Si parla molto di Europa, in occasione del 60mo anniversario del Trattato di Roma che istituì, il 25 marzo 1957, la Comunità economica europea. Erano gli anni cinquanta, l’Europa allora di riferimento non era più certamente la cristianità, ma Carlo Magno e il Sacro romano impero esercitavano ancora un discreto fascino, sebbene come retaggio di un passato ormai troppo lontano.
Molta acqua è passata sotto i ponti; oggi l’Unione europea si è formalmente smarcata dalle radici cristiane d’Europa e l’ultima battaglia di San Giovanni Paolo II, perché l’Europa che altri stavano costruendo non fosse solo quella delle banche e della finanza, è stata perduta, anche se ha prodotto uno straordinario e corposo Magistero che servirà per il futuro.
La UE oggi produce un legittimo e doveroso rifiuto in chi ha a cuore le radici cristiane d’Europa, in chi constata amaramente, quasi ogni giorno, l’umiliazione che i popoli subiscono dal punto di vista spirituale, culturale e anche economico, da una dirigenza europea anonima, non eletta, percepita come estranea e ostile.
Ma in nome di che cosa è giusto opporsi a questo modo di costruire l’unità europea che ricorda in molti aspetti il modo in cui venne fatta l’unità d’Italia?
L’Europa delle piccole patrie, dei popoli liberi e diversi, delle tante culture originarie, l’Europa dell’Editto di Milano e di Carlo Magno, di San Benedetto e dei santi Cirillo e Metodio, l’Europa della libertà religiosa e della verità cercate da papa Gregorio VII e da San Tommaso è un grande ideale umano e cristiano, che è stato esplicitamente rifiutato da chi ha costruito la UE odierna.
Ma contestare questa Europa, rifiutando di partecipare alle sue celebrazioni, non significa tornare al nazionalismo di sinistra del 1789 o a quello ritenuto di “destra” dell’inizio del Novecento, che sono all’origine di quegli Stati nazionali che sono sorti sulle ceneri dell’Europa dei popoli.
Mi permetto di segnalarlo ai tanti che in buona fede, disgustati da “questa” Europa, potrebbero essere tentati di buttare il bambino insieme all’acqua sporca.
Marco Invernizzi