di Michele Brambilla
L’udienza generale del 1° aprile, tenuta da Papa Francesco in collegamento streaming dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico a causa del perdurare dell’emergenza coronavirus, è seguita come sempre in tutto il mondo. Tuttavia il Pontefice riserva un saluto speciale ai ragazzi di terza media dell’arcidiocesi di Milano. Dice infatti: «il mio pensiero va, in particolare, ai gruppi che da tempo si erano prenotati per essere presenti oggi. Tra questi, i ragazzi della professione di fede della Diocesi di Milano, collegati a questo incontro tramite i mezzi di comunicazione sociale» su invito della Fondazione Oratori Milanesi.
È anche e soprattutto per loro che il Papa illustra la sesta Beatitudine (Mt 5,8), «[…] che promette la visione di Dio e ha come condizione la purezza del cuore. Dice», infatti, «un Salmo: “Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27,8-9)». Francesco cita anche il Libro di Giobbe: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42,5).
Il Santo Padre chiede allora a tutti gli interlocutori virtuali: «come arrivare a questa intimità, a conoscere Dio con gli occhi? Si può pensare ai discepoli di Emmaus, per esempio, che hanno il Signore Gesù accanto a sé, “ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (Lc 24,16)» perché ancora profondamente turbati dagli avvenimenti della Passione, di cui erano stati testimoni oculari. Alla delusione per la fine “ingloriosa” del grande rabbi si aggiungeva una radicale incomprensione delle profezie della Scrittura, che annunciavano chiaramente i patimenti del Messia. «Per vedere Dio», sentenzia allora il Papa, «non serve cambiare occhiali o punto di osservazione, o cambiare autori teologici che insegnino il cammino: bisogna liberare il cuore dai suoi inganni», che si condensano in un’attenzione eccessiva nei confronti dei giudizi e delle preoccupazioni che instilla la mentalità mondana. «Questa è una maturazione decisiva: quando ci rendiamo conto che il nostro peggior nemico, spesso, è nascosto nel nostro cuore. La battaglia più nobile è quella contro gli inganni interiori che generano i nostri peccati. Perché i peccati cambiano la visione interiore, cambiano la valutazione delle cose, fanno vedere cose che non sono vere» o che lo sono solo in parte.
Per la cultura ebraica il cuore è la sede di tutte le facoltà interiori: avere il cuore “puro” significa, afferma il Pontefice, mettere al centro il Signore. «Il puro di cuore» è quindi chi «vive alla presenza del Signore, conservando nel cuore quel che è degno della relazione con Lui; solo così possiede una vita “unificata”, lineare, non tortuosa ma semplice», frutto di un continuo discernimento. «Ecco, attraverso questo cammino del cuore, arriviamo a “vedere Dio”». Nel corso della vita terrena possiamo già «[…] intendere i disegni della Provvidenza in quel che ci accade, riconoscere la sua presenza nei Sacramenti, la sua presenza nei fratelli, soprattutto poveri e sofferenti, e riconoscerlo dove Lui si manifesta (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2519)», nell’attesa di raggiungere la visio beatifica perfetta in Paradiso.
Giovedì, 2 aprile 2020