Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 136-137 (1986)
La solidarietà internazionale selettiva praticata da governi di dubbia moralità politica nella denuncia di esponenti in esilio della comunità sikh, suggerita dalle pressioni economiche votate a Londra contro la Repubblica del Sudafrica.
Una nota a sei capi di governo del Commonwealth
Quando sanzioni contro l’India?
Domenica 10 agosto 1986 il generale Arun S. Vaidya – «eroe» della guerra dell’India contro il Pakistan del 1965 e l’uomo che nel 1984 ha diretto il primo assalto contro il Tempio d’Oro dei sikh ad Amritsar – è stato ucciso da due aggressori non lontano da Bombay. Il fatto riporta l’attenzione su un problema di giustizia e di diritti umani di cui si parla poco, mentre, da quando l’India è diventata indipendente, i sikh attendono che sia risolto, conformemente a promesse mai mantenute.
Otto giorni prima, a Londra, più di cinquemila sikh sfilavano, ordinatamente e senza manifestazioni di violenza, guidati dal dottor Jagjit Singh Chohan, ex ministro del Punjab e presidente in esilio del Khalistan, lo Stato che in India vorrebbe riunire una stessa comunità sulle terre che essa fa fiorire da secoli. Come i quattordici milioni di bengalesi, i circa nove milioni di sikh subiscono, infatti, una discriminazione permanente: non possono controllare la gestione del Punjab, dove sono i più numerosi e di cui hanno fatto il granaio dell’India, e non possono accedere alle alte cariche di un governo che pretende di essere democratico, a eccezione di casi che si possono rapidamente contare sulle dita di una mano e che servono da alibi per l’estero.
La manifestazione di Londra accompagnava la consegna da parte del dottor Chohan, a nome dei sikh, di un messaggio ufficiale diretto ai sei capi di governo del Commonwealth, che avevano appena votato sanzioni contro il Sudafrica. Infatti, se la comunità dei sikh ritiene che vi debba essere un’evoluzione in tema di apartheid e rileva gli sforzi in questo senso del governo di Pretoria, il dottor Chohan fa anche risaltare, nella sua nota al Commonwealth, eloquenti confronti. Eccone la sostanza, talora alla lettera, diffusa in Europa dalla CIRPO, la Conférence Internationale des Résistances en Pays Occupés – della quale i sikh fanno parte, insieme all’Amra Bengali, rispettivamente dal 1983 e dal 1985, in considerazione degli attentati ai diritti umani di cui sono quotidianamente vittime -, articolata in sette punti ben definiti.
I neri sudafricani privilegiati rispetto ai sikh
1. Se in Sudafrica, nota il dottor Chohan, i neri sono raccolti nelle loro terre natali, le homeland, da parte di un governo che si sforza di favorire il loro sviluppo separato, in India i sikh sono stati privati della loro terra, occupata dalle forze e dall’amministrazione di Nuova Delhi.
2. Nel contesto sudafricano, gli «Stati di prima linea» hanno stabilito legami e offrono la loro protezione ai neri dell’ANC, l’African National Congress. I sikh, invece, non possono contare su nessun «santuario» da nessuna parte, che li aiuti oppure li protegga.
3. In Sudafrica, il vescovo Desmond Tutu fruisce di libertà invidiabili da parte di qualsiasi sikh nel Punjab. Inoltre, sant Jarnail Singh Bhindranwale, il capo religioso dei sikh, è stato assassinato, e l’India ne ha tratto pretesto per invadere il Tempio d’Oro di Amritsar.
4. In Sudafrica, non si è verificato genocidio organizzato contro un gruppo oppure una tribù con l’avallo del governo. In India. i sikh nel 1984 hanno subito un’ondata di repressioni e di assassinî, a proposito della quale il governo stesso ha ammesso che aveva raggiunto, ad Amritsar, le 1.700 vittime. E fino a oggi lo stesso governo non ha aperto nessuna inchiesta seria per identificare i colpevoli. Il che conferma che tanto il governo che il Partito del Congresso sono stati implicati in questo genocidio.
5. In Sudafrica, diverse personalità del Commonwealth hanno liberamente svolto inchieste. Per contro, l’accesso al Punjab è vietato, non solamente ai sikh nati in questo paese e che vivono all’estero, ma anche ai parlamentari americani, canadesi, britannici e ai giornalisti.
6. I neri Sudafricani non mancano di simpatizzanti in seno alla Comunità Europea e negli Stati Uniti, inoltre l’African National Congress beneficia indubbiamente dell’aiuto del campo socialista. I sikh, invece, sono abbandonati a loro stessi.
7. Si parla molto delle «leggi draconiane» in vigore in Sudafrica. In India, tali leggi hanno sottratto ogni diritto a giurisdizioni ordinarie. Più di duemila sikh – uomini, donne e bambini – sono «preventivamente» detenuti da due, da tre, talora ormai da quattro anni.
La strana morale di pretese «democrazie»
Di fatto, sono stati contati più di novemila assassinî di sikh, in India, durante il 1984. E si può facilmente dimostrare che la violenza di una frazione esacerbata di questa comunità è stata solamente una risposta – discutibile quanto si vuole – dopo quarant’anni d’attesa e cinque anni di avvertimenti pacifici, alle ingiustizie, alle continue molestie e violenze di una amministrazione centrale che, inoltre, ha fatta propria la tecnica britannica d’altri tempi, giocando una minoranza «collaborazionista» contro l’insieme dei sikh, e approfittando anche, ipocritamente, del fatto che numerosi indù hanno sposato donne sikh e ogni tensione politico-sociale pone problemi insormontabili senza drammi. Infatti, da decine d’anni l’armonia regnerebbe fra queste comunità, se essa non esistesse soltanto artificialmente sul piano amministrativo e non vi fosse assolutamente sul piano economico.
In una lettera datata 5 agosto 1986, il dottor Chohan ha d’altronde ricordato al primo ministro Rajiv Gandhi le promesse successivamente fatte e mai mantenute dal Pandit Nehru, da Indira Gandhi e da lui stesso.
Quanto al resto, sembra incredibile che certi paesi del Commonwealth si associno a una democrazia apparente com’è quella dell’India, e con altri Stati, a proposito dei quali tutti sanno che sono diretti sulla base dell’arbitrio e del genocidio, con la copertura di partiti unici imposti con la forza.
La «democrazia» dello Zimbabwe, uno dei firmatari delle sanzioni contro Pretoria, non è mai stata quella annunciata e imposta da Henry Kissinger e da lord Carrington: si è tradotta in decine di migliaia di assassini e di scomparse su cui il Commonwealth tace.
Si potrebbe anche, a giusto titolo, chiedere all’Australia, altra firmataria, che cosa ha fatto dei trecentomila aborigeni che vivevano in questo paese. Oggi non sono più di quarantamila, e i loro diritti sono meno consistenti di quelli di qualsiasi nero sudafricano. In India, non soltanto i sikh, ma anche i bengalesi, gli abitanti dell’Assam, le minoranze nell’Uttar Pradesh e altrove, subiscono una discriminazione di cui la Mobil Oil non ha neppure idea, dal momento che non ha interessi in queste regioni, mentre ne ha sia in Sudafrica che in Angola e in Cabinda, e quindi rincara la dose nella demagogia contro Pretoria, immaginando così di proteggere i propri profitti per il futuro. Quanto al governo dell’India, non si deve dimenticare che dall’agosto del 1971 è legato all’URSS da un trattato i cui effetti, anche sul piano militare, non hanno ancora cessato di sviluppare le loro conseguenze nell’Asia Centrale.
Per contro, l’URSS sostiene l’India nelle sue posizioni contro il Sudafrica, lo Zimbabwe contro il Sudafrica, la Zambia contro il Sudafrica, e ha tutte le ragioni per sostenere contro di esso lo pseudo-governo dell’Angola, dal momento che la Mobil Oil è una della società che paga con i suoi canoni il bilancio militare di questo governo equipaggiato e armato da Mosca.
Pierre Faillant de Villemarest