta della scuola e libertà di insegnamento sono totali.
8. In Italia la storia della scuola va di pari passo con la storia politica e sociale della nazione: il nuovo Stato italiano sopprime le strutture scolastiche degli Stati preunitari, quasi tutte gestite dalla Chiesa, e le sostituisce con un’organizzazione scolastica rigidamente accentrata, uniforme e burocratica, con l’intento di imporre, dal Tirolo alla Sicilia, un identico modello educativo conforme all’ideologia dei gruppi sociali politicamente vincitori nella guerra per l’Unità, ispirata al liberalismo illuminista e laicista (12).
Il centralismo burocratico di ispirazione napoleonica viene applicato all’insegnamento così come alla pubblica amministrazione: la struttura ministro-prefetti-sindaci, creata per imporre l’uniformità politico-amministrativa, si riproduce nella struttura ministro-provveditori-presidi-direttori, creata per garantire l’uniformità educativa.
Muoiono così le tradizioni locali, le specificità, le autonomie, espunte dai programmi ministeriali a favore di una lettura della storia, della filosofia, della letteratura «unitaria», cioè unilaterale, laicista, positivista, statalista.
Lo stesso on. Claudio Martelli, mentre ne invoca il superamento, riconosce l’influenza enorme che ha avuto la scuola unitaria statale «in un neonato Stato unitario che minoranze nobilissime fecero […] imponendosi alla riluttante parte cattolica» (13).
Tale «parte cattolica» – secondo Claudio Martelli – ormai può essere emancipata, non essendo più pericolosa in quanto avrebbe accettato le regole del gioco (14). Norberto Bobbio – che una recente polemica giornalistica ha visto contrapporsi al vicesegretario socialista proprio su questo tema – ritiene invece che i cattolici vadano mantenuti in condizioni di minorità, poiché ne sospetta la perdurante pericolosità per lo Stato (15).
Il fascismo non ha difficoltà a utilizzare la macchina scolastica così predisposta per diffondere la propria ideologia, accentuando l’impronta statalista e idealista dei programmi e dei metodi.
Il concordato dal 1929 concede alle istituzioni scolastiche religiose sopravvissute di ottenere il riconoscimento legale, cioè l’idoneità di sottoporsi a controlli statali e di uniformarsi supinamente quanto a programmi, a metodi, a orari e a organizzazione al modello imposto dallo Stato alle proprie scuole. Solo l’onere finanziario resta tutto a carico degli istituti e delle famiglie.
Così, accanto alla scuola statale di serie A si configura una scuola non statale di serie B, privata della originalità e specificità che poteva a essa provenire da secolari tradizioni pedagogiche e culturali, soggetta in tutto al controllo degli ispettori ministeriali, materialmente condizionata nella scelta degli alunni.
Tale situazione rimane immutata in regime democratico.
Negli anni successivi al 1968 è ancora la macchina dell’educazione statale così congegnata che consente l’imposizione della cultura marxista rivoluzionaria come cultura dominante.
9. Oggi, in una situazione di riflusso, priva di sollecitazioni ideologiche, la «macchina» pare non trasmettere più nulla: in realtà si fa tramite dell’edonismo materialistico e dell’indifferenza ai valori, che costituiscono la mentalità dominante.
Il giovane, sottoposto a una enorme quantità di stimoli lanciati dalla società consumistica cui è sottesa una concezione della vita che egli ignora, finisce per apprendere valutazioni settoriali, ignorando le premesse che le fondano e le giustificano: diviene un eterodiretto, in bilico fra l’apatia senza speranza e lo spregiudicato farsi strada a ogni costo (16).
Priva di contenuti, la «macchina» sopravvive nella sua dimensione burocratica (17): 12 milioni di utenti-studenti, un milione e 220 mila insegnanti, 30 mila miliardi di spesa, la pretesa di organizzare da un unico ministero elefantiaco aule, programmi, corsi, attività integrative dalle materne all’università in tutta Italia.
L’esito è un generale senso di crisi: l’Italia detiene l’indice più negativo in eccesso del rapporto insegnanti-studenti e il più negativo per difetto del rapporto studenti-laureati; gran parte «del corpo insegnante subisce lo scambio tra inamovibilità e incontrollabilità, tra bassi salari e bassa produttività. Quest’ultima […] è di 1/3 inferiore alla produttività dell’industria e dei servizi. Tra gli insegnanti c’è la massima concentrazione di doppi e tripli lavori […] le singole unità scolastiche non hanno autonomia […] sono soggette al vincolo di un’uniformità opprimente» (18).
Famiglie, studenti, insegnanti lamentano l’assenza della scuola come luogo educativo, comunità educante giorno per giorno, e denunciano una scuola ridotta a «macchina» per dare stipendi e titoli svalutati.
10. Se questo è il quadro, la via d’uscita non può essere solo trovata sul piano economico: non basta che le scuole non statali ottengano i finanziamenti per diventare «paritarie» rispetto a quelle statali, se ciò significa uniformare ancora di più. Occorre porsi in una prospettiva di ribaltamento del quadro: l’educazione non deve essere monopolio dello Stato e perciò non ha senso che lo Stato mantenga un apparato burocratico con cui gestire il 90% degli studenti, soffocando ogni iniziativa alternativa.
Lo Stato deve rinunciare al monopolio dell’educazione, riconoscere alle famiglie la libertà di scegliere la scuola per i propri figli e a chi vuole proporre un progetto educativo la libertà di istituire scuole; gestire poi, ove necessario, le proprie scuole senza opprimerle con l’uniformità burocratica, ma riconoscendo alle unità scolastiche tutta l’autonomia possibile.
Si deve affermare, insomma, che la scuola, da chiunque gestita, è servizio pubblico e non monopolio di Stato.
La battaglia per la libertà di educazione ha ricevuto il conforto del recentissimo Magistero che sul punto così si è espresso: «Il compito educativo appartiene fondamentalmente e prioritariamente alla famiglia. La funzione dello Stato è sussidiaria: il suo ruolo consiste nel garantire, proteggere, promuovere e supplire. Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia. È ai genitori che spetta il diritto di scegliere la scuola, a cui mandare i propri figli, e di creare e sostenere dei centri educativi in sintonia con le loro proprie convinzioni. Lo Stato non può, senza commettere un ’ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente» (19).
Michele Vietti
Note:
(1) Nel corso del suo intervento alla convenzione dei giovani socialisti Rifare la scuola, tenutasi a Roma il 22 e il 23 febbraio 1986, l’on. Claudio Martelli ha proposto che lo Stato fornisca «a ciascuno studente un buono-studio da spendere presso l’Istituzione scolastica prescelta»: «se anziché il 90% di scuole pubbliche che funzionano male […] avessimo solo il 50% di scuole pubbliche, ma ben amministrate ed efficienti, e il 50% di scuole private, libere e confessionali organizzate con larghe autonomie […] tutto sarebbe più facile» (La scuola è tutta ingessata, è necessaria l’«autoriforma», in Avanti!, 25-2-1986).
(2) Cfr. FRÉDÉRIC LE PLAY, Textes choisis, a cura di Louis Baudin, Dalloz, Parigi 1947, pp. 79-82.
(3) Cfr. JOSEPH DE MAISTRE, Le serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza, trad. it., 2ª ed., Rusconi, Milano 1986, p. 85.
(4) GIOVANNI CANTONI, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980, p. 153.
(5) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, n. 3.
(6) Cfr. ibidem.
(7) Cfr. IDEM, Dichiarazione sulla libertà religiosa. Il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa Dignitatis humanae, n. 5: «Ad ogni famiglia, in quanto è società che gode di un diritto proprio e primordiale, compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa e domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi dal potere civile deve essere riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione, e per tale libertà di scelta non devono essere loro imposti, né direttamente né indirettamente, oneri ingiusti». Cfr. pure GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle scuole di Roma e del Lazio aderenti alla Federazione Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica (FIDAE), dell’8-3-1986, in L’Osservatore Romano, 9-3-1986: «Occorre che sia garantito alle famiglie cristiane il diritto di godere, senza discriminazione alcuna da parte dei pubblici poteri, della libertà di scelta per i figli di una scuola che sia confacente con le proprie convinzioni, senza che questa scelta comporti sforzi economici troppo gravosi».
(8) GIOVANNI PAOLO II, Messaggio alla Conferenza Nazionale Indiana sulla cultura, del 9-3-1986, in L’Osservatore Romano, 12-3-1986.
(9) IDEM, Discorso agli educatori cattolici in Canada, del 12-10-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 2, p. 475.
(10) Ibid., p. 477.
(11) Per le informazioni che seguono, cfr. MARIO MACCHI, Libertà di educazione nell’Europa democratica, Raggio di Sole, Sanremo 1985.
(12) La politica scolastica dello Stato unitario è in realtà direttamente ispirata dalla massoneria, che annovera tra i suoi membri «i più tenaci aperti sostenitori dell’istruzione popolare» e «i provvedimenti legislativi volti a darle maggiore estensione ed efficacia portano i nomi dei massoni Coppino, Orlando, Daneo, Credaro» (TINA TOMASI, Massoneria e scuola dall’unità ai nostri giorni, Vallecchi, Firenze 1980, p. 187).
(13) C. MARTELLI, Questa scuola sta andando in malora, in la Repubblica, 9/10-3-1986.
(14) «Oggi […] laici e credenti condividono una concezione della libertà più empirica e concreta che si rinnova nella responsabilità e nella autonomia delle scelte individuali, che si organizza in una pluralità di chances di vita e anche di scuole, che sa pensare anche economicamente la scuola perché la riconosce non strumento di una ideologia particolare […] ma […] come investimento comune e come investimento individuale in termini di sapere, di cittadinanza consapevole, di opportunità di lavoro, di carriera e di stato sociale» (C. MARTELLI, Il laicismo 100 anni dopo, in La Stampa, 9-3-1986).
(15) «Nella società italiana. dove la religione cattolica è predominante, la libertà della scuola non può avere altra conseguenza, come del resto è avvenuto sinora, che la istituzione quasi esclusiva di scuole cattoliche. E pertanto la libertà nella scuola può essere garantita soltanto nelle scuole di Stato» (NORBERTO BOBBIO, «Laici» e no, in La Stampa, 11-3-1986); dove la consequenzialità di quel «pertanto» si spiega solo con la logica laicista di chi scrive.
(16) Cfr. AUGUSTO DEL NOCE, Profonde ragioni «laiche» esigono la pluralità delle scuole. Nota introduttiva agli atti del convegno di studio Non di sole aule vive la scuola. Verso una scuola pubblica. Roma sabato 14 dicembre 1985, in Libertà di Educazione, anno X, n. 2, marzo-aprile 1986, pp. 2-4.
(17) Il quadro della scuola italiana che segue è tratto quasi testualmente da C. MARTELLI, Questa scuola sta andando in malora, cit.
(18) Ibidem.
(19) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», del 22-3-1986, n. 94.