
Da Libero del 22/05/2018. Foto da leggo.it
Tutta Damasco è tornata sotto il pieno controllo di Bashar Assad, dopo circa sette anni dall’inizio dell’insurrezione armata anti-siriana. Una trentina di bus carichi di jihadisti con le loro famiglie hanno lasciato la capitale fra domenica e ieri, diretti verso l’area desertica vicino a Palmira, dove l’Isis si riorganizza lontano dai centri urbani della Siria occidentale.
Ormai, per combattere quell’ombra residuale del Califfato, non servono più nemmeno gli hezbollah iraniani. Lo suggerisce soprattutto la Russia, che preme per il ritiro di tutte le forze straniere dal territorio. Da Teheran ribattono che i combattenti iraniani presenti in Siria resteranno di stanza nel Paese arabo finché il governo di Damasco avrà bisogno di aiuto e lo richiederà.
Ma in Iran pesa il sospetto che la Russia stia rafforzando il proprio ruolo di gendarme del Medio Oriente attraverso un patto nemmeno tanto segreto di alleanza con Israele. Lo scorso 9 maggio Benjamin Netanyahu ha presenziato alla parata militaresulla Piazza Rossa di Mosca in occasione della Giornata della Vittoria a fianco di Vladimir Putin. E la Russia pare si sia convinta a non fornire alla Siria i missili S-300, in grado di colpire Israele.
Per gli sciiti, è la prova che i satelliti russi indicano agli israeliani gli obiettivi iraniani da colpire in Siria. Ieri si sono udite esplosioni a sud di Damasco, nella zona di Najjah che ospita un’accademia militare e, pare, un’installazione iraniana per la guerra elettronica. Il 18 maggio vicino ad Hama era esploso un deposito di munizioni, armi e carburante.
Due indizi fanno un sospetto. Tanto più che se l’Iran si ritirasse farebbe contenta anche Washington.
Andrea Morigi