di Michele Brambilla
È tradizione del Museo Diocesano di Milano ospitare, nel periodo di Natale, un’opera d’arte “esterna”, rispetto alle proprie collezioni, che racconti appunto la Natività del Signore. Nel 2018 è toccato all’Adorazione dei Magi di Paolo Caliari, detto “Veronese” (1520-1588), tela normalmente esposta nella chiesa di Santa Corona a Vicenza, per la quale fu realizzata nel 1573.
Pr il Veronese il 1573 fu un anno decisamente particolare. Mentre stava realizzando questa tela, venne processato dall’Inquisizione di Venezia per la scarsa attinenza al dettato evangelico di un’altra sua opera, L’Ultima Cena, che dovette così ribattezzare istantaneamente Convito a casa di Levi a causa della presenza, poco gradita al giudice, di giullari, coppieri e ubriachi ai lati della tavola. Caliari era solito riempire le tele di figure di fantasia, se vi era ancora spazio: è una sua cifra stilistica. Tuttavia, nell’Adorazione dei Magi preferì invece fondere più episodi evangelici assieme. Seguendo il filo della narrazione della stessa pagina di Vangelo assegnata all’Epifania del Missale Romanum che era stato da poco pubblicato, esattamente del 1570 (Mt 2,1-12), il pittore riesce a far percepire all’osservatore il fasto del corteo dei Magi, nonché l’intreccio tra la loro comparsa a Betlemme e la furia di Erode.
Non sfugge infatti all’occhio di chi guarda l’incombere, benché seminascosti dagli edifici, di uomini armati, tra i quali si distingue il comandante. È proprio Erode, tormentato dall’invidia per onori non a lui riservati e che presto si “vendicherà” sugli inermi bambini di Betlemme con le lance e le spade che ha portato con sé. In primo piano, però, rimangono ancora i Magi nei loro bellissimi vestiti cinquecenteschi di seta. Maria porge il Bambino con grazia e compostezza, avendo accanto a sé un san Giuseppe anziano, che, appoggiato al bastone, osserva la scena con sguardo affettuoso e al contempo premuroso. Di lì a poco la fuga in Egitto renderà esplicita la funzione di custodire il Messia che è stata data in sorte a Giuseppe.
Non è da escludere che il magio nero, così riccamente vestito, sia un riferimento al celebre personaggio letterario di Otello, che nel 1603 sarà messo in scena da William Shakespeare (1564-1616). In Otello, ingannato sulla fedeltà dell’amata Desdemona da uno dei soldati più fidi, Iago, trascinato dal sentimento dell’invidia, Veronese allude forse alla Passione che attende Cristo, il Giusto consegnato alla morte da un apostolo e condannato da giudici iniqui benché innocente. Del resto la leggenda di Otello è di origine veneta e Shakespeare l’ha conosciuta tramite trascrizioni popolari in inglese, che avevano lo scopo catechetico di insegnare la ripulsa per la lussuria e il desiderio di applicare il nono Comandamento (“non desiderare la donna d’altri”).
Nella struttura della capanna di legno sotto cui è collocata la Sacra Famiglia spicca il biancore di una colonna marmorea, analoga a quella visibile nella Pala Pesaro (1526) del contemporaneo Tiziano Vecellio (1488-1576). La colonna in una capanna in rovina rimanda alla vittoria di Cristo sugli idoli pagani e alla solidità della dottrina cattolica, nonostante l’apparente e commovente fragilità del Bambino che se ne fa latore. Nell’opera di Tiziano gli offerenti portano alla Madonna e al Divino Infante lo stendardo della Lega Santa, istituita da Papa Giulio II (1503-13) nel 1511 contro la Francia e composta da Roma, Venezia, Napoli, Spagna, Svizzera e Inghilterra. Quella della colonna è, insomma, la medesima funzione simbolica che ricoprono le rovine classicheggianti nel presepe napoletano: ricordare che il Bambinello è un Re vittorioso.