La passione per Cristo di Fëdor Dostoevskij a 200 anni dalla nascita del grande scrittore.
di Luca Finatti
“Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16, 9-15), ma a quale ricchezza davvero aneliamo in questa epoca tanto ingarbugliata? Ad avere più tempo, soprattutto.
Affannosamente desideriamo tempo, per noi, per il nostro benessere, per i nostri svaghi, per il lavoro e il piacere, per gli amici, per la famiglia, per l’apostolato magari, per il volontariato, per scrivere un articolo …
E a volte ci accorgiamo che questo tempo serve a noi, ma non serve davvero Dio.
Ecco, oggi 11 novembre 2021, in occasione del 200° anniversario della nascita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Mosca 1821-San Pietroburgo 1881) secondo il nostro calendario gregoriano, 30 ottobre del calendario giuliano allora in vigore in Russia, prendiamoci del tempo per leggere qualche pagina di questo immenso scrittore.
Ci troviamo infatti di fronte a uno di quei pochi e felici casi in cui quasi tutta l’opera dell’artista è stata dedicata a servire Dio, attraverso un purissimo talento letterario, nonostante i molti limiti, le contraddizioni e i veri e propri disturbi della sua personalità; forse scopriremo che pure leggere certi autori può essere un modo per servire Dio, per dare quella lucentezza all’anima che predispone al Suo ascolto.
Si potrebbe partire dal racconto Il sogno di un uomo ridicolo (1877), si legge in mezz’ora e inizia così: “Io sono un uomo ridicolo. Ora mi chiamano pazzo. Questo sarebbe un avanzamento di grado, se io, per loro, non rimanessi ridicolo come prima. Ma ormai non mi ci arrabbio più, adesso tutti mi sono cari, persino quando ridono di me; anzi, allora mi sono, non so come, particolarmente cari. Io stesso riderei con loro, non già di me, ma per amore di loro, se nel guardarli non mi sentissi così triste. Sono triste perché essi non conoscono la verità, io invece la conosco. Oh, come è duro essere il solo a conoscere la verità!”.
La ricerca spasmodica della verità, intesa come messa a nudo dell’anima dei protagonisti e delle contorsioni della psiche umana, unita al fascino dell’umanità di Cristo che muove, ispira o tormenta i personaggi, sono i due temi che permeano molte pagine di Dostoevskij, almeno a partire da Delitto e castigo (1866), il primo dei cinque grandi romanzi[1] che hanno segnato la seconda parte della sua vita, spaccata da un evento traumatico: la condanna a morte, poi revocata all’ultimo minuto, e la successiva commutazione della pena ai lavori forzati in Siberia, per associazione sovversiva con un gruppo di velleitari socialisti.
Durante la prigionia, come racconta la seconda moglie Anna Grigor’evna Snitkina (1846-1918), lo scrittore rilesse senza requie i Vangeli, nutrendo di nazionalismo e di ammirazione per la fede degli umili, il suo amore per il popolo russo.
Per chi volesse velocemente approfondire, è appena uscito un agile libretto del giornalista e saggista Armando Torno[2]: una ricostruzione puntuale che indaga le pagine più intime di quel Diario di uno scrittore[3] che Dostoevskij iniziò nel 1873 come collaborazione con il giornale Graždanin (Il cittadino) e che continuò poi autonomamente fino alla morte, riflettendo su argomenti religiosi, filosofici e politici, con sprazzi di genialità misti a paradossi e pregiudizi irritanti.
Ancor più brevi, ma molto densi, i tre discorsi, appena ripubblicati, del grande filosofo Vladimir Solov’ëv (1853-1900) che descrive lo scrittore, amico fraterno, come colui che ha saputo profetizzare, in particolare nel romanzo I demoni (1873), la violenza ideologica rivoluzionaria di “importanti fenomeni sociali che non tardarono a manifestarsi; in pari tempo questi fenomeni sono condannati in nome di una verità religiosa e suprema”[4].
Per chi invece avesse più tempo, varrebbe la pena compulsare gli studi della filosofa e critica letteraria Tat’jana Kasatkina[5], che da decenni “rinviene nei romanzi di Dostoevskij, al di sotto della trama, e fra le pieghe di essa, la riemersione – attualizzante – degli schemi figurativi delle principali icone della tradizione ortodossa”[6].
Dunque episodi della vita di Cristo sono sempre presenti nelle sue opere maggiori, tanto che nel romanzo probabilmente meno letto, L’idiota (1869), il protagonista principe Myškin, nel progetto iniziale dello scrittore, avrebbe dovuto essere un uomo totalmente buono, innocente, un alter Christus che svela, con la mitezza e il candore dell’ingenuità, l’ipocrisia di un mondo del quale non si sente parte.
Quanto davvero ci sia di Gesù in questo personaggio è un tema ampiamente dibattuto dalla critica, ma proprio qui troviamo, a metà romanzo, una delle sentenze di Dostoevskij più citata e fraintesa: “[Ippolit] si mise a gridare forte a tutti quanti «il principe sostiene che sarà la bellezza a salvare il mondo! Ma io dico che adesso gli vengono in mente questi allegri pensieri perché è innamorato. […] Non arrossite, principe, volete farvi compatire? Ma quale bellezza salverà il mondo? […]». Il principe lo squadrò attentamente e non gli rispose”[7].
A proposito di questo brano, il teologo Giuliano Zanchi[8] scrive che viviamo oggi in un mondo sempre più impregnato da una certa idea di bellezza, dove ogni aspetto della nostra vita ha una confezione estetica che deve anzitutto sedurre i nostri sensi, gratificarli al primo contatto, per poi abbandonarli alla ricerca di nuove esperienze: un abbellimento cosmetico, divenuto ossessivo, perché deve riempire il posto lasciato vuoto dalla verità.
La famosa frase, dice il prof. Zanchi, ormai viene utilizzata anche dall’assessore di turno per inaugurare ed elogiare una rotonda autostradale, mentre per Dostoevskij la vera bellezza “è il nome che si dà all’inequivocabile manifestarsi del bene. Un insieme di qualità che non hanno necessariamente a che fare con la forma armonica, perfetta e intatta. Quanto piuttosto i tratti dell’irremovibilità con cui la bontà custodisce la propria perseverante giustizia. A costo di tutto. Anche di perdere la perfezione della forma. È il bello del bene”.
Se la parola ‘idiota’ in italiano ha una connotazione negativa, nella spiritualità ortodossa bisognerebbe tradurre in realtà “folle (per amore) di Dio”, e cosa significhi essere tale, lo possiamo vedere e ascoltare in una delle sequenze cinematografiche più intense del regista Andrej Tarkovskij (1932-1986), nella parte finale del film Nostalghia[9].
Su questo folle amore scrisse uno splendido saggio il servo di Dio don Divo Barsotti (1914-2006), libro che si può centellinare nel tempo, meditando e pregando: “Dostoevskij non parla direttamente del Cristo e tuttavia il Cristo è il personaggio principale e sempre presente nei suoi romanzi. La vita umana in Dostoevskij ha una dimensione di profondità che egli solo sembra conoscere. Non è mai dimensione etica. L’uomo vive un dramma. Dio abita nell’uomo; la sua presenza trasfigura l’uomo nella pace e soprattutto nell’umiltà dell’amore, ma questa stessa presenza lo giudica e lo condanna. Invisibile, Dio domina la narrazione e il romanzo diviene quasi un mistero sacro”[10].
Per chi ha fretta e impegni improrogabili, consiglio ancora, in epoca di webinar facilmente fruibili in ogni luogo, una concisa ed efficace conferenza del prof. Adriano Dell’Asta, insegnante di Cultura Russa e Lingua e Letteratura Russa all’Università Cattolica di Brescia e di Milano e vicepresidente della fondazione Russia Cristiana; mentre per chi preferisce il vintage, mantengono un certo fascino lo sceneggiato della RAI tratto appunto dall’Idiota[11], con l’interpretazione superba di Giorgio Albertazzi (1923-2016), e quello tratto da I fratelli Karamazov[12] con Corrado Pani (1936-2005) e Umberto Orsini.
In Italia, a parte qualche convegno, per ora un unico libro ha avuto una certa risonanza, quello dello scrittore anarchico, come lui si definisce, collaboratore di quotidiani che vanno da Il Manifesto a Libero, Paolo Nori, che ha pubblicato un testo bizzarro e intrigante, in cui autobiografia, critica letteraria e biografia dello scrittore russo s’intrecciano, per raccontare come la lettura di Delitto e castigo, a 15 anni, abbia cambiato la sua vita, segnandola per sempre e aprendo una ferita che, da allora, non ha smesso di sanguinare[13].
Infine, ritornando da dove siamo partiti, lascio l’ultima parola a PierLuigi Zoccatelli, professore di Sociologia della religione presso l’Università Pontificia Salesiana di Torino, che curò, nel 1995, l’edizione dei racconti La mite e Il sogno di un uomo ridicolo[14], scrivendo, nel saggio introduttivo: “Pavel Evdokimov ha notato come vi sia in Dostoevskij una dialettica costituita da categorie religiose: da una parte la «rivoluzione» – la caduta, il peccato – e dall’altra la «contro-rivoluzione», caratterizzata non da una rivincita o da una restaurazione, ma da un’espiazione creatrice. […] Non si fraintenda il concetto di felicità perfetta evocato da Dostoevskij con un vago sentimentalismo filantropico. Vi è ben di più e si tratta precisamente, nell’ottica dell’autore, dell’amore insegnato da Gesù Cristo e da ristabilire sulla terra sin da ora in un rinnovato rapporto con Dio: «Mamma – dice il fratello morente del monaco Zosima -, non piangere, la vita è un paradiso, e tutti siamo in paradiso, ma non vogliamo riconoscerlo: ché se avessimo la volontà di riconoscerlo, domani stesso s’instaurerebbe in tutto il mondo il paradiso»”[15].
Mercoledì, 10 novembre 2021
[1] Indico il titolo e l’anno di pubblicazione, ma si tenga conto che tutti i romanzi uscirono a puntate su riviste dell’epoca: Prestuplénie i nakazànie (Delitto e castigo), 1866; Idiót (L’idiota), 1869; Besy (I demoni), 1873; Podrostok (L’adolescente), 1875; Brat’ja Karamazovy (I fratelli Karamazov), 1879.
[2] Cfr. Armando Torno, Fëdor Dostoevskij. Nostro fratello, Edizioni Ares, Milano, 2021.
[3] Cfr. Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Diario di uno scrittore, Introduzione di Armando Torno, Bompiani, Milano, 2007.
[4] Vladimir Solov’ëv, Fëdor Dostoevskij, a cura di Giuseppina Cardillo Azzaro e Pierluca Azzaro, Cantagalli, Siena, 2021, pag. 36.
A questo proposito è molto bello l’intervento di padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, in occasione della presentazione del volume che si è tenuta martedì 5 ottobre 2021 presso l’Aula Papa Benedetto XVI, Campo Santo Teutonico, Città del Vaticano.
[5] Cfr. Tat’jana Kasatkina, È Cristo che vive in te. Dostoevskij. L’immagine del mondo e dell’uomo: l’icona e il quadro, Prefazione di Julian Carròn, Itacalibri, Castel Bolognese, 2012.
[6] Uberto Motta, La sostanza ontologica di ogni presenza. Il realismo di Dostoevskij secondo Tat’jana Kasatkina in Tat’jana Kasatkina, Dostoevskij. Il sacro nel profano, Prefazione di Uberto Motta, Bur Saggi, Milano, 2012, pag. V.
[7] Fëdor Dostoevskij, L’idiota. Romanzo in quattro parti, Traduzione, postfazione e nota a cura di Laura Salmon, Bur grandi classici, Milano, 2020, pag. 419.
[8] Cfr. Giuliano Zanchi, La bellezza complice. La cosmesi come forma del mondo, Vita e pensiero, Milano, 2020.
[9] Cfr. Nostalghia, regia di Andrej Tarkovskij, Italia-URSS, 1983.
[10] Divo Barsotti, Dostojevskij. La passione per Cristo, Edizioni Messaggero Padova, Padova, 1996, pag. 6.
Recentemente è uscita una nuova edizione: Divo Barsotti, Dostojevskij. La passione per Cristo, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, 2018.
[11] Cfr. L’idiota, regia di Giacomo Vaccari (1931-1963), Italia, 1959.
[12] Cfr. I fratelli Karamazov, regia di Sandro Bolchi (1924-2005), sceneggiatura di Diego Fabbri (1911-1980), Italia, 1969.
[13] Cfr. Paolo Nori, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Mondadori, Milano, 2021.
[14] Cfr. Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo ; La mite : Due racconti fantastici, cura e traduzione di PierLuigi Zoccatelli, Newton Compton, Roma, 1995.
[15] Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Le notti bianche, a cura di Luisa De Nardis; La mite ; Il sogno di un uomo ridicolo, a cura di PierLuigi Zoccatelli, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, 2010, pp. 85-87.
Il testo integrale del saggio di PierLuigi Zoccatelli si può scaricare anche cliccando QUI