Di Stefano Caprio da AsiaNews del 22/06/2024
Con il viaggio di questi giorni in Corea del nord e in Vietnam, Vladimir Putin ha superato ogni barriera nel degrado della reputazione della Russia. Secondo un’espressione che si attribuisce alla poetessa Anna Achmatova, sono terminati in Russia i “tempi vegetariani”, come la grande dissidente dei tempi staliniani scriveva nei suoi diari degli anni Cinquanta del secolo scorso. Confrontando gli anni Venti leniniani dopo la rivoluzione, con gli anni Trenta del terrore staliniano, ella diceva che dal “periodo relativamente vegetariano”, con le repressioni più spaventose l’Unione Sovietica era sprofondata nel “pieno cannibalismo”.
La Achmatova andava oltre la sua stessa tragedia familiare, che aveva travolto il marito Nikolaj Gumilev, altro grande protagonista della letteratura russa di inizio Novecento, finito nelle prime ondate dei lager insieme ad altri 96 rappresentanti dell’intelligentsija di San Pietroburgo (ormai diventata Leningrado), accusati di partecipazione alla cosiddetta “rivolta militare” del professor Tagantsev (un analogo delle “azioni di discredito delle forze armate” della Russia putiniana), e furono tutti destinati alla fucilazione. Come racconta la Achmatova, i “tempi vegetariani” finirono a dicembre del 1934 con l’assassinio di Sergej Kirov, l’astro nascente del comunismo leningradese, che faceva ombra al dittatore georgiano, inaugurando gli anni del “Grande Terrore”. Con la morte in lager del principale oppositore di Putin, il martire delle proteste di piazza Aleksej Naval’nyj, siamo tornati ai sentimenti dello stalinismo più trionfante, celebrato in questi giorni da Kim Yong-un e Nguyễn Phú Trọng.
Una storia simbolica illumina proprio questa dimensione del putinismo più estremo, come si sta evidenziando sempre più dopo la rielezione plebiscitaria e l’incoronazione dei mesi scorsi. Un criminale tristemente famoso, il satanista e cannibale Nikolaj “il Duca” Ogolobjak, si era riscattato nella guerra in Ucraina, ma tornando a casa è stato nuovamente arrestato per narcotraffico. Nel 2010 era stato condannato a venti anni di lager per un omicidio rituale di quattro persone, ma lo scorso anno si era arruolato nel cosiddetto Štorm Z, il battaglione dei detenuti per l’Ucraina, per poi essere ricompensato con la grazia presidenziale. Il “duca” era il leader di una banda di satanisti, che si dilettavano a smembrare gli adolescenti fin dal 2008, con diversi riti sanguinari in cui sacrificavano gatti, cani e giovani uomini saziandosi della loro carne e sangue; Ogolobjak era l’unico maggiorenne del gruppo, e gli fu comminata la pena più severa.
In Ucraina, Nikolaj ha combattuto soltanto sei mesi, tornando trionfante e libero a casa, ma al fronte non hanno intenzione di riprenderlo dopo i nuovi crimini, visti i suoi comportamenti piuttosto spaventosi anche tra i commilitoni, per cui vive tranquillo a casa con la madre, difeso dalla fama di “eroe della patria”. Un caso ancora più paradossale in questi giorni è quello di Andrej Orlov, un mite cittadino russo della regione di Tomsk in Siberia che ha sparato con un fucile al suo migliore amico, colpendolo al fianco dopo una bevuta comune di vodka per finire in lager, da cui finalmente può andare a guadagnare soldi in guerra, visto che non era stato accettato come volontario per problemi burocratici. Al processo ha raccontato che “se non fossi stato ubriaco lo avrei fatto fuori, ma almeno mi sono guadagnato il biglietto per l’Ucraina”.
I cannibali della guerra russa guardano quindi con entusiasmo alle parate del loro grande leader a Pyongyang e Hanoi, dove Putin si è recato in primo luogo per fare scorte di armi e munizioni, e magari per progettare altre minacce nucleari un po’ più efficaci delle navi da guerra inviate a Cuba, che si sono disfatte all’arrivo al porto dell’Avana. Oltre all’amicizia “eterna e strategica” con Pyongyang, la visita ad Hanoi ha riportato la Russia ai fasti novecenteschi del riconoscimento della repubblica socialista in guerra con la Francia e gli Stati Uniti, quando Mosca protesse il Vietnam anche dagli assalti della Cina, che ora guarda con molto dispetto alle parate di Putin intorno al suo regno. Se la Corea del nord può aiutare la Russia con le forniture militari, Putin assicura ai vietnamiti le attrezzature belliche che costituiscono il 70% del suo arsenale difensivo, anche se le preoccupazioni per le sanzioni internazionali stanno spingendo Hanoi verso altri fornitori come la Corea del sud, il Giappone, l’India e la Cechia. Ma ora la fratellanza con la Russia dovrebbe ricostituire un fronte sicuro contro i “grandi colonizzatori” del mondo occidentale, senza scordare che i russi contano molto sulle materie prime dei vietnamiti, e sul fascino del sud-est asiatico per i turisti russi, ormai esclusi dall’Europa e da tutto l’Occidente.
Nell’incontro con Kim Yong-un, Putin ha nuovamente ribadito che “la Russia sta lottando con il gegemon”, il diavolo egemonico statunitense, e apprezza molto l’appoggio della Corea del nord alla sua guerra santa. “Sto parlando della nostra lotta con la politica colonizzatrice ed egemonica che ci viene imposta da molti decenni dall’imperialismo americano e dai suoi satelliti, soprattutto contro la Federazione Russa”, ha precisato il capo del Cremlino. In effetti il responsabile delle sanzioni americane in Europa, David O’Sullivan, ha insistito sul fatto che “bisogna trovare nuove forme di pressione contro la Russia, per riuscire a fermare la guerra in Ucraina”, che finirà soltanto quando si costringerà Putin a ritirare le truppe.
Anche O’Sullivan ha parlato di “politica del cannibalismo” della Russia, a cui vanno sottratte le tecnologie e le altre strutture dell’industria bellica, per le quali “soffrono non soltanto i cittadini dell’Ucraina, ma anche quelli della stessa Russia”, e in realtà anche della regione dell’Asia meridionale e del Pacifico, dove Putin cerca di estendere la sua influenza con queste visite. Del resto, non si può dimenticare che il nonno di Kim Yong-un, il “grande leader” e “presidente eterno” Kim Il-sung, era un capitano dell’Armata Rossa, e aveva ottenuto il potere grazie alla protezione di Mosca, quando Stalin creò la “repubblica popolare e democratica” con gli stessi metodi usati da Putin per l’annessione e il riconoscimento della “sovranità” della Crimea e del Donbass, inviando le sue armate nella città periferica di Pyongyang. La differenza sta solo nel fatto che Stalin evitò di “annettere” la Corea del nord, anche se avrebbe potuto, come negli stessi anni fece con i mongoli della repubblica siberiana di Tuva.
Negli anni Quaranta del secolo scorso, Tuva era ritenuta una parte della Cina, tranne che dall’Unione sovietica e dalla Mongolia, la cui sovranità non era a sua volta riconosciuta da nessuno; ma Stalin decise di inghiottire questi territori, che oggi sono una parte problematica della Federazione Russa, con Tuva e la Buriazia che spingono per l’indipendenza. Una figura iconica dei tuvini è l’ex-ministro della difesa Sergej Šojgu, che nonostante le recenti purghe viene mantenuto a galla nel consiglio di sicurezza del Cremlino, per mantenere il controllo su questi territori asiatici da cui proviene gran parte dei combattenti in Ucraina. Ora la visita in Corea del nord rende più evidente il quadro mostruoso delle alleanze asiatiche-orientali della Russia, che potrebbe coinvolgere Pyongyang nelle minacce atomiche al mondo intero.
La Corea come la Crimea, chiave per destabilizzare l’Asia come l’Europa, in un quadro di tensione bellica permanente e crescente a tutte le latitudini: questo sembra il vero scopo del viaggio putiniano, che dalla Cina all’Uzbekistan, dalla Corea al Vietnam disegna il suo nuovo “ordine mondiale” cercando allo stesso tempo di incutere timori a Oriente e a Occidente. In tali frangenti la popolazione russa viene sopraffatta sempre più dal cannibalismo che cancella ogni traccia dei “tempi vegetariani”. Se prima dell’invasione della Crimea si interessava di politica il 10-12% della popolazione russa, ora le percentuali si avvicinano sempre più allo zero. La psicologia politica e l’antropologia sociale testimoniano che la volontà di opporsi al regime totalitario dipende non solo dal timore per i rischi personali, ma anche dal disgusto per le alleanze con i vari Frankenstein dell’Asia, dell’Africa, e in parte anche dell’Europa e dell’America. Il paradosso è che nel romanzo gotico di fantascienza di Mary Shelley, Frankenstein era vegetariano.