Di Gianluca Mazzini da Libero del 23/03/2022.
Dal 2010 al 2014 è stato direttore dell’Istituto italiano di cultura a Mosca. Oggi il professor Adriano dell’Asta insegna Lingua e letteratura russa alla Cattolica di Milano. Nei suoi studi ha approfondito il filone della filosofia religiosa e quello dell’arte nei rapporti con il potere. È anche vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. Ci siamo rivolti a lui per cercare di capire qualcosa in più della tragedia ucraina.
Professore, che impressione le fanno le immagini della guerra?
«Sono più che sconcertato. Prima di questo massacro non c’era nessun odio tra i due popoli. Mosca la considero casa mia e a Kiev ho lasciato un pezzo del mio cuore. Vedo immagini che erano francamente inimmaginabili fino a poche settimane fa. Come si fa a minacciare con le bombe Santa Sofia, la cattedrale di Kiev, patrimonio dell’umanità? Russi e ucraini, sono popoli diversi ma hanno una radice cristiana comune che parte dalla conversione del principe Vladimiro, avvenuta proprio a Kiev nel 988».
La guerra e il sentimento antirusso rischiano di creare gravi problemi anche da noi?
«Parliamo di due culture, la nostra e quella russa, che non potrebbero quasi esistere senza il loro amore reciproco. Gli italiani hanno frequentato la Russia da sempre. I nostri architetti lavoravano in Russia fin dal XII secolo e le nostre maestranze costruivano meravigliose chiese in quelle terre. Da Dante a Leopardi, tutti i grandi autori italiani sono tradotti e studiati dai russi. Anche oggi e parlo per esperienza diretta gli italiani sono molto ammirati dai russi. La politica non può cancellare questa realtà».
La Russia guarderà sempre più verso oriente?
«La Russia è europea. Chi nega questo non sa di cosa parla. Non temo che Mosca si separi dall’Europa temo piuttosto che la Russia si separi da sé stessa. Oggi il mondo culturale russo guarda con sgomento a quanto sta accadendo. Esiste un’opposizione culturale che non ha una forza mediatica per esprimersi ma gran parte degli intellettuali hanno assunto un atteggiamento di estraneità rispetto a questa guerra e a chi l’ha voluta».
Qualcuno parla di una guerra civile.
«Parliamo di due popoli con una tradizione linguistica e culturale diversa anche se ci sono tratti religiosi comuni. L’aggressione di Mosca configura piuttosto una guerra fratricida, tra fratelli cristiani. Ma è fondamentale fare un distinguo che appare poco sui media occidentali. È necessario distinguere tra governo e popolo russo, quindi nessuna guerra civile, ma un popolo che è stato aggredito».
Putin, per giustificare la sua guerra, ha presentato una ricostruzione storica tesa a dimostrare che l’Ucraina è stata un’invenzione geografica di Lenin.
«Putin si è lanciato in fantasiosi ragionamenti storici. Ma si tratta di letture storiche da bar dello sport. Invece la storia è una cosa seria. L’Ucraina già da metà del 1600 firmava trattati con gli zar e i trattati si firmano tra entità statuali precise. Non è assolutamente vero che la sua creazione sia un dono che risale ai tempi dell’Urss, anzi i sovietici hanno lasciato agli ucraini molti regali indigesti. Si pensi alla grande carestia degli anni ’30. Una carestia indotta da Stalin per punire i contadini ucraini contrari alla collettivizzazione agraria e costata milioni di morti. Per non parlare del disastro di Chernobyl. Anche l’idea evocata dal Cremlino di denazificare l’Ucraina appare pretestuosa. Nel parlamento di Kiev l’estrema destra ha un ruolo marginale. Anche i modelli storici di Putin sono rivisti a sua immagine, e i continui riferimenti a uno zar antisemita come Alessandro III e a Ivan il Terribile danno l’idea di dove stia veramente una concezione violenta e sopraffattrice del potere».
Quanto c’è di religioso in questo conflitto?
«C’è un evidente strumentalizzazione politica del discorso religioso. Lo dimostra il fatto che la chiesa ucraina, anche quella legata al patriarcato di Mosca è contro il conflitto».
Il 25 marzo il Papa consacrerà al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina. Che significato ha questo gesto?
«È un gesto di grandissimo rispetto. Consacrare due nazioni alla Vergine è un atto di enorme sensibilità che dimostra il valore universale del cristianesimo. Si tratta di una offerta non di un’imposizione. Non è un gesto di conquista e la cosa sembra essere stata compresa dalle chiese in questione. La conversione del cuore è il primo passo verso la pace. Già Benedetto XV, al tempo dell’inutile strage della Grande Guerra, sosteneva che i cristiani offrono la verità non la impongono».